Sguardo sull’educazione

L’avvenire che ci attende   14ª parte  

La necessaria evoluzione scolastica e culturale

(Terzo capitolo)

Nell’ormai lontano Maggio 1995, è giunto, all’attenzione dei pubblici amministratori, terzo rapporto OCSE (Organizzazione Internazionale per la Cooperazione Economica e di Sviluppo), avente per titolo:

“SGUARDO SULL’EDUCAZIONE”

Riporto, sinteticamente, i dati riferiti all’Italia (ovviamente relativi all’anno 1995):

  •  L’Italia è dotata di un alto numero di insegnanti, inferiore soltanto al Belgio (in questa Nazione, tuttavia, vige l’obbligo scolastico sino al 18° anno di età); la percentuale di insegnanti in rapporto alla popolazione risulta essere del 4,2%, rispetto alla media Ocse, pari al 3, 1 %. La nostra popolazione scolastica è sostanzialmente identica a quella della Gran Bretagna, ma il numero dei nostri insegnanti rappresenta quasi il doppio rispetto a quello inglese;
  •   La situazione, sopra evidenziata, si ripercuote nel rapporto tra insegnanti ed alunni; evidenziamo a tal proposito, i seguenti dati:

 –      11,8 alunni per insegnante nella scuola materna (standard OCSE: 20,2 alunni)

 –      10,5 alunni nella scuola elementare (standard OCSE: 17,4 alunni)

 –       9  per insegnante per la scuola media ( standard OCSE:  13,8 alunni).

Di fronte a questa situazione apparentemente positiva (anzi, ideale) troviamo altri dati che contrastano palesemente (o meglio paradossalmente) con essa; vediamo di analizzare, in dettaglio, questi ulteriori elementi;

 * Assieme al Portogallo, l’Italia rappresenta l’unico Paese industrializzato, nel quale l’obbligo scolastico si arresta ai 14 anni (in tutti gli altri Paesi, tale limite si innalza oltre il 15° anno di età, sino a giungere ai 17 degli Stati Uniti ed ai 18 anni del Belgio); 

 * La popolazione italiana, compresa tra i 6 ed i 29 anni, è scolarizzata al 50%  vale a dire una delle percentuali più basse d’Europa; in questo contesto, particolarmente preoccupante appare il fenomeno della cosiddetta “dispersione scolastica” (intendendo, con questa dizione, la crisi degli studenti che abbandonano la scuola, senza aver conseguito un titolo di studio);

 * Il numero delle ore di insegnamento continua ad essere stranamente basso; infatti il numero di ore dei corsi dispensati dagli insegnanti in Italia è pari a 748 nella scuola elementare (contro una media OCSE di 858 ore), risulta essere di 612 ore nella media inferiore (rispetto ad una standard OCSE di 781 ore), continua ad essere di 612 ore nella secondaria superiore (dato OCSE: 745 ore);

 * Il numero dei diplomati in Italia è inferiore alla media europea (essi rappresentano, infatti, il 42% della popolazione compresa tra i 25 ed i 34 anni, (media Ocse: 65%);

 * I nostri laureati difficilmente trovano una stabile occupazione (il 39% di essi, ad un anno dalla laurea, è ancora alla ricerca di un posto di lavoro, rispetto all’8% degli Stati Uniti ed al 12% della Francia).

 * La spesa pro-capite per studente, mentre è sostanzialmente allineata alla media europea, per quanto concerne la scuola elementare e media, risulta essere invece della metà, se riferita agli studenti universitari (5.800 dollari l’anno rispetto ai 10.030 dollari degli standards europei)

Di fronte a questa anomala e deleteria situazione (molto opportunamente evidenziata nel terzo rapporto OCSE) ho sentito il dovere  di riproporre all’attenzione dei nostri amici lettori, quanto avevo già scritto su questo argomento (e successivamente pubblicato dal settimanale cattolico il Letimbro nell’ultimo decennio del 1990:

La contradditoria situazione, or ora prospettata ed analiticamente fotografata dai dati statistici evidenziati dal terzo rapporto OCSE, mi induce a “chiudere” con alcune considerazioni che sottopongo alla cortese attenzione dei lettori de “Il Letimbro”:

 1) La crisi della scuola italiana non è una crisi quantitativa, bensì qualitativa; ritengo, in altri termini, che gli insegnanti italiani siano male utilizzati e che la loro “scarsa produttività” non sia determinata dalla loro pigrizia o dalla loro insufficiente propensione al lavoro, bensì da un irrazionale utilizzo delle loro capacità e delle loro potenzialità; l’Italia ha uno straordinario bisogno di istruzione, di cultura, di formazione professionale, perchè senza questi presupposti, sarà impossibile creare le condizioni per lo sviluppo socio-economico del Paese e per risolvere gravi problemi, quali quelli della disoccupazione e del Mezzogiorno;

 2) Non si risolvono i problemi della scuola e, più in generale. della finanza pubblica, chiudendo aule scolastiche o lasciando a casa i docenti; al contrario, vanno perseguite tutte le strade per migliorare il bagaglio culturale dei docenti, al fine di consentire il loro impiego non solo nella scuola tradizionale rinnovata (innalzando, in questo contesto, l’obbligo scolastico al 16° anno di età), ma anche in attività ora trascurate e marginali, quali la creazione di strutture di servizio e di sostegno allo studio per i giovani (tali da combattere e diminuire il fenomeno della “dispersione scolastica”) o quali l’attivazione di corsi di riqualificazione professionale per gli adulti (oggi richiesti imperiosamente dall’evoluzione tecnologica e scientifica della nostra società, ma, soprattutto, dal preoccupante aumento della disoccupazione);

 3) Va superato, attraverso una seria riforma della media superiore e dell’Università, il profondo solco che divide, attualmente, il mondo della scuola dal mondo del lavoro, nel senso che dobbiamo formare non più dei laureati disoccupati, bensì validi professionisti, atti a fornire un decisivo contributo all’evoluzione tecnologica ed al miglioramento della qualità della vita della nostra società; in questo ambito appare fondamentale il ruolo che dovranno giocare, assieme alle autorità scolastiche, le Amministrazioni Locali, la Regione e le forze sociali.

Ma, veniamo ai nostri giorni e vediamo di verificare quanto di nuovo è successo in ambito legislativo:

L’adempimento dell’obbligo scolastico è disciplinato dalle seguenti provvedimenti normativi: 

 – Legge 27 dicembre 2006, n. 296

 – Decreto Ministeriale 22 Agosto 2007, n. 139

 – Circolare Ministeriale 30/12/2010, n. 101 

In virtù di questa normativa

E’ stato disciplinato l’obbligo scolastico, secondo la seguente disposizione: l’istruzione impartita per almeno 10 anni (fascia di età compresa fra i 6ed i 16 anni E obbligatorio ed È finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore e di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età.

Diverso è l’obbligo formativo, ossia il diritto/dovere dei giovani che hanno assolto all’obbligo scolastico, di frequentare attività formative fino all’età di 18 anni. 

Ogni giovane, potrà scegliere, sulla base dei propri interessi e delle capacità, uno dei seguenti percorsi: 

 – proseguire gli studi nel sistema dell’istruzione scolastica.

 – frequentare il sistema della formazione professionale (ipotizzato dall’interessato)

 – iniziare il percorso di apprendistato (con contratto di lavoro a contenuto formativo) nell’attuale sistema produttivo.

Tutti questi percorsi sono teoricamente possibili, ma difficilmente praticabili.

Malgrado il giudizio positivo sulle attuali norme legislative in tema di obbligo scolastico e di obbligo formativo, dobbiamo prendere atto che:

 – Persiste tuttora un profondo distacco tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro

 – Persiste tuttora, in molti giovani uno stato di incertezza sul loro futuro

 – Persiste tuttora la ricerca di “un qualsiasi lavoro” (anche al di fuori della legalità) pur di ottenere un reddito

Sono tuttora aperte le porte della criminalità organizzata e della droga, atte a fornire un reddito, ben superiore a quell’ipotizzato o garantito da una legale occupazione

  Aldo Pastore    31 marzo 2019

 

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