STRAGI

Stragi. Stragi?
Stragi? Stragi.

 Stragi. Stragi?
Stragi? Stragi.
Domenica 18 novembre 2012, ore 20.00. Come in tante case, anche nella nostra si ascoltano le notizie del telegiornale. Le notizie sono particolarmente tragiche, con i venti di guerra che spirano sempre più intensi dal Medio Oriente. All’orecchio allenato di chi è abituato a cogliere le sfumature linguistiche che i giornalisti sono soliti utilizzare, non può sfuggire l’utilizzo del vocabolo “strage”.
 Sto scrivendo questo contributo proprio mentre sta andando in onda il telegiornale e questo termine è stato utilizzato per descrivere quattro situazioni molto diverse tra loro e che, proprio per questo, meriterebbero di essere raccontate con le dovute differenze. Proviamo allora a leggere  ciò che viene detto, ma soprattutto a leggere tra le virtuali righe di ciò che viene lasciato all’interpretazione. Stragi: quella in atto nella striscia di Gaza, quella dei morti sulle strade per colpa di guidatori ubriachi, quella dei settanta giovani immolatisi per la causa tibetana, quella dei 20 cacciatori uccisi dall’inizio della stagione venatoria. Stragi, in alcuni casi, certo. Una strage certamente è quella dei bimbi uccisi in una guerra senza fine, una guerra in cui sono nati e morti senza avere mai avuto davvero una speranza di vita vera. La guerra tra israeliani e palestinesi non è destinata ad avere termine in tempi ipotizzabili, troppo odio, troppo dolore, troppe vite spezzate. Non basteranno le prossime generazioni a sanare le ancestrali tendenze a sopraffare. Altra strage che merita appieno, a mio parere, di essere nominata tale è quella dei settanta morti per difendere il diritto di esistere del Tibet.

Una strage silenziosa, che non fa rumore. Si immolano per ciò in cui credono i giovani tibetani, e ciò merita il più grande rispetto, poiché non vi è vita meglio vissuta di quella intensamente tesa a darvi significato. Inorridisco quando si parla di strage per quanto attiene ai venti morti a causa della caccia.

 Pratica barbara e ormai priva di qualsivoglia significato, attività svolta al solo fine di uccidere, distruggere, soddisfare un intimo sadismo che è caratteristico di coloro che vivono credendosi signori e padroni di un mondo in cui sono solo ospiti. Si uccidono tra loro, persino sparandosi da soli, sparando ad ogni cosa che si muova: spesso anziani, con il porto d’armi concesso in visite collegiali in cui non si approfondiscono i tratti psicopatologici eventualmente presenti in questi soggetti (basta guardare quante armi da caccia sono utilizzate per compiere delitti). Persino un bambino di dodici anni, a caccia col padre, è stato ucciso. Vittima prima di tutto della scelleratezza genitoriale che ha consentito la partecipazione di un bambino a questo indegno spettacolo. Una morte insensata cui è stato negato persino il senso del dono degli organi. Oggi le doppiette dovevano restare a casa in segno di lutto, figuriamoci. Ma vi sembra che la categoria dei cacciatori sia generalmente dotata di sensibilità e rispetto tali da comprendere un simile concetto? Il risultato è stato la ventesima vittima, ma non di una strage, solo della follia umana che distrugge. Per favore, non chiamiamo strage ciò è semplicemente frutto dell’egoismo più becero. E non chiamiamo stragi quelle del sabato sera, perché nessuno è obbligato a sballarsi, drogarsi, ubriacarsi. Tantomeno nessuno ha il diritto di mettersi al volante in condizioni tal da arrecare danno, a se stesso, ma soprattutto agli altri. Queste non sono stragi, ma solo altro frutto dell’umana follia, quella che spreca la vita perché la considera scontata. Morti inutili, che seguono vite vissute ancora più inutilmente. Giudizi duri, i miei, certo, ma sinceri. Perché la vita è una e sprecarla, disprezzarla, è uno dei peggiori ed imperdonabili torti. Dimenticavo: l’etimologia del termine “strage”, dal latino “stragem” che significa uccisione di una grande quantità di uomini o animali, per cause naturali o artificiali, dove per artificiali si intende la guerra, non la stupidità.
Giovanna Rezzoagli Ganci
 
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