Resistenza

Il lascito della Resistenza non può essere condiviso

Il lascito della Resistenza non può essere condiviso

Leggendo qua e là gli appelli lanciati a intermittenza da chi vorrebbe parificare la Resistenza e i Partigiani alle Brigate Nere viene da pensare che a volte la spudoratezza non ha proprio alcun confine di decenza.

E mascherare dietro a una non ancora chiara tragedia questa voglia di recuperare un proprio spazio diverso da quello che la Storia ha assegnato ai nostalgici del fascismo rasenta la vergogna.

Oggi non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue nuove forme pazzesche, spesso distruttive e  ridicole.

Occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo che oggi si presenta sotto colori diversi, con nuove bandiere, appropriandosi di parole che non gli appartengono come libertà e democrazia in un vano tentativo di mistificazione dei suoi fini.

Occorre essere fortissimi oggi quando questo fascismo del nuovo secolo si presenta come normalità, come codificazione, anche  allegra, mondana, socialmente eletta, ma nascente dal fondo brutalmente egoista di quella parte di società che vuole oggi come ieri la Repubblica piegata ai suoi voleri padronali e autoritari.

Nessuno si farà ingannare dalle false richieste di pacificazione, dal tentativo di rendere paritario  ed eguale il sacrificio di migliaia di italiani che stavano da parti opposte.

La storia ha decretato di chi era la ragione, di chi stava dalla parte giusta.

Come dice il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, così è “…piaccia o non piaccia…”

Lungo è stato il cammino percorso dai patrioti italiani per riconquistare la libertà e questo cammino non ha soluzioni di continuità, perché la Resistenza, a me pare, non è un fatto storico a sé stante.

E’ stata la continuazione della lotta antifascista.

1 patrioti che, sotto la dittatura, si sono battuti forti solo della loro fede e della loro volontà, sono quelli che hanno partecipato alla lotta armata della Resistenza.
Donne e uomini che hanno lottato per la libertà dagli anni ’20 al 25 aprile 1945.

E lo hanno fatto nel solco tracciato con il sacrificio della loro vita a partire da Giacomo Matteotti, fino a don Minzoni, da Giovanni Amendola, ai fratelli Rosselli, da Gobetti e da Antonio Gramsci, e qui con questi uomini sorge e si sviluppa la Resistenza.
Il fuoco che divamperà poi  nella fiammata del 25 aprile 1945 non era occasionale, ma era stato per lunghi anni alimentato sotto la cenere nelle carceri fasciste, nelle isole di deportazione, in esilio, nelle stragi delle campagne e delle città, nelle torture e nelle privazioni degli antifascisti, nelle fucilazioni senza senso e motivo.
Alla nostra mente e con un fremito di commozione e di orgoglio non possiamo rendere uguali chi ha ucciso e chi è stato ucciso.

I loro nomi dei Partigiani sono scritti sulle pietre miliari di questo lungo e tormentato cammino, pietre miliari che sorgeranno più numerose durante la Resistenza, recando mille e mille nomi di patrioti e di partigiani caduti nella guerra di Liberazione o stroncati dalle torture e da una morte orrenda nei campi di sterminio nazisti.
Ci sono i nomi sopra a queste pietre miliari, e non sono solo nomi di Partigiani, ma anche di reparti delle forze armate, di ufficiali e soldati che vollero restare fedeli soltanto al giuramento di fedeltà alla patria invasa dai tedeschi, oppressa dai fascisti, una Patria che vedeva torturata dalle Brigate nere la sua gente, le sue donne a cui veniva squarciato il ventre per giocare al tiro a segno con il frutto del loro grembo.

E chi fece questo non furono solo i nazisti, ma i fascisti della MonteRosa, le belve sanguinarie, bande di feroci assassini inquadrati a demandati a quell’unico compito, quelli per i quali oggi si invoca un’impossibile eguaglianza con i Partigiani e i Patrioti della lotta di Liberazione.

Il rispetto era dovuto ed è stato invece ai tanti soldati che hanno capito ed hanno fatto la loro scelta, come dimenticare le divisioni «Ariete» e «Piave» che si batterono nel Lazio per fermare l’avanzata delle unità corazzate tedesche; i granatieri del battaglione «Sassari» che valorosamente insieme con il popolo minuto di Roma affrontarono i tedeschi a porta San Paolo; e come dimenticare la divisione «Acqui» che fieramente sostenne una lotta senza speranza a Cefalonia e a Corfù.

Anche questa è stata la Resistenza dove  i superstiti delle divisioni «Murge», «Macerata» e «Zara» dettero vita alla brigata partigiana «Mameli», quei reparti militari che con i partigiani di Boves fecero della Bisalta una roccaforte inespugnabile.

 

E’ giusto quindi che quando si ricorda la Resistenza si parli anche di un Secondo Risorgimento.

Ma tra il Primo e il Secondo Risorgimento vi è una differenza sostanziale.

Nel Primo Risorgimento protagoniste sono minoranze della piccola e media borghesia, anche se tanti dei cosiddetti figli del popolo partecipano alle ardite imprese di Garibaldi e di Pisacane.

Ma nel Secondo Risorgimento protagonista è il popolo.

Cioè guerra popolare che fu la guerra di Liberazione fatta da masse di operai e contadini, gli appartenenti a quella classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i figli suoi migliori fieramente affrontare le condanne del tribunale speciale al grido della loro fede.

Non dimentichiamo, che su quasi 6000 processi celebrati davanti al tribunale speciale ben 5000 furono colpirono operai e contadini.
E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l’occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania, ove molti di essi troveranno una morte atroce.

Altri invece saranno perseguitati dalle bande delle Brigate nere fasciste, quelle che oggi si ricordano per orrendi stragi e non per altro.
E ancora saranno i contadini del Piemonte, di Romagna e dell’Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane. Senza questa assistenza offerta generosamente dai contadini, la guerra di Liberazione sarebbe stata molto più dura.

E la più nobile espressione di questa lotta e di questa generosità della classe contadina è la famiglia Cervi. E saranno sempre figli del popolo a dar vita alle gloriose formazioni partigiane.
Quindi senza questa tenace lotta della classe lavoratrice – lotta che inizia dagli anni ’20 e termina il 25 aprile 1945 – non sarebbe stata possibile la Resistenza, senza la Resistenza la nostra Italia sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta costituzionale e molto probabilmente nemmeno la Repubblica.
Protagonista è la Resistenza e non chi la voleva distruggere, Resistenza fatta da uomini e donne, sacerdoti e laici, giovani vecchi e bambini che con la loro generosa partecipazione dà un contenuto popolare alla guerra di Liberazione.
Ed essa diviene, così, non per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del nostro paese.

Questo posto se l’è duramente conquistato e non intende esserne spodestata.
Sbaglia chi pensa all’A.N.P.I. come un covo di reduci.

 No. Siamo qui per porre in risalto come il popolo italiano sa battersi quando è consapevole di farlo per una causa giusta; e siamo ben consapevoli di non essere in questo inferiori a nessun altro popolo.

Ha saputo farlo ieri e lo sa fare anche oggi, combattendo contro ogni revisionismo becero e falso.

 
l’A.N.P.I. esiste  per riaffermare la vitalità attuale e perenne degli ideali che animarono la Resistenza, per difendere a spada tratta la Costituzione.

Questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che – a mio avviso – costituiscono un binomio inscindibile, un termine presuppone l’altro: non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà.
E bisogna adoperarsi senza tregua perché soddisfatta sia la sete di giustizia sociale che trova anche nella dignità del lavoro e dei lavoratori il suo punto più alto.

La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura ed essa sarà sentita, in tutto il suo alto valore, e considerata un bene prezioso inalienabile dal nostro paese.
1 compagni caduti in questa lunga lotta ci hanno lasciato non solo l’esempio della loro fedeltà a questi ideali, ma anche l’insegnamento d’un nobile ed assoluto disinteresse. Generosamente hanno sacrificato la loro giovinezza senza badare alla propria persona.

Impossibile parificarli ai loro assassini, ognuno pianga i suoi morti.

Questo insegnamento deve guidare sempre le nostre azioni e la nostra attività sia nella politica che nella società, bisogna operare con umiltà e con rettitudine non per noi, bensì nell’interesse esclusivo del nostro paese.

Questi sono i valori politici, sociali e morali dell’antifascismo e della Resistenza, valori che costituiscono la «coscienza antifascista» del popolo italiano.

Altro che Ragazzi del Manfrei!!

Questa «coscienza» italiana democratica si è formata e temprata nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza, è una nostra conquista, ed essa vive nell’animo degli italiani, anche se talvolta sembra affievolirsi.

Ma essa è simile a certi fiumi il cui corso improvvisamente scompare per poi ricomparire più ampio e più impetuoso. Così è «la coscienza antifascista» che sa risorgere nelle ore difficili in tutta la sua primitiva forza.
Con questa coscienza dovranno sempre fare i conti quanti pensassero di attentare alle libertà democratiche nel nostro paese.
Non permetteremo mai che il popolo italiano sia ricacciato indietro, anche perché non vogliamo che le nuove generazioni debbano conoscere di nuovo amare esperienze.

Per le nuove generazioni, per il loro domani, che è il domani dell’Italia, i più anziani ci stanno battendo da più di cinquant’anni.

Noi lo facciamo oggi e nessuno si illuda perché abbiamo la stessa forza di ieri.

I Partigiani si sono battuti perché i giovani diventino e restino sempre uomini liberi, pronti a difendere la libertà e quindi la loro dignità.
Dagli anziani Partigiani dobbiamo imparare ma nei giovani bisogna avere fiducia.
Certo, vi sono giovani che oggi «contestano» senza sapere in realtà che cosa vogliono, cioè che cosa intendono sostituire a quello che contestano.

Contestano per contestare e nessuna fede politica illumina e guida la loro «contestazione». Oggi sono degli sbandati, domani saranno dei falliti.
Ma costoro costituiscono solo una frangia della gioventù, che invece si orienta maggiormente verso mete precise e che dà alla sua protesta un contenuto politico e sociale.

E non a caso questi giovani si sentono vicini agli anziani antifascisti ed ex partigiani, dimostrando in tal modo di aver acquisito gli ideali che animarono l’antifascismo e la Resistenza.
E da questi ideali essi traggono la ragione prima della loro «contestazione» per una democrazia non formale, ma sostanziale; per il riscatto da ogni servitù.

Ecco perché i più anziani guardano fiduciosi ai giovani e quindi al domani del popolo italiano.
Ai giovani va consegnato intatto il patrimonio politico e morale della Resistenza, perché lo custodiscano e non vada disperso; alle loro valide mani è stata affidata la bandiera della libertà e della giustizia perché la portino sempre più avanti e sempre più in alto.

Questo è il lascito della Resistenza.

Un lascito che non potrà mai essere condiviso con chi stava dalla parte opposta.

Maglio Domenico ANPI di Finale Ligure

 

 

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