UE: PAROSSISMO ECOLOGICO E FALSA MORALE

Quando le ideologie si sostituiscono ad una sana politica di auto-conservazione si finisce con l’implodere. L’esempio più recente l’abbiamo sperimentato con il comunismo sovietico.
Ma, purtroppo, la storia non funge da maestra a gran parte dei governi europei e a quel castello di sabbia che dovrebbe rappresentarne la quasi totalità; e dico dovrebbe, poiché in realtà del recente voto dei cittadini europei il castello di Bruxelles non ha tenuto il minimo conto, rinnovandosi come se nessuna elezione si fosse svolta, nel totale disprezzo della tanto invocata democrazia.
Il risultato è che siamo rimasti nelle mani di un vertice succeduto a sé stesso e intento a causare all’Europa quanti più danni possibili. Un vertice che viene accusato di essere a supina trazione degli USA, da un lato facendo propri certi suoi estremismi quanto a diritti civili, ad es. in campo razziale e sessuale, con le minoranze promosse a maggioranze; e dall’altro riuscendo invece a distaccarsene, lanciandosi in una ricerca spasmodica della “purezza etica ed ambientale”.
Alla fine, sommando a canoni ecologici del tutto avulsi dalla sostenibilità economica, presunti principi morali di fronte all’invasione russa di parte dell’Ucraina, appiattendosi sulle posizioni americane, che dalle sanzioni avevano tutto da guadagnare, l’UE è riuscita a meritarsi il tapiro d’oro della stolidità e dell’autolesionismo.

“Le sanzioni che abbiamo imposto alla Russia hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa e sulla sua economia…”. Mario Draghi, 2022. [VEDI]

Del resto, da quando il mondo è transitato dal bipolarismo USA-URSS al monopolio USA, quest’ultimo s’è retto su tre pilastri: preponderanza militare, sanzioni economiche e dollarizzazione dell’economia internazionale.

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Come un antico istitutore, gli USA sono finora riusciti ad assoggettare il mondo dando i voti agli Stati attraverso le loro agenzie di rating, determinandone così le politiche, sanzionando gli indisciplinati, sia interdicendone i liberi scambi sui mercati, sia punendoli attraverso organismi internazionali dagli USA etero-guidati, come la Banca Mondiale, l’IMF e il WTO.  
In realtà, le sanzioni hanno sinora costituito soltanto un freno temporaneo al libero operare delle nazioni colpite, non certo la loro paralisi. Ciò è risultato vieppiù evidente con le recenti sanzioni alla Russia, che secondo i piani occidentali avrebbero dovuto azzoppare l’economia russa (la sicumera di Draghi sembra una eco dello “spezzeremo le reni alla Grecia” di mussoliniana memoria); quando, al contrario, questa ha addirittura prosperato rispetto alle nazioni comminanti, che sono entrate in profonda crisi economica per la mancata disponibilità di materie prime, in particolare energetiche, fornite sino allora dalla Russia.
Anche sul fronte militare la capacità di difesa e offesa russa sono state ampiamente sottovalutate, spingendo, attraverso massicce forniture di armamenti, i poveri ucraini verso l’immolazione. La decimazione degli uomini al fronte ha spinto il governo ad abbassare ed alzare gli anni della leva obbligatoria; col risultato di mandare al fronte schiere di nuove leve, giovani e anziani, del tutto impreparate alla guerra vera, e talmente terrorizzate da disertare in gran numero. Per non parlare delle macerie dominanti in parecchie città ucraine, che hanno reso l’intera nazione l’ombra di sé stessa, nonché prelibato boccone per l’imprenditoria occidentale, che già prefigura di spartirsene le spoglie; così come i precoci piani in stile Yalta di “spezzettare” la Russia una volta finita sotto il tallone occidentale.

Nei sogni prematuri dell’Occidente, questa era la mappa di una Russia sconfitta, disgregata in diverse entità territoriali. Sogni di gloria, rivisti alla luce della situazione odierna

La piega che hanno preso gli eventi dopo la guerra russo-ucraina è stata insomma quella di dare avvio, dopo il sogno della globalizzazione, ad un nuovo bipolarismo, dove nulla sarà mai come prima, in particolare il “sogno americano” di dominio sul mondo.Tra l’altro, la partigianeria occidentale nei confronti del resto del pianeta è apparsa più che mai evidente se solo confrontiamo i nostri comportamenti verso la Russia, con Putin condannato come novello terminator e in quanto tale sottoposto a mandato di cattura internazionale, di contro alla tolleranza riservata a Netanyahu, contro la cui persona non è spiccato alcun provvedimento giudiziario. Per non dire delle 167 sanzioni imposte alla Russia per l’invasione parziale dell’Ucraina, e le zero sanzioni comminate a Israele per l’invasione parziale del Libano. Anzi, anche qui fiumi di armamenti per aiutare quello che in un precedente articolo Fulvio Baldoino aveva puntualmente definito il 51° stato USA. Colpire Israele equivale a colpire gli USA.

Viktor Orbàn è al suo 4° mandato come premier dell’Ungheria grazie alla sua politica di difesa della tradizione e dei confini da intrusioni destabilizzanti. Anche la sua politica economica di tenere a bada stipendi e inflazione, nonché basse tasse, ha determinato il rinvio dell’adozione dell’euro: “È pericoloso entrare nel club dei ricchi quando l’economia non è ancora pronta” (Matolcsy, Presidente Banca Centrale ungherese). Una considerazione purtroppo assente in Ciampi, Draghi, Prodi [VEDI]

A proposito di sanzioni, merita porre in luce un pacchetto di sanzioni proposte dal Parlamento europeo alla nazione che osa da anni disturbare il manovratore europeo, sigillando le frontiere agli immigrati illegali e varando misure economiche e sociali in totale stridore con quelle raccomandate dall’UE e dalla sinistra. Per prima cosa, rimangono bloccati oltre € 6 miliardi di contributi europei; e, come multa, € 200 milioni + € 1 milione al giorno (!) finché l’Ungheria non abbandoni la sua strada dissidente e si adegui alle direttive comunitarie. Una batosta per un Paese piccolo, secondo gli standard attuali (meno di 10 milioni di abitanti); che infatti Orbàn si è rifiutato di pagare, controbattendo con la proposta di inviare, a spese dello Stato, torpedoni di migranti a Bruxelles. Un coraggio che manca alla quasi totalità degli altri governanti europei, escluso Fico, della Slovacchia; tanto che Ungheria e Slovacchia sono le uniche nazioni europee escluse dalla “lista di proscrizione” di Putin, lasciando intendere che tutte le altre sono corree nelle ostilità verso la Russia e quindi possibili obiettivi futuri.
Concludo con il terzo “asso nella manica” USA: il dollaro come moneta di riserva e pressoché obbligatoria per le transazioni internazionali. Anche quest’arma monetaria è da tempo, e oggi più che mai, sotto il tiro del blocco orientale in via di costituzione, e anche in via di espansione tramite l’adesione ai BRICS di sempre più nazioni sin qui soggette ai voleri di Washington.

Tutti insieme, appassionatamente: Brasile, Cina, Sud Africa, India e Russia, fondatori del congegno creato per porre fine all’egemonia del dollaro (e delle altre valute “forti”: euro, yen, sterlina), passato sotto il nome di “dedollarizzazione”. Chi detiene il monopolio della moneta ha in pugno il destino del popolo, a livello nazionale; e dei popoli, su scala mondiale

Se questo articolo può a prima vista passare per “filo-putiniano”, rispondo che è semplicemente fedele ai fatti, e cioè alle conseguenze delle misure occidentali nei confronti della Russia, molto più penalizzanti per i sanzionatori che per il sanzionato; in particolare per quei Paesi del Nord, come Germania, Polonia e Finlandia, ad esempio, che si sono ritrovati con costi energetici e delle materie prime indispensabili per il comparto tecnologico assolutamente insostenibili economicamente e destabilizzanti politicamente. Insomma, le macerie che l’Occidente sperava di vedere in Russia se le ritrova a casa propria.
Sullo sfondo di questo teatro c’è il conflitto tra Israele e Iran, finora delegato a terzi, così come in Ucraina, ma prossimo a diventare diretto, dopo la prima risposta dell’Iran alle provocazioni di Israele. Un capitolo che merita però un trattamento a parte.
E l’Italia? A parte il flatus voci della Meloni a sostegno dell’Ucraina, l’apporto materiale alla stessa è stato abbastanza limitato; e in generale hanno prevalso le invocazioni all’uso della diplomazia e l’esortazione ad evitare l’escalation: vedi le conclusioni del vertice sulla sicurezza di recente convocato dal nostro primo ministro.
C’è, dietro questo scenario, un convitato di pietra: l’ambiente. Gran parte del mondo, detto in parole povere, “se ne frega”. Gli USA fingono di tenerne conto, ma il loro stile di vita, immutato, è la prova del contrario; e quale che sarà il nuovo Presidente, non avrà nessuna forza contro le potenti lobby finanziarie e industriali che governano gli stessi USA e, sinora, il resto del mondo, ormai però in fibrillazione contro il loro strapotere. L’Europa s’è posta l’ambizioso (quanto irrealizzabile) obiettivo di coniugare l’attuale stile di vita con stringenti (per non dire iugulanti) regole -il green deal-peraltro di dubbia efficacia, se non addirittura controproducenti, per il conseguimento del target voluto. Nell’immediato, però, l’UE mostra il rovescio della medaglia, fomentando la guerra in Ucraina, sulla falsariga degli USA in Israele. E non c’è niente di meno green delle guerre.

Immagini contraddittorie: immensi parchi di auto nuove in esubero, specchio della sovrapproduzione che caratterizza l’odierna società, sul genere delle città nuove fantasma della Cina. Ne conseguono licenziamenti a raffica, crolli in Borsa; e, ciononostante, scioperi per tenere alta la produzione e l’occupazione. Le vittime, come sempre, sono due: lavoratori e ambiente

Se posso esprimere la mia opinione, dopo decenni che palpito per la strada storta intrapresa dal 1945 in poi, solo un mondo con ⅓, se non ¼, degli attuali abitanti, ricchi compresi, potrebbe permettersi l’attuale stile di vita, e senza smanie di crescita. Ovvero potrebbe ospitarci, rimandando di qualche secolo il redde rationem, se non fosse inabitabile, un pianeta delle dimensioni di Giove. In entrambi i casi scemerebbero in pari misura i motivi di guerre per accaparrarsi le materie prime necessarie alla generale prosperità. Ma poiché sono entrambe utopie, a ridimensionare la nostra tracotanza saranno eventi scatenati dall’uomo, ma lamentati come naturali. E saranno di potenza oggi inimmaginabile, in una escalation che nessuno riuscirà a fermare. Tanto meno gli attuali governanti, immemori delle devastazioni delle due guerre mondiali del ‘900.

Marco Giacinto Pellifroni     6 ottobre 2024

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