Umano, non umano, più che umano

UMANO, NON UMANO,
PIU’ CHE UMANO  

UMANO, NON UMANO, PIU’ CHE UMANO

 Oggi è più che mai attuale la figura del filosofo cinico Diogene di Sinope (soprannominato dai suoi contemporanei “Il Socrate pazzo”), che andava in giro in pieno giorno con una lanterna in mano, rispondendo a chi gliene chiedeva il motivo: “Vado in cerca dell’uomo”, intendendo dell’uomo autentico che vive secondo natura, non secondo le finzioni, gli artifici, gli orpelli, gli inganni più o meno dolci o ameni, i falsi bisogni e le consuete ipocrisie della vita sociale che lo snaturano al punto di assimilarlo a una macchina parlante. Il tema dell’uomo macchina toccò la sua acme nel Secolo dei Lumi ad opera del medico e philosophe Julien O. de La Mettrie, autore dello scandaloso  saggio materialistico e ateistico L’homme machine (1747): “Il corpo umano è una macchina che  ricarica da sé le molle che la muovono: immagine vivente del moto perpetuo.


I cibi ricostruiscono ciò che la febbre consuma. Senza di essi l’anima languisce, infuria e cade morta. E’ come una candela la cui fiamma si fa più viva poco prima di spegnersi”. Ora, alla luce del continuo progresso delle biotecnologie che “meccanizzano” ognora l’organismo umano (basti pensare ai pace maker e agli arti artificiali ormai più funzionali di quelli naturali) la differenza tra uomo e macchina si fa di giorno in giorno più sfumata, e così la distinzione tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale, tanto che il concetto stesso di natura umana  diviene sempre più problematico e inafferrabile. Questa mutazione antropologica dovuta alla tecnica offre da tempo materia alla letteratura fantascientifica, al cinema e a quelle che una volta si chiamavano “belle arti”.

Riguardo alla letteratura, è d’obbligo citare tra i patriarchi del filone cyberpunk Frankenstein o il nuovo Prometeo di Mary Shelley (1818), nonché Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886) di R. L. Stevenson, se non addirittura l’ Homunculus degli alchimisti, sulla creazione del quale ha scritto pagine memorabili il medico, alchimista e astrologo  svizzero Paracelsus – autore, tra l’altro, di Tre libri sul mal francese (cioè la sifilide) del 1528 e di un’opera Sulle malattie che privano della ragione del 1567 -. Ma venendo ai giorni nostri, l’iniziatore postmoderno di una fantascienza caratterizzata dalla ribellione degli androidi (o cyborg) contro i loro “programmatori” e produttori è senza dubbio il geniale e tormentato scrittore statunitense Philip K. Dick, a cui dobbiamo capolavori assoluti come Il cacciatore di androidi del 1968 e Ubik, mio signore del 1969.

 

 In un testo autobiografico pubblicato dopo la sua morte, troviamo questa illuminante confessione: “Ho sperimentato l’invasione della mia mente da parte di una mente razionale trascendente, come se fossi stato pazzo per tutta la vita e improvvisamente fossi diventato sano” (Radio libera Albemuth , 1985). Tra gli scrittori che descrivono scenari futuri in cui domineranno le cosiddette “intelligenze artificiali” sempre più autonome rispetto a chi le ha programmate (magari con l’intenzione di sfruttarle alla stregua di forza lavoro non umana e quindi enormemente più resistente e “intelligente” di quella umana), spiccano  Bruce Sterling – che è anche collaboratore del quotidiano La Stampa di Torino –  e il matematico e informatico Rudy Rucker, entrambi statunitensi. Nel romanzo Cismatrix del 1985, Sterling immagina un mondo futuro anche extraterrestre diviso fra Plasmatori che programmano organismi mutati in laboratorio secondo operazioni di  ingegneria genetica, e Meccanismi che intendono migliorare l’organismo umano per mezzo di innesti meccanici.


Nel romanzo La luce bianca del 1980 e poi in mirabili saggi come La quarta dimensione. Un viaggio guidato sugli universi di ordine superiore e La mente e l’infinito. Scienza e filosofia dell’infinito Rudy Rucker  conduce la sua ricerca artistica e scientifica sulle dimensioni parallele e ignote della realtà spaziotemporale tramite l’estensione dell’intelligenza artificiale alla  mente  umana, in tal modo  varcando i limiti  della consueta percezione sensoriale e passando dalla fantascienza cyberpunk al transrealismo. Quanto al cinema, la data della svolta nel genere fantascientifico è il 1968, l’anno del film 2001. Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. “Alle tradizionali storie di invasioni aliene e dischi volanti, l’avventura spaziale dell’astronauta protagonista di questo film sostituisce una problematica riflessione sulla vita dell’uomo e sull’universo. Seguendo il messaggio radio di un monolito rinvenuto sulla luna, i componenti della spedizione intraprendono un  viaggio interstellare che pare l’emblema di tutti gli straordinari viaggi di cui l’essere umano è capace, alla conquista di una difficile quanto entusiasmante conoscenza” (Pedagogia e Post-umano, Franca Pinto Minerva e Rosa Gallelli, Carocci, 2004).

 

Sì, ma con una differenza fondamentale rispetto a tutti i precedenti viaggi di scoperta: l’equipaggio dell’astronave ‘Discovery One’ è soggetto alla supervisione di HAL9000, un computer dotato di un’intelligenza artificiale capace di dialogare con gli esseri umani, ma anche, come avviene nel film, di ribellarsi. Kubrik aveva progettato un film interamente dedicato all’intelligenza artificiale, ma morì prima di realizzarlo. Lo realizzò il suo amico fraterno Steven Spielberg, nel 2001: I. A. Intelligenza Artificiale ; qui gli androidi assomigliano esteriormente in tutto e per tutto agli esseri umani e sono inoltre in grado di gioire, di soffrire, di voler bene e di provare sentimenti come l’amicizia e la gratitudine, tanto che, in certi casi, si dimostrano migliori degli esseri umani. Un altro famoso film divenuto una pellicola cult è Blade Runner di Ridley Scott, del 1982, liberamente tratto dal romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick. In questo film, scrive Massimiliano Panarari su La Stampa del 4 ottobre 2017, commentando l’annuncio dell’atteso  sequel dato dal regista canadese Denis Villeneuve, “sin dalle sequenze iniziali – nelle quali compare a tutto schermo un gigantesco, enigmatico occhio azzurro che riflette i bagliori di Los Angeles- , lascia intravedere l’esistenza di un’opposizione (o di una non coincidenza) tra l’apparenza e la realtà che si è fatta virtuale”. In altri termini: se la realtà virtuale sembra più vera di quella reale, che cosa ci impedisce di pensare che anche la realtà che percepiamo come vera sia in realtà – mi si passi il gioco di parole – un’altra forma di  apparenza?

 

 E’ anche il problema affrontato nel film Matrix del 1999, dei fratelli Wachowski: i personaggi del film credono di vivere in un mondo reale mentre in realtà vivono in un mondo virtuale elaborato al computer. E se anche noi spettatori vivessimo in un mondo elaborato da un super computer in grado di farci credere di vivere nella realtà vera? Quante volte, sognando un brutto sogno, pensavamo di essere svegli e, quindi, di non poterci risvegliare da quel sogno opprimente e angoscioso? Blade Runner , continua Panarari , è “una delle tante anticipazioni che ne fanno un film passaporto per l’ingresso dello spettatore nella temperie postmoderna, dove la soggettività e la razionalità dell’individuo sono entrate irreversibilmente in crisi. E dove la tecnologia domina al punto da dissolvere la differenza tra organico e artificiale, scaraventandoci nella dimensione del postumano, quella incarnata dai replicanti, a volte più umani di quegli umani che si aggirano come monadi isolate (o desolate) sullo sfondo di una magalopoli californiana dark e angosciante, trasfigurata dal tecnobiocapitalismo”. Eh sì. credo proprio che a  Diogene  non basti più la sua filosofica lanterna per distinguere l’umano dal non umano e dal più che umano; ora quella lanterna è sostituita dall’occhio artificiale di una macchina intelligente programmata per riconoscere chi è ancora capace di soffrire, di gioire, di compatire, di amare  o di piangere ascoltando la Passio secundum Mattheum di J. S. Bach, o i Quattro Improvvisi di Franz Schubert o la Messa di Requiem di Verdi…

   FULVIO SGUERSO 

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