AL CINEMA, NELLE SALE DELLA PROVINCIA

RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO
AL CINEMA, NELLE SALE DELLA PROVINCIA  
C’era una volta in Anatolia

 

RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO
AL CINEMA, NELLE SALE DELLA PROVINCIA 
C’era una volta in Anatolia

Uscita Cinema: 06/2012
 
Genere: Drammatico
Regia: Nuri Bilge Ceylan
Sceneggiatura: Ercan Kesal, Ebru Ceylan, Nuri Bilge Ceylan
Interpreti:  Muhammet Uzuner, Yılmaz Erdoğan, Taner Birsel
Fotografia: Gökhan Tiryaki
Montaggio: Bora Göksingöl, Nuri Bilge Ceylan
Produzione: Zeynep Özbatur Atakan In Coproduzione Con Mirsad Purivatra (Prod2006), Eda Arıkan (1000 Volt), Ibrahim Şahin (Trt), Müge Kolat (Imaj), Murat Akdilek (Fida Film), Nuri Bilge Ceylan (Nbc Film)
Distribuzione: Parthénos
Paese: Turchia 2011
Durata: 165 Min
Formato: Colore
Recensione di Biagio Giordano

A sera inoltrata  tre auto della polizia percorrono la suggestiva, semispoglia  campagna turca della provincia dell’Anatolia. Grandi sculture antiche raffiguranti  volti di divinità scolpite sulle rocce, appaiono qua e là illuminate  dai lampi di un temporale,  dando l’impressione che una spiritualità antica è testimone dell’infinito scorrere del tempo.

Gli occupanti dei mezzi sono alla ricerca del   cadavere di un gommista, che forse è  sepolto vicino a qualche sorgente, o ai piedi di una collina, oppure nei pressi  di un albero dai frutti selvatici.

A bordo ci sono un  loquace  e  permaloso commissario turco che considera la gentilezza una variante delle innumerevoli debolezze umane che si manifestano più apertamente, i suoi due poliziotti, il procuratore  giudice del distretto e il medico legale di quella zona. Sono guidati da  due fratelli dallo sguardo cupo, già rei confessi dell’omicidio, che promettono  per tentativi,  di trovare  il luogo  in cui giace, sepolta, la salma.

La memoria degli assassini è labile, al momento dell’omicidio erano ubriachi, hanno le manette ai polsi, sono annichiliti dalla umiliante situazione di fermo in cui si trovano,  sbagliano quindi ripetutamente la descrizione della zona interessata dalla sepoltura. La spedizione finisce per compiere  percorsi  tortuosi, molto più lunghi  del necessario tanto che il procuratore a un certo punto decide  di proseguire le ricerche per tutta la  notte.

A notte tarda, per ristorarsi, il gruppo  devia verso un paese vicino, distante circa 7 kilometri, dove vengono ricevuti amichevolmente dal sindaco che  dispone per  una cena. Il primo cittadino approfitta  della situazione  per ricordare al procuratore  la necessità di costruire  un obitorio, cosa  che permetterebbe agli emigrati all’estero di ritornare in tempo in paese per  rivedere i propri  defunti, tenuti al fresco, con le membra ancora ben composte. Inoltre il sindaco chiede al procuratore e al commissario di essere sostenuto nella richiesta  di un finanziamento necessario per erigere un  muro intorno  al  cimitero, cosa che eviterebbe così  la dannosa presenza di  animali  selvaggi o incustoditi sulle tombe.

 Il  procuratore ascolta pazientemente,  ma la sua attenzione pare essere diretta verso altre cose. Ristorato, il gruppo si alza e riprende, con maggiori  energie, la ricerca.

Verso l’alba, il cane della vittima che si trovava in una di quelle parti prossime all’esplorazione da parte del gruppo, consente di individuare  finalmente  il  cadavere.  La bestiola guidata dall’olfatto, si era recata  nel punto dove risultava  sepolto il  padrone ed aveva scavato  con le zampe una buca proprio sopra la sua testa  lasciando  intravedere i folti capelli neri del gommista.

Si verrà poi a sapere dall’autopsia che   l’uomo era stato sepolto  vivo.

 

Il cadavere viene  caricato  a  fatica  nel portabagagli di una delle tre  auto  e   trasportato  nella  cittadina  dove la vittima  risiedeva. Sarà ufficialmente identificato dai parenti e sottoposto ad autopsia.

Intanto si apprende, dai due fratelli arrestati, che il bambino piccolo che viveva con la vittima e la madre è in realtà il figlio naturale di uno degli assassini.

Quale segreto racchiude la orribile uccisione del gommista? La sua morte è legata in qualche modo al fatto che viveva con il figlio di uno degli assassini? Oppure la questione principale del film è di altra natura, più esistenziale e metafisica?

Il regista Nuri Bilge Ceylan, noto per film d’autore come Le tre scimmie (2008), Il piacere e l’amore (2006), Uzak (2003), Nuvole di Maggio (1999), compie con questo film di cui è anche cosceneggiatore  un ulteriore passo avanti verso la costruzione di un cinema del dettaglio e del pensiero confessato,  posti al di là di ogni ricerca spettacolare, intesi sopratutto come l’alter ego dei ruoli  stilistici convenzionali prescritti  ai personaggi. Egli si cala in quella parte  più vera e sfumata del dire dei ruoli che, seppur apparentemente contorta, si insinua, libera e profonda, tra le pieghe della recitazione formalizzata, suscitando pensieri che appaiono contigui all’inconscio dei personaggi

E’ ciò che nel cinema toglie lo smalto fittizio delle scene, la patina edulcorante del contenuto recitativo, penetrando nell’oscurità  dello schematismo-schermo legato ai modi espressivi semplificati dei personaggi allargandone il senso a dismisura.

L’effetto d’insieme è straordinario riguarda la configurazione  di un’altra  forma di realismo, dalle radici più disparate e profonde, vivacizzata da qualcosa che ha a che fare con la formazione di propaggini inconsce in grado di  intaccare la rigida maschera dell’Io recitativo. E’ qualcosa  che va contro la formazione di quei personaggi trasfigurati a modo per esigenze di copione,  costruiti in una certa forma più per consuetudine che per ricerca artistica, e che si offrono agli spettatori nella forma desiderante da essi più ricercata sul piano, banalmente evasivo.

Il cinema di Ceylan per salvare la cultura nella cinematografia mondiale insidiata dai video giochi si pone come ricerca di un contrappunto ingegnoso allo spettacolo: proponendo  allo spettatore non una forma di divertimento e intrattenimento sicure, già collaudate, ma  un esigente gioco di meditazioni e soddisfazioni legate alle curiosità culturali più pronunciate, quelle adagiate in una profondità di pensiero confessato per dettagli, per enigmi, superficialmente segnato nei personaggi del film dalla preoccupazione e dal pensiero filosofico estremamente solidale con gli altri  che proviene dalla difficile vita sociale di ciascuno, qualcosa  che può riempire il cuore  e la mente dello spettatore, orfano dello spettacolo, di una maggiore  comprensione  esistenziale dei personaggi, attraverso una identificazione attiva con essi, in un altrove immaginifico dove egli può incrociare  anche se stesso in una dimensione spazio tempo in cui non osava, in altre circostanze, soffermarsi per timore di andare incontro  nel suo immaginario a una sottile ma dolorosa emarginazione  rispetto ad una precaria integrazione di tipo soporifero, raggiunta nelle varie forme materiali e immaginifiche del  sociale.

Allo spettatore con questo film viene richiesto di non opporre resistenza a una immagine che lo lascia finalmente libero, senza dolori, aprendolo al  percezione piena di essa fatta di rifrazioni identificative e proiettive di natura profonda, in una logica di valorizzazione delle conseguenti preziose riflessioni potenziate dall’empatia verso personaggi più autentici. Gli viene richiesto di rinunciare del tutto alle aspettative sognanti del film, di non sperare più di poter giungere facilmente ad appagamenti visivo-pulsionali immediati segnati dal gioco delle appartenenze.

L’autore regista Ceylan propone al pubblico di fare esperienza di un attraversamento spirituale indubbiamente legato a una sorta di respiro multi etico senza confini precisi, prodotto dallo specchio della sofferenza nelle sue infinite varianti e dai limiti esistenziali, metafisici, della vita lontani da ogni forma di politica.

Il pubblico con questo film può  diventare desideroso di calarsi in un contesto dell’assoluto inconscio che riguarda il fascino di un suo riuscito parlato, comunicato per immagini pensiero, che scaturisce da un altrove visivo inventato dal cinema con il  suo magico dispositivo artistico.

BIAGIO GIORDANO
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