CINEMA – Bella addormentata
RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO
In uscita in questi giorni nella provincia di Savona
Bella addormentata
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RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO In uscita in questi giorni nella provincia di Savona
Bella addormentata
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Regia: Marco Bellocchio Titolo originale: Bella addormentata Nazione e Anno: Italia, Francia , 2012 Genere: Drammatico Durata: 115 minuti. Cast: Isabelle Huppert, Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Tony Servillo, Michele Riondino, Gianmarco Tognazzi, Brenno Placido, Pier Giorgio Bellocchio Produzione: Cattleya, Rai Cinema, Babe Films, Friuli Venezia Giulia Film Commission. Recensione di Biagio Giordano
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Premessa 1.1 L’eutanasia può essere definita in senso lato come qualsiasi atto compiuto da medici o da altri, avente come fine quello di accelerare o di causare la morte di una persona. Questo atto si propone di porre termine a una situazione di sofferenza tanto fisica quanto psichica che il malato, o coloro ai quali viene riconosciuto il diritto di rappresentarne gli interessi, ritengono non più tollerabile, senza possibilità che un atto medico possa, anche temporaneamente, offrire sollievo. 1.2 L’eutanasia attiva consiste nel determinare o nell’accelerare la morte mediante il diretto intervento del medico, utilizzando farmaci letali (ad esempio un barbiturico ad azione rapida che induce il coma e una dose elevata di cloruro di potassio, che determina l’arresto cardiaco). Questo è il significato che attribuiremo al termine eutanasia nel proseguimento della discussione. 1.3 Il suicidio assistito indica invece l’atto mediante il quale un malato si procura una rapida morte grazie all’assistenza del medico: questi prescrive i farmaci necessari al suicidio (si tratta in genere di barbiturici o di altri forti sedativi o ipnotici) su esplicita richiesta del suo paziente e lo consiglia riguardo alle modalità di assunzione. In tal caso viene a mancare l’atto diretto del medico che somministra in vena i farmaci al malato. |
Alcune scene del film
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1.4 Il termine eutanasia passiva viene invece utilizzato per indicare la morte del malato determinata, o meglio accelerata, dall’astensione del medico dal compiere degli interventi che potrebbero prolungare la vita stessa: un esempio potrebbe essere rappresentato dall’astensione dal trattare con terapia antibiotica un malato di demenza di Alzheimer, oppure un neonato gravemente deforme, con breve aspettativa di vita, colpito da polmonite. In realtà, sarebbe opportuno non utilizzare il termine eutanasia in tal senso; è invece preferibile in questo caso parlare di astensione terapeutica. |
1.5 In altri casi i medici devono ricorrere, per mantenere in vita una persona, all’impiego di apparecchi meccanici oppure alla nutrizione totale mediante sonda o fleboclisi o ad entrambi i mezzi. Si definisce allora come sospensione delle cure la decisione di fermare questi interventi, con il risultato della morte dell’individuo, peraltro in tempi non sempre rapidi. 1.6 La morte può anche essere causata o accelerata dall’impiego in dosi massicce di farmaci, come ad esempio la morfina o i suoi derivati, somministrati allo scopo di alleviare sintomi quali il dolore o la dispnea. In questi casi la morte non è la conseguenza di un atto volontario del medico, ma piuttosto un effetto collaterale del trattamento. A cura del Gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza, nominato dalla Tavola Valdese, composto da persone appartenenti alle chiese evangeliche e attive nell’ambito della ricerca, dell’università e della chiesa. Eluana Englaro, nata nel 1970, è deceduta il 9 febbraio del 2009. La ragazza è rimasta vittima a soli 20 anni di un grave incidente stradale, avvenuto nel 1992, quando l’auto da lei guidata si è scontrata accidentalmente con un palo della luce fratturandole alcune vertebre. La donna è vissuta in uno stato vegetativo – incosciente per ben 17 anni, fino alla morte naturale avvenuta per interruzione della nutrizione decisa dal magistrato di corte di appello ed eseguita dal padre che svolgeva la funzione di tutor. La famiglia, nel 1999, 7 anni dopo l’incidente, non sperando più in una ripresa dello stato cosciente della figlia, aveva chiesto alla magistratura il permesso di interrompere l’alimentazione. La domanda aveva suscitato in Italia un dibattito molto acceso sulla questione del fine vita, un vero e proprio confronto-disputa tra idee diverse, spesso polemico e costantemente in contrapposizione, che aveva coinvolto le forze politiche, la cultura laica e religiosa di molte istituzioni umanitarie, la chiesa cattolica, varie comunità evangeliche protestanti, le diverse correnti culturali della magistratura, provocando numerose reazioni anche nella stampa straniera. Dopo un lungo cammino giudiziario, la richiesta dei genitori di Eluana veniva accolta, la magistratura motivava l’accoglimento positivo della domanda in due punti: primo la mancanza di ogni possibilità di recupero della coscienza della donna, secondo la necessità di tener conto dei pensieri espressi da Eluana in vita su questo tipo di problematiche, ricostruiti tramite testimonianze. Eluana alla luce di ciò che era capitato a un amico e a un suo compagno di scuola, entrambi vittime di gravi incidenti, aveva dichiarato più volte che in una situazione simile piuttosto che rimanere per chissà quanto tempo in uno stato comatoso-vegetativo avrebbe preferito morire.
Nel racconto filmico, con sullo sfondo gli ultimi sei giorni di vita della Englaro, si snodano drammaticamente quattro storie distinte, che si articolano nelle loro vicende più importanti mantenendosi in parallelo, ma che si intrecciano nell’immaginario dello spettatore per via di un certo contrasto tra di loro che non passa inosservato, come la diversità nella reazione psicologica dei personaggi rispetto a problemi che sono tra di loro analoghi, gli opposti costumi morali incarnati dalle persone più significative degli ambienti proposti dal film tutti con la pretesa di essere nel giusto quando sollecitati a prendere delle posizioni, e le drastiche scelte sul dolore cariche di conseguenze ancora più drammatiche fatte dalle famiglie aventi casi di vita vegetativa in casa. Protagonista è l’etica del fine vita, i cui interrogativi nel rapporto col film portano a una miriade di effetti storiografici, delineando uno spaccato umano, culturale e politico dell’Italia dell’ultimo ventennio di notevole interesse. Il film si sofferma in particolare sul comportamento e i pensieri delle persone legate sentimentalmente o professionalmente agli infermi, chiamati indirettamente o direttamente ad assumersene le responsabilità, essi alleviano i loro sensi di colpa o portano avanti principi etici e professionali di forte intensità ideale, rompendo un loro abitudinario modo di vivere, a volte cambiando addirittura vita, a volte ritornando con la mentalità a stadi esistenziali precedenti la cui dinamica regressiva appare inarrestabile. Su questo film di Bellocchio, che ha partecipato all’ultimo festival di Venezia 2012 ricevendo ampi consensi verbali ma rimanendo inspiegabilmente lontano dai premi, la critica italiana più legata alla stampa ha mostrato i soliti due volti a cui ci ha abituato da tempo. Il film è stato praticamente bocciato da questi critici, nel primo impatto giornalistico,, e Bellocchio assai criticato soprattutto per aver perso una ben nota capacità di raccontare, cosa che se vera sarebbe stata molto grave per il regista; in un secondo tempo, quando lo studio più approfondito del film prendeva corpo nelle menti dei critici, essi riscoprivano nella pellicola, in una aperta contraddizione, le capacità più letterarie e drammaturgiche di Bellocchio, quelle tradizionali, che non sono certo da sottovalutare. L’aggiustamento del tiro da parte dei critici fa riflettere sulle logiche di vendita dei giornali che oggi sembrano degradare sempre più la notizia culturale e artistica, facendoci rimpiangere le già problematiche informazioni e analisi della stampa degli anni ’50 e ’60. Per fortuna che l’attenzione della critica si è spostata a un certo punto dal formalismo-narrativo di Bellocchio ai contenuti politicamente e storicamente più evocativi del film riferiti a un’era densa di questioni di cui è impregnata tutta la pellicola sfuggendo in un certo senso dal film e calandosi con una certa passione nella realtà da esso evocata, usando il film come occasione, eccezionale strumento di memoria collettiva della nostra nazione, per parlare, lungo una via associativa interminabile, della storia etica, politica e giudiziaria del paese. Il film di Bellocchio è indubbiamente ben strutturato, ricco ancora di artigianalità, eseguito con grande cura e precisione del montaggio. La pellicola appare caratterizzata da una ricerca ben selezionata dei dettagli scenici simbolici più significativi, quelli in grado di risaltare meglio con immagini il periodo storico e nello stesso dare scorrevolezza per sintesi iconica alla sequenze narrative più ambiziose, togliendo ciò che nella foga di dire di più avrebbe complicato la comprensione delle sequenze. Il tema etico proposto, è ben messo a fuoco, e appare esauriente nella sua articolazione sopratutto quando si cala nelle propaggini del sociale e delle istituzioni, un risultato ottenuto forse in virtù di una notevole capacità di ricapitolazione di Bellocchio, di un lavoro di compendio geniale per riassunto delle varie questioni psicologiche nate sulla scia di un dovere etico allora molto oneroso. Il film è una sorta di riepilogo mascherato da letteratura romanzata che nulla toglie alla complessità della questione fine vita ma anzi aggiunge chiarezza proprio nel non dare ragione a Tizio o Caio ma rimanendo in sospeso, guardando le cose dall’alto, a volo di uccello, un modo di narrare simile, per metafora, a quello che in gergo cinematografico negli anni ’50 veniva denominato “il punto di vista di Dio”. Per Marco Bellocchio la chiarezza sta nel ricercare sempre la verità, anche se scomoda, nel riuscire a dare la più ampia testimonianza possibile, a 360 gradi, dei fatti accaduti raccogliendo pensieri e gesti significativi presenti nel loro svolgersi. Il film crea negli spettatori sia interesse e curiosità che una sorta di attesa redentrice, una liberazione immaginifica, fantasticata, irrazionale, dall’oppressione delle maggiori burocrazie istituzionali che gestiscono il corpo infermo. Ciò è di grande valore estetico-narrativo ed etico-culturale, ed è tipico dei film di Bellocchio (vedi Pugni in tasca).
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