CINEMA: La madre
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
In sala in provincia
La madre
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RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
In sala nella provincia di Savona
La madre
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Titolo originale: Mama Nazione e Anno: Canada, Spagna, 2013 Regia: Andrés Muschietti Cast: Jessica Chastain, Nikolaj Coster-Waldau, Megan Charpentier, Isabelle Nélisse, Daniel Kash, Javier Botet, Jane Moffat, Morgan McGarry, Julia Chantrey Genere: Horror Distribuzione: Universal Pictures Italia Produzione: Toma 78, De Milo. In sala nella provincia di Savona Recensione di Biagio Giordano |
Nel 2007, le bambine Victoria e Lily, scomparvero insieme al padre dal quartiere in cui risiedevano solitamente. La cosa stupì perché avvenne senza lasciare alcuna traccia. Lo zio Lucas e la fidanzata di lui, Annabel, a distanza di anni continuarono però le ricerche.
La loro perseveranza ebbe successo e le piccole vennero ritrovate vive, nascoste tra le suppellettili, in una baita che appariva in un primo momento disabitata e deserta. Le loro condizioni di salute, di aspetto e di igiene apparvero subito gravi. Le sorelle avevano vissuto per 5 anni in una condizione di massima indigenza, i loro modi di fare erano diventati bradi, le bambine si muovevano gattonando velocemente a scatti, come animali roditori sempre all’erta, attenti e diffidenti di tutto.
Gli zii superato lo shock procurato dalla vista di immagini così raccapriccianti e del tutto insolite, impongono alle bambine di venire con loro nella casa in cui abitano, con l’intento di tentare di portare a buon fine sia una rieducazione di fondo che una cura dei traumi così fortemente patiti dalle due bimbe.
Annabel cerca di far riprendere alle piccole un aspetto più umano e gradevole, ma durante il suo impegno educativo e di cura inizia a percepire nella casa, tra i muri, una presenza malvagia, intelligente, qualcosa che sembra voler mettersi di traverso tra lei e le bimbe, con delle ragioni oscure, del tutto misteriose e paurose.
Riuscirà Annabel a portare avanti la sua cura verso le bambine eludendo la presenza malefica?
La madre, film di Andrés Muschietti, rappresenta l’esordio al lungometraggio horror del talentuoso autore argentino, famoso in vari festival per i suoi cortometraggi di qualità sempre di un certo spessore spettacolare ed artistico. Il film è un horror originale, colorato e solcato in buona parte da argomenti strettamente psicanalitici.
E’ un film che appare subito di buon spessore letterario, ma molto complesso, difficile da seguire e da interpretare, cose quest’ultime non del tutto negative perché obbligano un certo spettatore, per lo più molto giovane e non proprio colto che è ben presente in questo genere di film, e che di solito è abituato a pensare come da video gioco, a usare con maggiore impegno le sue facoltà più intellettive.
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Il film punta nel suo più profondo a creare una suggestione fantasmagorica, qualcosa che va di pari passo, in parallelo ma in stretta relazione significante con qualche propaggine dell’inconscio effetto abituale della settima arte, favorendo negli spettatori più sensibili nevroticamente a questo genere di spettacolo, rievocazioni anche paurose del loro materno più intimo, cioè quello particolarmente problematico che è di solito legato a desideri dell’infanzia molto intensi e fortemente ambivalenti.
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Andrés Muschietti gioca la carta psicanalitica con successo e non lo fa per andare sul sicuro sul piano commerciale, ammiccando verso un genere di spettatori tipici frequentatori di questo genere di film che si distinguono per i loro numerosi tratti nevrotici, ma per avere un campo di possibilità di scelte argomentative, di stampo letterario, molto più vasto.
Infatti solo un’ampia gamma tematica di scelta è in grado di garantire a film di questo genere composizioni narrative sempre originali.
La psicanalisi avente per oggetto di studio le infinite formazioni dell’inconscio che si volgono in disagi psichici o compromessi riparativi, consente di spaziare tematicamente da un campo clinico a un terreno più artistico, costituito il primo da moltitudini sintomatiche che ben si prestano al racconto horror, e il secondo da possibilità esplorative e di trasposizioni sullo schermo di aspetti raffinati della clinica legati per lo più al fascino del mistero e dell’enigma, quest’ultimi in stretta relazione con gli strati più costitutivi dell’inconscio e con le sue logiche di funzionamento.
La madre allora nel discorso nevrotico ben presente nel film è colei che dà la vita ma che può anche toglierla, in una varietà infinita di modi simbolici non ultimo quello che porta all’omicidio reale, perché essa non riesce a garantirla, ciò accade spesso per incapacità a tenere fermo un ruolo che appare scosso, vacillante, vanificato da sopraggiunti desideri altri, dissociativi rispetto all’unità famigliare mono desiderante che il figlio e le istituzioni auspicano ma anche rivendicano. Questo film rappresenta un figlicidio in atto che si configura lungo una logica di indistruttibilità dei ruoli familiari, perché quest’ultimi sono ancorati ad un ambito civile che non ammette eccezioni di debolezza pena la depressione invalidante. Al rapporto madre-figlio allora non resta che volgersi a volte verso una zona di negazione rappresentativa del problema stesso, entrando in un campo di finzioni e indifferenze che mantengono il civile in piedi ma lo depotenziano di ogni valenza simbolica chiara e reale. Questo film potrebbe rappresentare uno spazio di scrittura altro dove il simbolico madre invadendo ogni spazio psichico del proprio io accenna a una risoluzione immaginaria del figlicidio con la rimozione, mantenendosi con l’ausilio del paranormale, inteso come forza rimovente, su un piano di passionale negazione della realtà.
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BIAGIO GORDANO |