ANARCHICI PER REAZIONE

Voglio qui affrontare un tema che ha agitato il dibattito politico negli ultimi giorni: il risorgere dei metodi violenti anti-sistema, con gli anarchici anatemizzati all’unisono dalle forze politiche ufficiali. Come nel caso delle Brigate Rosse, mi chiedo quante simpatie verso di loro si nasconda nel petto di tanti italiani, stanchi di essere depredati da governo ed enti pubblici, finendo col simpatizzare con quanti osano ribellarsi. E parlo di quei cittadini che sgobbano ogni santo giorno, ma sono assillati o dalla paura di perdere il posto o, se autonomi, da quella di dover chiudere bottega per l’essere finiti tra l’incudine e il martello, stritolati fra l’aumento spropositato della materie prime e l’impossibilità di vendere a prezzi altrettanto gonfiati, pena la perdita della clientela e quindi la chiusura. Cova un grande rancore tra la gente, per il senso di impotenza di fronte a forze superiori e invisibili, con aiuti dallo Stato inesistenti o risibili.

Nella sua recente commemorazione della Shoà, Mattarella ha stigmatizzato il conformismo di chi si adagia sugli ordini ricevuti sorvolando sulla loro morale. Mi ha fatto specie sentire elogiare l’anticonformismo da chi conformista lo è per ruolo: anche lui si adegua ad ordini, da fuori confini

La soluzione non è certo quella di un sistema anarchico, specie in una nazione già allo sbando e con un numero crescente di delinquenti a piede libero; ma bisogna riconoscere che anarchici e “compagni rossi che sbagliano” sono stati gli unici a far davvero tremare i “soliti noti” della politica.

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Se gli eversori avessero prevalso, adesso o allora, le piazze sarebbero costellate di monumenti in loro onore, come accade dopo ogni caduta violenta di un regime. In realtà, sono destinati alle patrie galere in regime di quel 41 bis contro cui a nulla vale un isolato sciopero della fame, alla Pannella. Condannati e reclusi alla maniera dei mafiosi, nonostante un abisso li divida. La differenza è che con la mafia, a quanto pare, si può venire a patti. Con gli anarchici no. La mafia può prendere il posto dello Stato, dove lo Stato non c’è, come Matteo Messina Denaro ha dimostrato nel Trapanese. Gli anarchici non offrono posti di lavoro; solo idee, per quanto utopiche, ma dotate del fascino dell’eroe sfortunato, che ardisce lottare in un mondo di succubi, opportunisti e acquiescenti. 
Il mondo è stato sempre retto da un insieme di dittature di fatto, etichettando variamente il reggitore di turno, fosse egli un re, un imperatore o semplicemente un nobile, se il territorio aveva dimensioni più contenute. In realtà si trattava di personaggi che oggi bolleremmo come dittatori. Il loro succedersi al trono non avveniva sempre placidamente, per semplice successione; anzi, più spesso si realizzava per rovesciamento dell’ordine costituito, sia dall’interno che per sollevamento popolare. La ghigliottina dei reali di Francia non fu che l’esempio più emblematico di cosa può condurre a fare la vista di una élite di ricchi parassiti da parte di un popolo allo stremo. Più recentemente, abbiamo visto cosa i romeni hanno fatto al dittatore di turno, Ceausescu. L’Italia, da circa 30 anni, sta vedendo crescere il divario tra l’esibizione sfacciata di ricchezza e il buio dignitoso della povertà, ossia la più probabile miccia di moti popolari (nuove tecnologie permettendo).
Il secolo scorso vide la fine ingloriosa di due dittatori, Hitler e Mussolini, col primo che si sottrasse al ludibrio dell’esecuzione di piazza, riservato invece al secondo.
Lo stesso secolo vide l’affermarsi di una forma di governo che riteneva di aver risolto i ripetuti rovesciamenti di regime del passato mediante una nuova formula: la democrazia. Si era pensato che, proponendo i nuovi reggitori attraverso periodiche consultazioni elettorali, il popolo si sarebbe sentito partecipe della cosa pubblica –cives in una res publica, appunto- con regolari avvicendamenti dei reggitori, non più insediati, più o meno autocraticamente e inamovibilmente, sul trono di un tempo.

Un politico di lungo corso, debordando persino dai 7 anni previsti dalla Costituzione per la carica di Presidente della Repubblica. L’Italia abbonda di parlamentari, ma sembra in crisi di disponibilità di leader maximi: quei pochi sembrano così convincenti da non far trovare sostituti! Persone ovattate come lui hanno mai fatto la fila per la spesa o per un’assistenza sanitaria?

Se limitiamo lo sguardo all’Italia, notiamo però che l’attaccamento alle comode poltrone, a partire dalla prima, ha prevalso, finendo col concrezionare una casta, che passa la vita nelle “segrete stanze”, addirittura violando la Costituzione, con un anziano politico eletto Capo dello Stato per due successivi mandati, come un novello monarca. Ed è votato -anziché democraticamente- dalla cerchia dei parlamentari, alcuni dei quali così abili da venir rieletti sino alla pensione (valga per tutti Giorgio Napolitano).

La moderna sede delle democrazie, a Wall Street. Le grandi banche d’affari giocano a scacchi coi destini di miliardi di persone attraverso i loro governanti democratici, costringendoli ad eseguire i propri voleri con silenziose mosse finanziarie, incardinate su un debito pubblico truffaldino, agitato in perfetto stile ricattatorio, in caso di riluttanza

In sostanza, ci si è accorti che la declamata Repubblica era solo una formula adatta a mascherare la millenaria realtà oligarchica (quale in realtà è ogni monarchia).
A peggiorare il quadro, si è anche scoperto che coloro che si crogiolano nella casta non sono neppure più reggitori, ma esecutori di ordini e programmi provenienti addirittura dall’estero, da un altro castello di carte creato in pompa magna a Bruxelles e Strasburgo, a nostre spese, che a sua volta dipende da un castello ancora più etereo: “i Mercati”, acefali ma ai quali nessuno osa disobbedire, pena sanzioni non visibilmente cruente: niente sangue, solo fame.

A braccetto con la finanza procede la tecnologia, come forma ausiliaria di dominazione, in quanto i pochi che la detengono sono i nuovi chierici. Il traguardo è la sostituzione dell’uomo in ogni campo: i robot non votano, e la democrazia diverrà un rottame o un rito senza conseguenze.

A questo punto qualsiasi cambio della guardia a Roma ha limiti strettissimi entro i quali operare, rendendo chiunque si insedi a Palazzo Chigi quasi una fotocopia dei suoi predecessori. Anche in campi non finanziari, nei quali ci si aspetterebbe maggiore libertà di movimento, si finisce con lo scontrarsi con i “tutori del Nord Europa”: l’immigrazione clandestina viene solo ostacolata con qualche strattagemma, ma in pratica prosegue agli stessi ritmi dei regimi precedenti, buttando poi i presunti naufraghi, senza alcun titolo per chiedere asilo, in cosiddetti centri di accoglienza, dove l’esubero numerico si traduce nel loro collasso.
A questo riguardo faccio un inciso personale: ho sperimentato cosa vuol dire essere dimenticato in un pronto soccorso (Santa Corona, nel mio caso) in mezzo ad una folla di altri sventurati, attendere invano per quasi 9 ore il proprio turno e poi desistere per il sopraggiungere della notte fonda, stanco e assonnato.  
Episodi come questo, che sono solo uno scorcio della situazione generale, ormai non fanno più notizia, ma covano come rancore graduale nell’animo della gente. Viene da chiedersi se gli immigrati clandestini siamo diventati noi. O è proprio questo che vogliono ai piani alti per farci sentire solo degli straccioni in balia della benevolenza di qualche potente in cerca di voti?

“L’autore si chiede se esistano alternative a un sistema che produce omologazione nei comportamenti e nei consumi, e marginalizzazione per i tre quarti dell’umanità.” Il capitalismo ha prodotto questo mondo globalizzato e non c’è alcuna speranza che sia esso stesso ad additarne l’uscita; anche se vuole convincerci che le vie ci sono, e sono tecnologiche, affidando con ciò alle macchine quel poco di umanità e di ambiente ancora rimasti

E qui torno al punto di partenza: quanti di noi sono anarchici in pectore, che aspettano solo la scintilla della deflagrazione politica? Alla maggioranza manca il coraggio. Affrontare il carcere, anche quello più punitivo, non è scelta che si fa a cuor leggero; e alla fine non si fa proprio: meglio straccione fuori che eroe dentro.
All’auto-disprezzo per non sapersi opporre con la violenza alla forza “per omissione di soccorso” del regime corrisponde un intimo elogio di chi invece non si piega. Le sue soluzioni possono anche non essere convincenti, ma suonano come rinnovamento, alla pari del seme che in natura deve prima distruggersi, per poi rinascere in un nuovo ordine.

Marco Giacinto Pellifroni   12 febbraio 2023

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3 thoughts on “ANARCHICI PER REAZIONE”

    1. Signor Cesare, la sua ammirazione per l ‘anarchico Gaetano Bresci mi fa supporre che lei si senta un anarchico in pectore. Se così stanno le cose non basta pensare ma occorre agire da anarchico. Altrimenti come distinguerla dalla folla delle “larve umane” di cui secondo lei è composto oggi il popolo italiano?

      1. Ha perfettamente ragione. Infatti io ho agito e agisco. Eccome! Ma non andando a strappare le bollette della luce in piazza. Leccandomi sempre le ferite.

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