Presentazione-recensione al libro “Soglie”

SU ALCUNE SOGLIE TRA L’ESSERE E IL NULLA

Presentazione-recensione al libro “Soglie” dell’artista e scrittore genovese Roberto Guerrini

SU ALCUNE SOGLIE TRA L’ESSERE E IL NULLA

Presentazione-recensione al libro “Soglie” dell’artista e scrittore genovese Roberto Guerrini

Se l’essere non è conoscibile che tramite gli esseri diversi che noi siamo e che incontriamo lungo il nostro cammino, o percorsi, o spostamenti da un luogo originario a un altro luogo, o, come dice, o meglio di-segna di sé l’artista disincantato ma non insensibile al dovere della cura di sé e del prossimo e delle cose (percepite esteticamente ed eticamente come simboli, segni, cifre, lettere da inter-pretare ed ex-primere) Roberto Guerrini: “Viaggio per l’umano anelito verso l’oltre e l’altrove, viaggio per raggiungere proprio quel non-luogo perché comunque si avverte che la sola vita non basta, non può bastare.

La fine e l’esito di questo eccitante e disperato spostamento non sono dicibili; la sua densa e vistosa traccia forse è arte” ( Open source), neppure l’indicibile nulla è percepibile, se non, appunto, come un altrove senza nome, né tempo, né spazio, né traccia, né sentiero che si perde “nel buio delle selve”. Una soglia è, propriamente parlando, la parte inferiore del vano della porta, sovente formata da una lastra di pietra lunga quanto la base del vano stesso. Per estensione metonimica significa anche porta, entrata, ingresso.

Ora una porta può essere chiusa o aperta o socchiusa; in ogni caso segna il limite tra un al di qua e un aldilà, un passaggio possibile o, se rimane chiusa, una barriera. Il titolo Soglie evoca metaforicamente l’azione dell’aprire e del chiudere, dell’entrare e dell’uscire, del passare da un prima a un dopo, da una pagina a un’altra pagina; trattandosi di un testo non solo scritto ma anche istoriato l’occhio del lettore può trascorrere a piacere dalle parole alle immagini che rinviano ad altri testi e ad altre immagini extratestuali, come le Veneri preistoriche e classiche, o la famosa pipa di Magritte (Questa non è una cicca), o all’iconografia “antigraziosa” espressionista e surrealista (Ecce homo); oppure, sul piano linguistico-letterario, all’idioletto inventato di sana pianta come in Metapoesia, o alle “supercazzore” tognazziane da “Amici miei” di Monicelli; o frammenti di discorso pubblico estrapolati dai telegiornali e citazioni colte, aforismi zen e allusioni alla pop art, il kitsch usato contro il kitsch (Il talismano della fortuna),   gli escrementi necessari oltre il disgusto e verso il sognato luogo della rivoluzione, attraverso una Waste Land tra il non più e il non ancora, tra l’essere fuggente e il nulla incombente, dove nondimeno è possibile fermarsi a meditare sulla natura snaturata: “Quando si dice natura si nomina qualcosa che da tempo non esiste più. Speriamo tuttavia venga presto il tempo in cui si possa almeno parlare di natura sensatamente rinaturata.” (Olocene o antropocene?) o sulle deiezioni “matabolico-alimentari” (Panta rei), o sulla “mostruosità deumanizzata con una esistenza ormai più chimica che biologica” ( Il testimone), o sulla ostinata lotta contro la forza di gravità (Cenestesi), o sull’agonia “delle attuali politiche, compreso il parassitario capitalismo di ultima generazione, praticando una sorta di accanimento terapeutico su di un paziente da tempo in coma irreversibile.” (L’auspicabile arrivo). Si tratta quindi di un’opera composita e composta di soglie che si aprono su paesaggi diversi, su diversi oggetti culturali e di consumo, ma non a sua volta consumabile e commestibile come un manicaretto decorativo e consolatorio; sono soglie – direbbe Gozzano – prive di lusinghe, che non intendono illudere ma anzi turbare, urtare, provocare il lettore; non però alla maniera stucchevole di un Cattelan, o fintamente erotico-desiderante di una Beecroft, ma caso mai alla maniera di Grosz, di Otto Dix, di Christian Schad, o di quel geniale iconoclasta che fu Piero Manzoni.   Siamo qui in presenza di “giochi” linguistici e figurativi che indicano un oltre e un altrove rispetto a ciò che è quotidianamente sotto i nostri occhi (“L’arte – scrive paul Klee nella sua Confessione creatrice – non ripete le cose visibili, ma rende visibile”), di un’apertura verso un’altra, una diversa configurazione del presente visibile e dell’invisibile, ma esteticamente ed eticamente sperato, futuro; almeno quello non manipolabile dalle tecniche mediatico-totalitarie del consenso. E’ dunque un libro che, in quanto tale, va non solo aperto e sfogliato, ma attraversato, esplorato, magari chiosato in margine e infine richiuso, ma che non è fatto per lasciare indifferenti o per andare incontro ai gusti dominanti e nemmeno per scandalizzare gratuitamente i benpensanti e i perfettamente integrati (ammesso che lo leggano); è “fatto”, cioè pensato, scritto e figurato per lasciare una traccia critica nella coscienza del lettore non benevolo ma pensante.

Fulvio Sguerso  14 ottobre 2010

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