Animo umano

QUANTE SARAH?
Chi conosce un poco l’animo umano, non si stupisce di fronte alla storia di Sarah, si impara e non ci si stupisce più di nulla.

QUANTE SARAH?

Chi conosce un poco l’animo umano, non si stupisce di fronte alla storia di Sarah, si impara e non ci si stupisce più di nulla.

La dolorosissima vicenda che ha provocato la morte di Sarah Scazzi ha scosso probabilmente tante persone. Giornali e media sembrano rincorrersi in un’assurda gara all’ultimo scoop, all’ultima indiscrezione.
Veri o presunti esperti disquisiscono più o meno a proposito sulle implicazioni psicologiche e socio-culturali che hanno sotteso ed intriso tutta la storia. Opinionisti dell’ultima ora, ma anche della penultima, si rincorrono tra Rai e Mediaset. Tutti pronti a sfamare le fameliche menti assetate di emozioni e suggestioni forti, tutti pronti a dissetare anime che si abbeverano di acque melmose, del dettaglio scabroso fine a sé stesso. Tutti a parlare e parlare, ma quanti a provare a pensare alla paura ed al dolore di una povera ragazza? Tutti a discutere dell’assassino, chi della vittima? Questa vicenda ha molto scosso anche la sottoscritta, come donna, come madre, come counselor. Divido volentieri le mie riflessioni con i lettori di Trucioli, non certo con la pretesa di proporre inutili dietrologie o saccenti opinioni, ma con la modesta speranza di indurre qualche riflessione. Come donna mi addolora vedere che ancora una volta in tanti hanno voluto scavare nella vita di un’altra donna, seppur giovanissima, alla ricerca di un qualsiasi quid che offrisse il fianco a critiche più o meno manifeste. Quale donna a quindici anni non ha sognato un futuro scintillante, magari lontano da casa? E’ una colpa? E’ una colpa costruirsi un’immagine sbilanciandosi tra timidi sorrisi e look dark? No, oggi che si conosce la verità sulla fine di questa povera ragazza, non è una colpa. Un mese fa? Ni, per molti. E’ una cosa sconveniente aprire profili su Facebook? Certo che no, a prescindere da ciò che individualmente si pensi dei social networks (che personalmente reputo uno strumento pericoloso e sottovalutato). Come donna, ho avvertito la sottile, impalpabile presenza della misoginia così radicata nella nostra società. Misoginia figlia di retaggi antropologici antichi quanto l’uomo e strumentalizzati da religioni e culture francamente non evolute. Come madre, il cuore trema. Il mondo è pieno di lupi, insospettabili lupi, tanto più pericolosi quanto più appaiono “normali”. Parlare con i propri figli, nel mio caso un figlio maschio, trovare il coraggio di spiegare con termini chiari e comprensibili sin dalla più tenera età che i lupi esistono, non è facile. Eppure resta l’unica vera prevenzione, insieme alla vigile presenza accanto ai nostri figli, alla continua rassicurazione del nostro amore nei loro confronti, sempre e comunque, qualunque cosa accada.

Perché i lupi sono predatori, e cacciano le loro prede, le fiutano, proprio come le fiere che individuano l’animale più debole e più indifeso. Come Counselor, necessariamente debbo riflettere in termini più tecnici, e allora chiamiamoli col loro nome, questi lupi. Agiscono come lupi, ma i pedofili sono uomini, sono donne.

Sani, sanissimi di mente, pericolosi e freddi calcolatori. Si accostano ai bimbi ed ai giovani attraverso ruoli sociali “al di sopra di ogni sospetto”, conquistano la fiducia di genitori poco attenti, si nascondono in case ricche o modeste. Non solo in contesti di relativa modestia culturale quale ci hanno fatto apparire quello in cui si è consumato il dramma di Avetrana.

 L’atto di necrofilia compiuto dallo zio pedofilo su Sarah ha reso ancora più odioso il crimine perpetrato. In quanti si sono chiesti quanto siano davvero frequenti questi atti, pur senza giungere all’omicidio? Se è vero che nessuno può avere dati statistici certi, è altrettanto vero che moltissimi casi restano nell’ombra, soffocati dalla paura delle vittime e troppe volte dal silenzio colpevole di chi sa eppure tace. Tace per non sfasciare famiglie, per non guardare in faccia la realtà, persino perché ci sono persone che convivono con un’idea distorta di sessualità, in base alla quale al maschio tutto è lecito. Ma la pedofilia è anche femmina, si ignora spesso questa evidenza. La devianza è trasversale. Come la paura, il senso di colpa delle vittime, che spesso accompagna per tutta la vita. Quante Sarah ci sono in Italia, nelle nostre città, nelle nostre vite? Tante, tantissime. Tante portano cicatrici mai guarite nell’animo più profondo, altre si puniscono mortificando il loro corpo sino a limiti che la maggior parte delle persone nemmeno potrebbe immaginare. Altre vivono arrabbiate col mondo, poche ritrovano una parvenza di serenità. Sono tante le Sarah in questo mondo. Se possibile trovare un senso in questo continuo e a tratti morboso continuo parlare di questo verissimo talk show mediatico, ricerchiamolo nella speranza che almeno una Sarah trovi il coraggio di parlare e denunciare, senza paura di non essere creduta o colpevolizzata. Cercando di dimenticare i bambini che si spintonano a fianco dei giornalisti in diretta televisiva, alla ricerca di un miserevole istante di notorietà. Chi conosce un poco, solo un poco l’animo umano, non si stupisce di fronte alla storia di Sarah, si impara e non ci si stupisce più di nulla. Purtroppo io non mi sono stupita, scossa sì ma stupita no, non della fine di Sarah. Di fronte a quei bimbi che sorridono a fianco dei giornalisti quasi fosse una festa sì, io mi sono stupita, forse non tanto per il comportamento dei piccoli quanto per l’insensibilità di chi li ha lasciati fare. Una tristezza senza fine.

Giovanna Rezzoagli Ganci

 

  

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