Algoritmi e Metaverso

Nel tempo, piano piano ci stiamo abituando facilmente al primato delle scienze matematiche, della statistica, dei dati.
A farla da padroni gli algoritmi sempre più spesso ci aiutano a prendere decisioni, in tutti i campi, dagli acquisti online ai viaggi, alle cose che leggiamo.

E guidano le nostre preferenze e i nostri gusti, in molte applicazioni ed online in qualche modo.
il 26 ottobre, la rivista online “Wired.it” e ne ho parlato anche io in un recente post ed articolo qui su Trucioli Savonesi, raccontando come in Cina il partito comunista abbia proposto di valutare ogni cittadino in base ai propri dati online, creando entro il 2020 il cosiddetto “social credit system”, la cosa è andata avanti ed ora ha raggiunto tutta la popolazione cinese.
In questo modo si verrebbe a creare una situazione molto simile a quella narrata in “Black mirror”: ogni scritto prodotto per criticare la società, la politica, l’economia diverrebbe poi un reato.
Tutto questo per creare una società più armoniosa, senza tensioni.
Ma con quali privazioni?
Ormai abbiamo assimilato tutto questo come un dato di fatto.
Ma i numeri non sono tutto, da soli non bastano a spiegare il comportamento umano, il mondo e le sue dinamiche.
È prima di tutto un discorso di tipo tecnico: al momento non c’è una tecnologia in grado di arrivare a certe risposte senza l’input e un lavoro di limatura dell’uomo.
Ma non solo: le relazioni interpersonali, le reazioni alle notizie e agli eventi traumatici, le decisioni politiche, tutto quello che ha a che fare con i comportamenti individuali e sociali ha ancora una dimensione prevalentemente umana, inteso come difficilmente spiegabile, non quantificabile, che non possiamo ignorare.

Ma anche in occidente sempre più spesso le aziende si affidano alle scienze sociali per affiancare numeri, statistiche e dati alla ricerca delle informazioni più interessanti.
Il Financial Times in un’inchiesta del 2021 spiega perché al momento questa tecnologia da sola, non è in grado di prevedere e comprendere del tutto le scelte e le reazioni delle persone.
Il Financial Times, che parla dell’importanza delle scienze umane soprattutto per la capacità di andare oltre i modelli preimpostati, oltre le analisi quantitative e la cosiddetta tunnel vision che impedisce di considerare tutti i fattori in gioco all’interno di uno scenario.
«Oggi – si legge nell’articolo – la maggior parte delle professioni incoraggia ad adottare strumenti unidimensionali, o comunque troppo rigidi, in cui tutto è definito dagli input iniziali e il resto è considerato esternalità,
Ma se il contesto più ampio al di fuori di quel modello sta cambiando, allora quegli strumenti potrebbero non funzionare più.
È come camminare di notte in un bosco buio con una bussola e fissare solo il quadrante: non importa quanto valida possa essere quella bussola, se non guardi in alto e non hai una visione laterale, ti schianterai contro un albero. Il contesto conta».
Ed è qui che entra in gioco l’importanza dell’antropologia. Perché al centro di questo sforzo c’è una verità fondamentale: anche in un mondo digitalizzato, gli esseri umani non sono robot, ma animali complessi che hanno creato una miriade di culture diverse.

«Non possiamo fare finta di ignorare questa diversità. Quindi, in un mondo modellato da un’IA, l’intelligenza artificiale, abbiamo bisogno anche di una seconda IA: l’intelligenza antropologica», scrive l’autrice Gillian Tett.
Quasi tutti noi abbiamo un profilo facebook o twitter, siamo abituati a dire cosa ci piace e cosa no, a dare valutazioni, a fare recensioni, a scrivere come ci sentiamo, cosa pensiamo di determinate questioni che suscitano la nostra curiosità e il nostro interesse e niente meglio delle reti di questi social continua a farle rimbalzare nella nostra ‘Home’.

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Tutto quello che scriviamo e pubblichiamo non solo ci qualifica, ma talvolta un po’ ci etichetta, esprime i nostri gusti, le nostre passioni, i nostri stati d’animo, dove e con chi siamo.
Questo profilo pubblico online appunto dovrebbe identificarci per quello che siamo, non per quello che gli altri ci vogliono farci essere.
È evidente che alle persone piace sentirsi apprezzati, ma quanti possono dire che per ottenere questi consensi si mostrano sempre per quello che sono?
Il problema sta tutto qua.
E quindi sui social oltre a farci “guidare” veniamo anche convogliati, scremati, purgati e censurati dagli algoritmi.
Che alla fine della fiera ci fanno fare quello che vogliono le tendenze, politiche ed economiche.

Veniamo al Metaverso, era il neologismo in voga alla fine del 2021. Annunciato con grande clamore da Mark Zuckerberg, patron di Facebook, Instagram e WhatsApp, che vedeva così il futuro di Internet, il programma si è per adesso rivelato solamente una bolla tecnologica.
Ma di cosa si tratta il Metaverso?
Un mondo virtuale, un simulacro, dove esisterebbe anche una valuta virtuale di Facebook, visori virtuali per collegarsi in mondi di pixel con altoparlanti e suoni hd.
Il costo di questo fallimento che ha inghiottito gli investitori alla ricerca della prossima grande tendenza è enorme.
Il metaverso, con la grafica assomigliante ai Lego, già molto meno popolare della sua antenata “second life”per ora è accantonato, ma molto probabilmente lo sarà per sempre.
In un recente articolo pubblicato su Medium, Joel Stein traccia un parallelo tra il futuro del metaverso e quello del 3D. Lanciato al cinema già nel 1953, il 3D ha avuto solo sporadici successi con l’uscita di film iconici (Lo squalo, Avatar). Stein attribuisce questo fallimento allo strato tecnologico che “complica” l’esperienza.

Gli individui sarebbero attratti dalla semplicità dell’esperienza anche se il prodotto non è perfetto.
In altre parole, ci deve essere il minor “attrito” possibile; l’esperienza deve essere il più semplice possibile per essere “consumata”.
Non vivremo nel metaverso perché l’esperienza “fisica” avrà sempre qualcosa in più rispetto a quella virtuale.
Il metaverso, ovviamente, sarà messo alla prova, troverà applicazioni presso un pubblico esigente, ma non si imporrà come tecnologia di massa.
Questo fallimento annunciato è salutare.
Da un lato indebolirà Meta e contribuirà a sgonfiare la bolla tecnologica. Dall’altro, perdite di questo tipo ci ricordano che in definitiva gli utenti mantengono il potere decisionale.
Insomma per adesso, in un mondo in cui la tecnologia fa fatica ad essere realizzata, dove in Italia si discute ancora del pagamento con denaro o il Pos, l’uomo e la vita reale sono ancora più importanti delle macchine e della realtà virtuale.

Paolo Bongiovanni
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