Terrore; terrorismo e terroristi

TERRORE; TERRORISMO E TERRORISTI

La parola italiana ‘terrore’ deriva dal  latino terror , a sua volta derivato  dal verbo terrere che significa ‘spaventare’; di qui aggettivi  come terribile, terrificante, terrorizzante, terrorizzato e nomi come  terribilità, terrorismo e terroristi.   

TERRORE; TERRORISMO E TERRORISTI 

 La parola italiana ‘terrore’ deriva dal  latino terror , a sua volta derivato dal verbo terrere che significa ‘spaventare’; di qui aggettivi  come terribile, terrificante, terrorizzante, terrorizzato e nomi come  terribilità, terrorismo e terroristi.   La parola italiana ‘terrore’ deriva dal  latino terror , a sua volta derivato  dal verbo terrere che significa ‘spaventare’; di qui aggettivi  come terribile, terrificante, terrorizzante, terrorizzato e nomi come  terribilità, terrorismo e terroristi.  


 Per l’Enciclopedia Treccani on-line  il  ‘Terrorismo’  è “L’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata per destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili “. Ma i terroristi hanno mai ottenuto qualcosa all’infuori di ammazzare innocenti e di farsi ammazzare?  Sono mai riusciti a “destabilizzare” i poteri costituiti” o a “restaurare” l’ordine?  Che cosa hanno ottenuto, per esempio, le Brigate Rosse? Non hanno contribuito potentemente alla sconfitta politica del Partito Comunista Italiano che stava per conquistare legittimamente e democraticamente il potere in Italia? E che cosa hanno ottenuto gli stragisti neri se non il protrarsi  del lento declino del centro moderato democristiano? A destabilizzare il sistema  pentapartitico italiano ha provveduto la magistratura milanese nei primi anni Novanta, tanto che sembrava ormai spianata al Pds di Occhetto la via per il Governo del Paese, se, a scongiurare questo pericolo, non  fosse intervenuta la  famosa discesa in campo del magnate dei media, amico del plurinquisito  Craxi, Silvio Berlusconi, alleatosi per l’occasione con Umberto Bossi e con Gianfranco Fini.


Le conseguenze degli atti terroristici sono sempre state funeste; si pensi all’attentato del serbo-bosniaco Gavrilo Princip contro l’erede al trono d’Austria-Ungheria Francesco Ferdinando in cui morì anche la moglie Sofia, a Sarajevo, il 28 giugno del 1918 o a quello contro le Twin Towers, a New York, l’11 settembre del 2001. Quest’ultimo attentato è all’origine di una  guerra che è tuttora in corso e che non si sa quando e come finirà. Non si tratta di una guerra, per così dire, tradizionale, come è ben noto, ma di una guerra in cui il ricco e super armato Occidente è tenuto in iscacco da organizzazioni  terroristiche fondamentaliste islamiche come al Qa’ida o l’ISIS, acronimo per Islamic  State of Iraq and Syria. Queste organizzazioni colpiscono il nemico, cioè noi, anche tramite i cosiddetti Foreign Fighters, combattenti volontari provenienti da vari paesi, anche occidentali, che si addestrano nel Califfato per poi tornare nei loro paesi d’origine a commettere quegli attentati contro la popolazione civile che ci fanno sentire tutti vulnerabili e senza difesa di fronte a un nemico votato alla morte che colpisce quando meno te lo aspetti. I terroristi odiano, oltre al nemico, anche la pace: nel loro delirio suicida e omicida  vorrebbero che tutto il mondo, non solo il Califfato, il Medio Oriente e le altre zone di guerra del pianeta, precipitasse in una guerra  continua e senza confini da cui, alla fine, uscisse un solo vincitore contro gli infedeli.


 Per questo mortifero ideale tanti giovani fanatizzati sono pronti a farsi saltare in aria in luoghi affollati per provocare il maggior numero di vittime e continuare quella sciagurata guerra cominciata quindici anni fa in Afghanistan. In questi anni abbiamo assistito a una escalation di attentati nel cuore della civile (ma non tanto pacifica) Europa. La mia generazione è cresciuta nella convinzione che, almeno qui da noi, non ci sarebbero più  state guerre; questa convinzione ha cominciato a vacillare di fronte alle nuove guerre balcaniche e ai bombardamenti della Nato sulla Serbia. Ora, con i terribili attentati di Parigi, di Bruxelles e di Nizza, è caduta l’illusione che l’Europa potesse rimanere un’isola felice circondata da nazioni squassate da guerre intestine e lontana da teatri di guerra permanente come in Libia e in Siria (e, purtroppo, in Israele). Ormai non è più il caso di farsi troppe illusioni: le guerre asimmetriche che abbiamo acceso in paesi lontani ci hanno portato la guerra asimmetrica in casa. D’altronde, come  la violenza dilaga  in privato e tra le mura domestiche, o tra concittadini che invece di cooperare al bene comune si fanno guerra l’un l’altro,  così dilaga tra gruppi etnici e bande criminali che non conoscono altra via per raggiungere i loro scopi, cioè la supremazia su altri gruppi etnici e altre  bande criminali.


Come non si sapesse che la violenza genera violenza, la guerra (che non sia alla guerra medesima) altra guerra, e il terrore altro terrore. A questo punto ci si domanda: ma come possiamo difenderci dalla violenza, dalla guerra e dal terrorismo?  Se nella nostra società il debole soccombe e il forte domina, non sarà che così deve accadere per assicurare la sopravvivenza dei più adatti alla vita? Non sarà una legge di natura quella che gli agnelli esistono per essere sbranati dai lupi? Se così fosse lo stato di natura non avrebbe altra legge che quella della giungla e quindi Hobbes avrebbe ragione a teorizzare uno Stato cui solo spetti il monopolio della violenza: per salvare l’umanità dall’autodistruzione ci vuole un Leviatano che impedisca ai singoli cittadini l’uso delle armi (anche di quelle economiche), e rinunci alla libertà di nuocere ad altri cittadini meno attrezzati o capaci di difendersi.  Non sembra un’utopia? Ma se togliamo anche le utopie dal pensiero degli umani, che cosa rimarrà? Andando avanti (o indietro) di questo passo il terrore dilagherà fini al punto in cui tutti, come pensava Leopardi, preferiranno morire piuttosto che vivere in un mondo siffatto.

Fulvio Sguerso

 

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