UOMINI E TOPI

UOMINI E TOPI
In questi giorni sono stati stanziati dal Comune di Savona 40 mila euro per mettere un freno al proliferare dei topi nel centro città

UOMINI E TOPI

In questi giorni sono stati stanziati dal Comune di Savona 40 mila euro per mettere un freno al proliferare dei topi nel centro città, la regia dell’operazione è stata affidata ad ATA; 40 mila euro che verranno utilizzati per un opera di sterminio nelle aree dove si sono registrati le più alte concentrazione di ratti, attraverso il posizionamento di esche, la sistemazione di trappole, la rimozione carcasse etc etc.

Questi denari sono molti? Sono troppi? O forse sono troppo pochi?

Per poter comprendere a pieno la questione bisogna inquadrare il problema in modo scientifico e tecnico, chiarendo per prima cosa quanto si intende per derattizzazione o, usando un termine più corretto, gestione animali critici.

Nel 2012 partecipai, per caso, a un convegno sul tema che si svolse presso l’associazione GhetUP nel quartiere del ghetto di Genova, una delle aree più degradate e colpite dal problema sorci.


In quell’interessante incontro il Prof Albonetti zoologo dell’Università di Genova e collaboratore dell’Ufficio Gestione Animali Critici del Comune di Genova, diede una semplice e chiara descrizione di cosa si intende appunto per “gestione animali critici”.

Con gestione animali critici si indica il processo con cui viene governato il proliferare di specie animali indesiderate\fastidiose\potenzialmente pericolose – quali topi, piccioni, scarafaggi, zanzare serpi etc – entro il territorio di pertinenza del comune, con particolare riferimento alla cinta urbana; in altre parole, l’ufficio per cui lavora il Professor Albonetti si occupa di contenere la popolazione degli animali critici presenti sul territorio del comune, cercando di mantenere il loro numero abbastanza basso da non prefigurare alcun rischio per gli abitanti umani del territorio.

La prima cosa da tenere presente è che la gestione dei ratti non è una guerra da vincere mirando alla totale eliminazione dell’avversario; le dimensioni contenute dei roditori, la loro innata capacità di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente e soprattutto la velocità con cui si riproducono, fanno sì che si possa considerare azione umanamente impraticabile la loro eliminazione totale e definitiva.

Bisogna accontentarsi di mantenere il loro numero entro una certa soglia di sicurezza; ne deriva che l’efficacia di un opera di derattizzazione non potrà essere valutata sulla base dell’annientamento totale del nemico.

Quello a cui si punta è piuttosto diminuire il numero degli esemplari presenti sul territorio in quelle zone dove tale numero sia diventato troppo alto, quindi potenzialmente pericoloso per l’uomo, facendolo tornare entro quella che potremmo chiamare una fascia “verde”, considerata non preoccupante; un intervento di questo tipo sarà logicamente tanto più efficace quanto più a lungo riuscirà a mantenere la popolazione dei topi entro tale fascia “verde”.

Quindi quello che conta non è tanto estirpare quanti più topi possibili, ma creare le condizioni per evitare che i suddetti topi si riproducano velocemente tornando a infestare la città.

L’aspetto che distingue una buona azione di derattizzazione da una di cattiva qualità non è solo il numero di esche piazzate o di carcasse rimosse (quindi di topi avvelenati), ma bensì l’impatto che questa ha sul territorio rispetto alla gestione delle condizioni che permettono la prolificazione dei topastri. Alcuni punti cruciali per la gestione della numerosità dei topi in città sono: la rimozione dell’immondizia presente negli spazi pubblici (ad esempio le aree verdi non curate rappresentano un ottimo luogo di accoppiamento) e privati (cantine o ripostigli), la gestione degli stabili e delle aree abbandonate entro la cinta urbana, la gestione delle aree cittadine dove si accumulano immondizia e sporcizia, nonché la promozione di comportamenti virtuosi tra i cittadini.

Il Professor Albonetti si soffermò in modo particolare sulla promozione di comportamenti virtuosi nella popolazione, come aspetto spesso sottovalutato ma fondamentale per la gestione della prolificazione dei topi e degli animali critici in generale; scarsa è la conoscenza del tema da parte dei più, questo fa si che spesso il cittadino metta in campo dei comportamenti errati che vanno a diminuire l’efficacia degli interventi di derattizzazione.

Per esemplificare: il ratto è un animale abitudinario, che sceglie sempre gli stessi percorsi per spostarsi, le trappole vengono di norma piazzate proprio su tali autostrade invisibili, il topo che vede la trappola per la prima volta fa dietrofront e abbandona la pista per qualche tempo tornando dopo qualche giorno nel luogo dove aveva incontrato la trappola, solo dopo diverse visite entrerà nella trappola portando anche i suoi compagni per assaggiare il cibo avvelenato che essa contiene; fondamentale è non disturbare tale processo, spostando le trappole o spaventando il topo perché questo ritarderebbe di molto l’entrata in funzione della trappola piazzata.


Quando, in una zona soggetta a derattizzazione, un cittadino avvista un topo, di norma lo insegue roteando una scopa e urlando come un guerriero sioux pensando di compiere un azione virtuosa; in realtà in questo modo sta minando il “clima di fiducia” necessario per far si che i topi caschino nella trappola.

Altra pratica piuttosto diffusa è quella di incastrare una cassetta della frutta per tenere aperto il bidone dell’immondizia, rendendo così più agevole lo scaricare immondizia, lo si vede fare spesso nei pressi del mercato civico o di alcuni esercizi commerciali; questa abitudine permette di risparmiare qualche minuto ai commercianti, ma ha una controindicazione notevole: un  cassonetto aperto ha per i topi lo stesso appeal che ha per noi una sagra del raviolo, il cibo richiama molti topi nella zona dove è disponibile e se i topi hanno disposizione molto cibo, non avendo altre distrazioni a cui dedicarsi, finiscono col riprodursi all’impazzata.

Il quadro che emerge configura l’operazione di gestione della popolazione dei ratti sul territorio come un processo complesso, che investe ambiti differenti appannaggio di diversi enti e assessorati, quali: ambiente, lavori pubblici e non per ultimo quello adibito alla partecipazione dei cittadini.

Insomma non si tratta di una battaglia privata o di una guerra lampo da vincere con un blitz spregiudicato, ma bensì di una campagna di ampio respiro che va portata avanti di concerto, attraverso strategie condivise.

Questo il Comune di Genova lo ha ben chiaro, infatti ormai da anni affida la gestione del fenomeno a un ente specifico, trasversale a più assessorati, il quale ha il compito non solo di ordinare la derattizzazione quando necessaria, ma di far evolvere il processo di derattizzazione in virtù del progresso tecnico in tale ambito.

L’ente non è solo ordinante delle operazioni ma è anche responsabile dell’efficacia delle operazioni stesse, scegliendo e indicando dove e come gestire il numero degli animali critici.

Proprio in questa ottica ha ultimamente fatto partire, coinvolgendo le associazioni del territorio, nei quartieri più degradati una campagna atta alla sensibilizzazione e partecipazione dei cittadini alla battaglia per la  diminuzione del degrado e alla gestione della prolificazione della popolazione dei  roditori; progetto che si prefissa di diffondere sul territorio buone prassi che permettano di contenere l’inesorabile impulso moltiplicativo dei sorci, quindi di rendere maggiormente efficaci e durevoli gli interventi per la diminuzione della popolazione esistente, con la conseguenza di far risparmiare alla collettività denaro (che può essere speso in modi più simpatici e costruttivi rispetto allo sterminare in modo atroce creature, le quali vengono uccise attraverso la lenta emorragia causata, a livello viscerale, dal veleno ingerito).


A questo… link ….alcune informazioni rispetto a quanto sta accadendo a Genova.

Come mai cose di questo tipo non accadono anche sul nostro territorio?

Vi sono diversi motivi, in primis, senza dubbio, l’approccio feudale applicato dalla nostra classe dirigente all’ambito che sono chiamati a gestire, sono all’ordine del giorno, e trovano sponde sia in rete che sulla carta stampata, le misere liti di cortile tra assessori che lamentano lo sconfinamento di un collega nel loro specifico ambito di pertinenza; appare chiaro come con questa cultura dell’impresa pubblica risulti piuttosto complesso creare sinergie o delineare strategie di collaborazione.

In secondo luogo, bisogna considerare che sul business della derattizzazione ballano più denari che in quello degli idrocarburi, un processo di derattizzazione costa caro, quindi più di frequente questo deve essere ripetuto tanto più alto sarà l’introito per l’ente che lo realizza.

Tornando alla domanda che ci siamo posti all’inizio di questo contributo, cioè se 40 mila euro siano pochi o molti per un opera di derattizzazione: la risposta è che questi soldi possono essere considerati moltissimi se il processo di intervento si basa esclusivamente sulla diminuzione della popolazione dei roditori e non cura la promozione di comportamenti e buone prassi nella Comunità Savonese; buone prassi che potrebbe far si che tali costosi interventi, finalizzati a diminuire il numero dei topi in città, possano essere più diluiti nel tempo e non essere realizzati a cadenza annuale come sta accadendo da qualche tempo a questa parte.

La differenza che passa tra un intervento che contempla anche la diffusione di buone prassi sul territorio e uno finalizzato solo all’eliminazione fisica del ratto, è la medesima che passa tra investire e spendere.

Come detto anche in altre occasioni, nel momento in cui si decide di non investire sulla crescita della Comunità, si sprecano le energie della comunità stessa e si spendono male i suoi denari.

Andrea Guido

 

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