Ricordi d’estate

Trovo odioso quel titolo: “Cosa hai fatto nelle vacanze?” Cosa ho fatto nelle vacanze cara maestra? Vorrei essere capace di raccontartelo. Conosco le parole e i verbi ma come posso davvero rivelarlo?

Quel che ho fatto è un segreto, un segreto mio, e non dirlo mi aiuta a non vergognarmi di me e della mia famiglia.

I miei genitori si sono alzati ogni giorno, e ogni giorno sono andati al lavoro. Dicono di avere troppe bocche da sfamare e io, ho sempre fame. Purtroppo.

Certo, cerco di trattenermi, mi prometto che non chiederò di averne ancora ma non ci riesco quasi mai. Così mamma esce. Dice di dover andare ad aiutare una povera donna bisognosa ma io ho capito che non è solo questo.

Un giorno l’ho vista mentre nascondeva i soldi in un barattolo in cucina.  Lei esce e, quando non c’è tocca a me occuparmi dei miei fratelli. Devo badare a loro, tenerli puliti e cucinare. Jannat invece pensa alla casa. Abbiamo quasi la stessa età, ma io sono più vecchia di qualche anno così sono io ad avere il permesso per uscire e camminare svelta svelta fino al negozio all’angolo.

Ecco cosa dovrei scrivere alla maestra ogni anno.

Potrei raccontare i segreti per stendere la pasta per i briouats, senza romperla  o qual è il miglior modo per fare il cous cous, i trucchi che mama mi ha insegnato per avere un’impasto come quello della jedda [1].

Ecco, la nonna. Un’altra entità sconosciuta. Di lei non so nulla se non quel che racconta mamma quando mi insegna qualche ricetta. Quando lo fa, però, è sempre triste. Non so bene cosa sia la nostalgia, ma quel che so di questa strana parola, l’ho imparato dagli occhi di mama.

E nei suoi occhi ho letto anche la gioia quanto baba alfatikan solennemente ha annunciato, che quest’anno saremmo andati al mare.

Io, cos’è il mare, non lo so. Conosco le sillabe ma – re, conosco come si scrive, come si va a capo ma, cos’è veramente il mare, non lo so.

Ci sono tanti mari, c’è il mare che mamma vedeva da ragazza, quando ancora abitava con jedda. Quel mare che profumava le stoffe stese ad asciugare, quel mare che sembrava d’argento a mezzogiorno e col quale i bambini potevano giocare. Ma c’è anche l’altro mare, quello che fa paura. Quello che, onda dopo onda, sembra inghiottire il barcone su cui viaggi. Quello che ti allontana da casa, dal posto che ami e ti porta verso un futuro che credi migliore ma che, per esserlo davvero, deve cambiarti e sporcarti l’anima.

“Che mare papà?” chiedo. 

“Quello della festa” risponde lui. 

Dopo è tutto un fermento. I miei fratelli iniziano ad urlare felici, la mamma lo incalza di domande.

“Mio cugino Mustafa festeggia. Ha giurato oggi. E’ italiano e, come ogni italiano vuole andare in vacanza.”  

“E noi?”, dico io.

“Noi, da oggi in poi, abbiamo parenti italiani. E tu..” dice guardandomi dritta negli occhi “cerca di essere più carina con Nissrin. Smettila di litigare con lei ogni volta che la vedi e, soprattutto, non azzardarti mai più a tirarle i capelli!”.

Nissrin è la ragazza più presuntuosa che conosca. Ora che è diventata italiana non la smetterà più di darsi arie. Il sapere che dovremmo passare una giornata assieme smorza un pò la felicità del momento ma, il piacere di scoprire il mare mi fa tornare subito l’allegria.

Io e Jannat lavorammo molto per preparare tutto. I vestiti per i più piccoli, i nostri kaftan, e poi il cibo: zaalouk e taktouka[2] a volontà e perfino una superba pastilla[3]. Senza dimenticare i dolci. Avremmo fatto davvero una grande festa per il cugino Mustafa.

La notte prima del viaggio non sono riuscita a dormire. Pensavo al viaggio, a come sarebbe stato salire sul pullman, al profumo del mare.

Pensavo che finalmente avrei potuto raccontare anch’io, come tutti gli altri, la mia vacanza.

Il pensiero che un pezzo della mia famiglia fosse italiano mi turbava un pò ma, d’altronde, io non mi sento diversa dagli altri; sono persino nata nello stesso ospedale della mia migliore amica. Mamma dice che andiamo così d’accordo perchè le nostre culle erano vicine e così ci conosciamo dall’inizio di ogni tempo.

Papà non vuole giurare. Dice che facendolo si sentirebbe ancora più lontano. Che se si tagliano le radici ad un albero questo secca. Così io dovrò aspettare ancora prima di essere italiana, fino al mio diciottesimo compleanno.

Tutti questi pensieri mi riempivano la mente. Rimuginavo che finalmente avrei potuto avere un buon voto senza ingegnarmi a chiedere, a chi in vacanza c’era stato davvero, com’era esserci andato.

Siamo scesi dal pullman lontano dalla spiaggia, e abbiamo iniziato a camminare. Il sole batteva a picco sull’asfalto e sulle nostre teste. I bambini hanno iniziato a lamentarsi e gli uomini, benchè portassero ombrelloni e vivande, hanno iniziato ad accoglierli tra le braccia.

Arrivati davanti all’arenile un omaccione ci ha detto che non c’era posto per noi; nemmeno per il cugino Mustafa che ora è italiano. 

L’omaccione ha detto di andare via, che avrebbe chiamato la forza pubblica, che lì in mezzo alla strada non potevamo restare.

Così abbiamo ricominciato a camminare. Mamma ha supplicato papà di riportarci a casa. Che quello non era il suo mare, che lì non ci voleva restare.

Mentre i piccoli urlavano e mamma piangeva io pensavo che, anche quest’anno, avrei dovuto inventarmi una buona bugia per la maestra.

[1] jida – nonna

[2] insalate cotte: zaalouk (melanzane e pomodori), taktouka (pomodoripeperoni verdiaglio e spezie)

[3] sformato di carne e spezie

CRISTINA RICCI

I LIBRI DI CRISTINA RICCI

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.