Tutto il dolore che conta davvero.

Tutto il dolore
che conta davvero

Tutto il dolore che conta davvero.

“Se un Dio avesse creato questo mondo, io non vorrei essere Dio, perché il dolore del mondo mi strazierebbe l’animo.” Questa frase, scritta dal filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, è diventata nel tempo un’espressione di manifesto ateismo o, quantomeno, di conclamato laicismo. Schopenhauer fu un deciso oppositore della filosofia Hegeliana, improntata su di un idealismo razionalistico ed ottimistico, accusandola di eccessiva astrattezza e di distaccarsi troppo dal mondo reale. Per il celebre filosofo, la volontà di vivere è causa prima di sofferenza, poiché è accompagnata dalla consapevolezza che la vita avrà una fine. La moderna psichiatria individua in questa consapevolezza un elemento basilare nell’eziogenesi di molte forme di dipendenza. Al di la di estremizzazioni, o strumentalizzazioni, legate ad una interpretazione letterale del pensiero di Schopenhauer, una riflessione relativa al concetto di dolore, possiamo provare a formularla. Occorre distinguere tra dolore di natura fisica e dolore di natura psichica.  La prima osservazione può ragionevolmente consistere sull’evidenza che ciascuno di noi vive, prima o poi, nell’arco della propria esistenza un’esperienza che è causa di dolore.

Tutti, pertanto, possediamo una concezione del dolore. A livello fisico esiste una percezione della soglia del dolore, che varia da soggetto a soggetto, legata prevalentemente a processi di tipo neurobiologico, in particolare alla produzione di neurotrasmettitori chiamati endorfine. L’esperienza del provare dolore fisico è comunque comune a tutti gli esseri senzienti, ed è da essi vissuta in modo molto simile. Il dolore psichico è legato a livelli di percezione molto soggettivi, in parte connessi alla componente temperamentale ed in parte connessi alla componente esperienziale di ciascuno. Pertanto le cause per le quali proviamo dolore sono altamente soggettive. Come soggettive sono le reazioni di fronte al dolore altrui. Un dato piuttosto inquietante che emerge dai più recenti studi sul comportamento umano, ma evidenziabile concretamente negli eventi di cronaca pressoché quotidiani, è un notevole incremento degli atteggiamenti di indifferenza verso la sofferenza. Questo avviene, ragionevolmente, perché abbiamo sviluppato una sorta di assuefazione a scene crude, violente, falsate dai mezzi di comunicazione. Eppure il dolore permea la nostra esistenza, che lo si voglia o meno. Infine, cosa è il dolore? Ciascuno ha le proprie risposte, legate in genere ad una rappresentazione visiva e/od emozionale. La mia personale immagine del dolore è rappresentata da un gattino investito sulla strada, leccato dalla madre, come se tutto il suo amore potesse portarlo indietro, con tanti imbecilli curiosi a guardare un attimo prima di accelerare ed andarsene. Esiste un dolore che “valga” di più o di meno di un altro? Anche in questo caso la risposta è nell’animo di ciascuno. Il mio personalissimo pensiero è che tutto il dolore che conta davvero sia quello che lascia un graffio, od un solco, nella memoria di chi ne è testimone.

Giovanna Rezzoagli Ganci

http://www.foglidicounseling.ssep.it

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