CINEMA – Teorema

 
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
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TEOREMA

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TEOREMA
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Titolo Originale: TEOREMA

Regia: Pier Paolo Pasolini

Interpreti: Silvana Mangano, Terence Stamp, Massimo Girotti, Anne Wiazemsky, Laura Betti, Andrés José Cruz Soublette, Ninetto Davoli, Carlo De Mejo, Luigi Barbini, Giovanni Ivan Scratuglia, Alfonso Gatto, Susanna Pasolini

Durata: h 1.38

Nazionalità: Italia 1968

Genere: drammatico

Al cinema nel Settembre 1968

Recensione di Biagio Giordano

Film prossimamente in TV

 Nella fastosa villa dell’industriale  Paolo (Massimo Girotti) giunge un giovane invitato bello e colto (Terence Stamp),  di cui per tutto il film non si conoscerà alcun particolare della sua biografia. Il suo ingresso in una famiglia tipicamente borghese, ma solo nelle apparenze rilasciate dai ruoli, porta tutti i suoi membri a un o straordinario coinvolgimento passionale con la sua figura umana più profonda.

Il seducente ospite ha rapporti sessuali, con uno stile mai disgiunto da una comunicazione esistenziale aperta di grande impatto empatico, prima con la domestica Emilia, poi con il figlio di Paolo, Pietro, in seguito con la moglie Lucia (Silvana Mangano), sua figlia Odetta e lo stesso Paolo.


 

Dopodiché fatta questa esperienza di piacere la famiglia borghese di Paolo esce in modi diversi da ogni conformismo soffocante improntato di vita agiata, ciò non lo farà in quanto appartenente a una supposta categoria  aliena-borghese, bensì in quanto famiglia costituita, per misteriosi motivi, da una sensibilità particolare, dirompente, rimasta a lungo solo ospite di codici etici borghesi divenuti  universali e storicizzati in un ordine economico ricco di effetti sociali.

 Emilia diventa una convinta fedele che levita da un tetto, Pietro scopre e si appassiona alla pittura d’avanguardia, Odetta va incontro a seri problemi psicologici diventando catatonica, Lucia si dà al piacere sessuale occasionale con giovani ragazzi e Paolo dopo aver donato la sua fabbrica agli operai corre nudo verso l’ignoto del proprio inconscio con un grido di angoscia che sembra preludere a un difficile ma necessario distacco dalla repressione istintuale del mondo civile.  


 “Teorema” è un film del 1968 di Pier Paolo Pasolini, che ne è anche l’autore e il regista. Per alcuni noti critici questa è un’opera filmica molto significativa, una sorta di emblema sociopolitico del 1968, un’epoca dominata da forti ideologie di sinistra e di destra contestatrici dei valori etici dominanti considerati falsi e di un sistema democratico ritenuto in balia delle forze più retrive padronali e della finanza. La contestazione, che stava pericolosamente estendendosi,  usava allora qualsiasi mezzo per raggiungere i suoi scopi arrivando addirittura a sconfinare, tramite alcune sue frange oltranziste, nel terrorismo.  

Molto è stato scritto su questo film,  a volte in un modo pregnante, gravido di caldi assensi poetici, a volte in una forma distaccata, fredda, intenta a cogliere in una forma più intellettuale tutta la drammaticità di un epoca forse per diversi aspetti irripetibile.


Rileggendo qua e là i diversi commenti apparsi su quotidiani e riviste, balza però subito agli occhi come la maggior parte degli scritti su questo film prendano in considerazione pochissimi argomenti e spesso ripetitivi, non riescano cioè a toccare i vari  numerosi motivi di cui è in realtà intessuto questo film.

Di questi scritti quasi tutto viene lo più articolato in chiave politico-ideologica, o sacrale religiosa, intesa quest’ultima in una accezione tipicamente pasoliniana  come questione popolare contadina caratterizzata da eccezionali disagi esistenziali legati al turbolento sviluppo economico industriale degli  anni ‘60, disagi dovuti  al distacco traumatico dal sacro più profondo e inconscio, costituente la spiritualità delle masse. Effettivamente Pasolini si è dedicato a lungo anche allo studio della civiltà moderna,  sottolineando lo sradicamento dal territorio indotto con lo sviluppo del miracolo economico a buona parte del mondo contadino, il tutto  a favore del godimento di nuovi feticci consumistici e di status simbol disastrosamente sostitutivi di tutto un mondo spirituale più autentico di lunga tradizione italiana.

Tematiche certamente appartenenti  a Pasolini, da lui elaborate più volte nei suoi scritti in diverse direzioni, ma che  siccome non facevano parte  di saggi costruiti coi metodi convenzionali-scientifici, bensì letterari poetici, non hanno avuto un eco istituzionale adeguata ma solo caotiche risonanze mediatiche, quest’ultime a volte di grande successo di ascolto sopratutto per la provocazione ad alto tasso di polemicità televisiva che  derivava dal coinvolgere nelle discussioni importanti amministratori del sistema posto sotto accusa da Pasolini.


In realtà le possibili chiavi di lettura di questo film non sono poche, e tutte aprono orizzonti culturali nuovi, che vanno da argomenti legati alla psicanalisi, alla filosofia, all’esistenzialismo empirico, alla sociologia e alla letteratura avente per oggetto l’enigma inconscio, alla poesia scevra da ogni ideologia o utopia di appartenenza.

Il film quindi non è  proprio una dissacrante parabola sulla classe borghese in declino di identità o una ennesima trasposizione filmica del problema reale tra sacro e sessualità intesi in un contrasto relazionale denso di implicazioni nevrotiche, esso per lo più apre all’infinito poetico dell’immagine: costituito da misteri ed enigmi di cui non si possono raggiungere a volte tutti i significati, ma per i quali vale  la pena di svolgere un percorso empatico con l’autore-poeta:  guida-narratore . Un viaggio che non può non essere denso di emozioni identificative e proiettive perché ad esse  sottostanno, in una forma creativa, pulsioni inconsce di forte valenza letteraria.

 

 BIAGIO GIORDANO
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