Questa settimana a Intellettualandia: Il sociologo da talk show

Benvenuti a Intellettualandia
La rubrica settimanale che esplora, con spirito caustico e sorriso sarcastico, il magico mondo degli intellettuali.

Ogni domenica apriamo le porte di questo strano luna park del pensiero per presentarvi una figura simbolica del nostro tempo: non mancheranno filosofi assorti, politologi infallibili (a posteriori), sociologi multitasking, storici ossessionati dal passato e ogni altro esemplare della specie intellectus sapiens, quella che parla difficile per non farsi capire.
Non si offenda nessuno (o almeno si offenda con stile): Intellettualandia non vuole demolire, ma semplicemente smontare e osservare — con la lente del buon umorismo — i tic, i vezzi e le pose di chi si prende sempre molto sul serio. Questa settimana:

Il sociologo da talk show

Abita più negli studi televisivi che nei dipartimenti universitari, parla di tutto e non dice quasi nulla. È il sociologo da talk show, maestro nell’arte di spiegare senza spiegare e di far sembrare ogni banalità un enigma esistenziale. Ecco il ritratto del grande interprete della “complessità” da prima serata.

Non studia più da anni, ma conosce benissimo il format.
Appena scatta la sigla del talk show, il sociologo da salotto si trasforma: espressione grave, occhiali con riflesso drammatico, toni dosati tra l’allarmato e il definitivo. È lui il sacerdote della “complessità”, parola che ripete almeno dieci volte ogni tre minuti per far capire che non tutto è come sembra (traduzione: “non ho una risposta chiara, ma suona bene così”).

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Specializzato in tutto, non ha remore a commentare guerre, pandemia, crisi economica, influencer e persino il meteo, pur conservando un’aria da meta-pensatore.
Le sue frasi preferite:

  • «Attenzione a non banalizzare» (detto dopo aver banalizzato per dieci minuti).
  • «Siamo di fronte a un cambiamento epocale» (utile in ogni circostanza).
  • «Non è né bianco né nero» (molto gettonata quando è evidente che è nero).

Il sociologo da talk show si nutre di tempo televisivo. Se lo tagliano, accusa la società di essere “liquida e superficiale”. Se lo fanno parlare troppo, si lamenta della “mancanza di sintesi dei tempi moderni”.

Tra uno studio e l’altro (televisivo, non accademico) pubblica libri dai titoli inquietanti tipo “Il futuro incerto delle identità digitali” o “Dentro la bolla della post-verità”, che nessuno legge ma tutti citano.

Il massimo trionfo lo raggiunge quando riesce a infilare il termine “dispositivo” in una frase qualsiasi. A quel punto sa che il suo cachet per la prossima ospitata è salvo.

L’ esploratore di cervelli complicati

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