Savona dal 25 aprile al 1 maggio: giovani e lavoro

SAVONA DAL 25 APRILE AL 1° MAGGIO: GIOVANI E LAVORO.

SAVONA DAL 25 APRILE AL 1° MAGGIO:
GIOVANI E LAVORO.
 I valori, la scuola e la famiglia.

 Sono reduce dalla fiaccolata del 25 aprile che frequento nella mia città fin da ragazza e dalla manifestazione del 1° maggio a Savona.

Era qualche anno che non la frequentavo ma per motivi prosaici, infatti il giorno cade in un periodo che coincide con le ultime giornate di riposo prima della Maturità e io, che sono un’insegnante, sono spesso fuori Savona e devo ammettere che questi momenti di partecipazione cittadina ancora mi appagano, adesso come succedeva quando ero giovane quando era mio padre a comunicarmene il senso, anche se non mi sento una nostalgica.


Adesso sono felice quando le mie figlie sono presenti, testimoni che quei valori per me irrinunciabili e importanti, siano stati trasmessi ancora una volta dalla famiglia, perché ne sono convinta: è la famiglia a educare i figli e trasmetterne i valori.

Nessun altro lo può fare, neanche la scuola, che spesso sente l’obbligo di farne oggetto d’interventi che, pur interessanti, finiscono per restare parentesi poco partecipate dalla maggioranza degli studenti.

Una Conferenza sulla Resistenza, qualche premio al miglior tema sulla democrazia, un corteo contro le mafie per chiedere una società onesta, un convegno su questa o quella ricorrenza storica diventano, spesso, alibi per gli studenti pronti ad interrompere il normale svolgimento delle lezioni con compiti e scomode interrogazioni, mentre in realtà sono favori a sconosciuti relatori cui si garantisce il pieno in sala.

Che cosa rimane ai ragazzi del modo di vivere i valori, di crederci e riconoscerne l’importanza nella loro esistenza?

Difficile dirlo, se non c’è la famiglia a supportare questo profondo convincimento.

Le famiglie, sempre più distratte e assenti nella vita dei figli e quasi mai da motivi legati alla crisi o al lavoro, mentre ci sarebbe tanto da fare, e anche di gratificante da dare ai propri figli in questa società così cambiata e così complessa.


Un primo maggio cambiato.

Ma il primo maggio è cambiato e non solo per la diserzione da parte di molti politici, amministratori, giovani, cittadini comuni e non.

Se il primo maggio una volta era un momento importante nella vita delle comunità, non solo una festa, ma un riconoscimento vero e proprio di dignità che era dato al lavoro, anche a quello più umile, dove il lavoratore, che la festa la sentiva, metteva il vestito buono, usciva con la famiglia quasi a riappropriarsi del tempo e del significato che il lavoro dava alla sua esistenza, quello degli ultimi anni è un primo maggio diverso.

Un primo maggio in cui il senso della festa è sostituito dalle preoccupazioni per il futuro, per il lavoro che non c’è; sostituito da quel senso di precarietà, dalla paura del domani, dal rischio di non farcela, non solo di chi il lavoro l’ha perduto, ma anche di chi il lavoro non l’ha ancora avuto: i nostri figli.

Per questo a chi sostiene che non abbia senso la Festa del Lavoro in un tempo in cui molti sono senza, bisogna dire che proprio oggi è più necessario di prima. Anche e soprattutto ai giovani bisogna ricordare quale sia il valore del lavoro e cioè quello di democrazia e libertà.

Bisogna dire loro che il lavoro non dà solo guadagno, ma nobilita e fa crescere le donne e gli uomini, dà indipendenza, capacità di scelta, crea democrazia e per questo bisogna essere presenti e manifestare civilmente per rivendicarlo.

Per questo la nostra Costituzione riconosce il lavoro a proprio fondamento e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani come diritto riconosciuto a livello internazionale. Festeggiare il lavoro non è dunque retorica ma volontà di rinnovare la nostra adesione alla democrazia sempre e comunque, la stessa conquistata con la Liberazione.


La presa di coscienza sulla degradazione del lavoro e un deterioramento costante delle condizioni  anche con la delocalizzazione, che spinge le imprese a investire in luoghi dove hanno mano libera, allo sfruttamento del lavoro migrante, all’invenzione di forme di lavoro autonomo per finta ma in realtà caratterizzate da subordinazione sostanziale e alla precarizzazione che colpisce soprattutto i giovani, deve spingerci a cercare un dialogo politico nuovo con loro.

Disoccupazione e precarietà uccidono il futuro e l’economia. L’hanno capito anche organismi del capitalismo, dal New York Times al Fondo monetario internazionale.

La quota di reddito nazionale destinata ai salari è in crollo costante da molti anni a questa parte, mentre in Italia i partiti, riferimento per i lavoratori si sono dissolti per la propria insipienza, annegati nel loro narcisismo senza costrutto o addirittura, vittime anch’essi  della contagiosa corruzione.

 Molti  sindacati hanno decisamente smesso di fare il loro vero mestiere e solo quando ciò rischia di far  perdere credibilità e adesione da parte dei lavoratori che consentono loro di avere l’ossigeno necessario alla sopravvivenza, allora si riscoprono protagonisti della protesta, indicendo quello sciopero o quella manifestazione di piazza.


Ma senza lavoro non c’è democrazia e quindi non c’è difesa efficace dalle mafie, dalla corruzione, dall’evasione fiscale, dal degrado ambientale: non c’è libertà.

Da tempo alcuni partiti della sinistra italiana si sono invece progressivamente allontanati dal tema del lavoro quanto dal tema del salario, facendo proprie le ragioni della flessibilità e le relative proposte con cui si rischia di barattare i diritti sociali per una qualche forma di reddito.

Come recuperare il legame politico dei valori della sinistra con i giovani, non certo quel gruppo di violenti imbecilli che con le loro azioni distolgono l’attenzione dalla civile protesta e dalle giuste rivendicazioni?

Si tratta di offrire una direzione politica di marcia diversa, indicando un per-corso di emancipazione collettiva che sia in grado di trasformare i sentimenti di indignazione in realtà sociale, senza continuare a manipolarli per fini che nulla a che fare con il loro futuro .

La realtà del lavoro per i giovani a Savona.

In una realtà come la nostra, quella di una Regione depressa e di una Provincia moribonda, incapace di offrire lavoro, con 191 aziende chiuse e nessuna prospettiva di sviluppo i nostri giovani si trovano ad avere a che a che fare anche con chi riesce  a lucrare sul bisogno di lavoro.

Gli uffici di collocamento sono utili solo a elargire stipendi pubblici a impiegati addestrati a fare i passacarte, a compilare infiniti e inutili documenti che non collocano nessuno, a raccogliere curriculum, a organizzare inutili e avvilenti colloqui, sapendo che non porteranno a nulla.

I denari, non pochi, destinati al Progetto- Garanzia Giovani, che anche a Savona, avrebbe dovuto aprire le porte a stage aziendali e conseguenti contratti di lavoro, sono stati spartiti dagli Enti destinati a tale funzione non si sa con quale finalità , mentre a Savona i giovani iscritti ci sono e sono tanti  ma i contratti e gli stage aziendali no.


Il coinvolgimento del mondo imprenditoriale savonese nel Programma Garanzia Giovani, che avrebbe dovuto essere, come comincia ad essere in molte altre Regioni, un obiettivo prioritario per incrementare le opportunità di lavoro e formazione per i giovani, nel savonese non c’è stato.

Allora si prende tempo, proprio sulla pelle di chi il lavoro non ce l’ha e soprattutto dei giovani, organizzando corsi di formazione , come quelli organizzati dall’ex IAL per decine e decine di disoccupati. Ma mentre lo IAL falliva per la gestione a dir poco disinvolta proprio di un Sindacato che lo gestiva facendolo passare ad altre mani, dopo 600 ore di corso, nessuno dei partecipanti ha trovato una collocazione, neanche in aziende della ceramica e del vetro cui era rivolto e ritenute importanti e credibili, in un territorio come il nostro, per tale operazione.

Corsi su corsi senza sbocchi occupazionali, per dare false illusioni e giustificare la spartizione di fondi elargiti per i Programmi sul lavoro, ma intascati solo da chi i corsi li tiene.

La solita mangeria all’italiana che nessuno controlla e che a differenza di molte altre Regioni italiane, in Liguria e specie nel savonese, ha assunto effetti disastrosi.


Così anche nella nostra Provincia negli studi degli avvocati e in tante altre attività professionali i giovani lavorano per anni senza reddito, per “imparare il mestiere”, fanno infiniti e disparati  “stage gratuiti”  con l’alibi dell’arricchimento curriculare, mentre le associazioni culturali e le cooperative  proliferano e si vedono affidati la gestione di musei, pinacoteche, asili, ludo chete, progetti scolastici , precarizzando ulteriormente un lavoro sottopagato e assegnato in modo discutibile con nepotismo e conoscenze  politiche.

 Il “libero mercato del lavoro” sta spingendo i nostri giovani fuori dalla Regione e ancor più dalla nostra Provincia, trasformandola in una terra di vecchi dove si sta rinunciando all’energia vitale, alla creatività, alla capacità di lavoro e di progetto perché  i giovani saranno sempre più, una minoranza.


 Tutto questo mentre ci assorda la retorica sui “bamboccioni”, sulla necessità della competizione, della valorizzazione del “capitale umano”, sulla crescita e lo sviluppo.

Dovrebbe dunque essere chiara l’enormità economica, politica, umana della questione del lavoro giovanile soprattutto nel savonese, dove le aziende chiudono i battenti e nessuna capacità politico- progettuale  crea alternative credibili  di crescita in quello che  appare sempre più un’inesorabile declino anche di quei valori di libertà e di democrazia, conquistati duramente, quelli del 25 aprile e del 1° maggio e di cui i ragazzi apprezzeranno sempre meno il vero valore .

         ANTONIA BRIUGLIA

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.