Quella stupida incapacità di rivoluzionare….

QUELLA STUPIDA INCAPACITA’ DI
RIVOLUZIONARE IL METODO E IL SISTEMA

 La campagna elettorale savonese procede. Come? Lenta, inesorabile, tra spese più o meno sostanziose, giganteschi manifesti di candidati- Sindaco e altri altrettanto autoreferenziali di  personaggi triti e ritriti che ancora sperano e vogliono credere in un miracolo personale.

Inesorabile e scontata, questa campagna, tra incontri su temi che “tirano” perché vicini alle preoccupazioni della gente e che potrebbero rivelarsi serbatoio di voti.

Lenta e inesorabile, con “soliti” raduni di candidati-Sindaco che non sono più veri “faccia a Faccia “, com’era in uso una volta, ma incontri pubblici dove giornalisti compiacenti pongono domande, magari concordate, in modo che tutti possano prepararsi la lezioncina personale, spesso anche simile alle altre, da recitare in pochi minuti.

Carrellate di big a sostenere il proprio candidato e la sua lista, conferenze stampa dove può anche succedere che  il partito della giunta uscente definisca “una campagna difficile” quella savonese, autoflagellandosi e accusando gli avversari di promuovere vere e proprie persecuzioni.

Il dibattito, quello vero invece, è di fatto spento, sovrastato da analisi disastrose della Corte dei Conti per i pessimi investimenti del Comune sui derivati, dall’indebitamento di un bilancio uscente, dalle difficoltà in cui versano le società partecipate, da faide interne al partito di maggioranza che vuole lasciarsi alle spalle un Amministrazione di decenni, dove i temi non sembravano essere stati quelli di un partito della sinistra vicino alla gente e attento  alla vivibilità cittadina, ma più vicini ai profitti di chi muove le fila e controlla il futuro della città.

Faide interne, prodotte dalle primarie ma mai sopite, anzi ricalcate dalla rassicurazione di essere il rinnovamento e di avere gli anticorpi necessari.

Non si capisce bene a cosa dovranno servire questi anticorpi, perché di rinnovamento, di cambiamento ad analizzare bene la stesura del solito programma, non c’è nulla, come nulla di veramente nuovo s’impegna a realizzare  l’avversaria.

Tutto normale e scontato il metodo di una campagna che potrebbe riflettere quella di cinque anni fa, o di dieci o di quindici, forse con meno entusiasmo di allora.

Tutto normale perché, non ci crede neppure la maggioranza dei candidati di poter fare altrimenti, di poter cambiare il metodo e il sistema di governo di una città che langue, sepolta da una cementificazione prevista anche in progetti che dovranno “necessariamente” essere attuati.

Soffocata dai debiti, da una radicata incapacità di essere virtuosi: nella raccolta dei rifiuti, nella spinta culturale, nel sistema di viabilità interna e di confine, nella qualità dell’ambiente e nella riqualificazione del costruito.

Così ci si passa la palla sul bitume che si farà, non si farà o si farà in altro modo, sulla Margonara che non vorremmo, ma si dovrà fare e dove si potrà fare, sull’elettrificazione delle banchine o sulla nuova, ennesima destinazione d’uso del Priamar e dell’impossibile riqualificazione del palazzo Santa Chiara .

Accanirsi a dire nulla.

Ma gli incontri proliferano tra sorrisi, ammiccamenti, tanta cordialità in una Savona che si scopre, oggi, desiderosa di cultura, d’incontri dove l’autoreferenzialità, che è nel DNA della città e che ha contraddistinto tante battaglie producendo talvolta associazioni e comitati di tre o quattro persone, continua a essere palpabile.

L’incapacità di rivoluzionare un metodo è palese.

Si potrebbe rischiare di rimpiangere le campagne elettorali della prima Repubblica dove i comunisti erano comunisti perché la volevano in un modo e i democristiani erano tali perché la volevano in un altro e i socialisti si dibattevano tra il massimalismo e il riformismo.

Oggi invece si è subito pronti a rassicurare di essere né a destra né a sinistra, di non avere ideologie che spesso tradiscono anche l’assenza di valori, e questo accade anche per coloro che si presentano sostenuti da partiti che, si sa, garantiscano la vittoria perché sanno muovere voti. Da anni ci si maschera dietro liste improbabilmente civiche, si fa a destra e a sinistra , dove la sovrapposizione dei progetti, se esistono, annulla la contrapposizione generando una vera e propria deriva politica.

Nessuno si definisce politico di professione, perché il fenomeno corruttivo dilagante consiglia di ostentare la professione come curriculum privilegiato dei candidati, ma quando la vicenda politica degli stessi volge alla fine, i politici uscenti non sanno dove rimpiegarsi, che ruolo ricoprire nella società, come se tornare al lavoro fosse un umiliante ripiego per chi ha “amministrato” la cosa pubblica.

 Per questo si corre ai ripari con poltrone in quell’Ente di secondo o d’infimo grado, anche per offrire riconoscenza a chi si fa, spesso suo malgrado, da parte.

Questa è l’incapacità a cambiare metodo e sistema in previsione e dopo le elezioni.


Potrebbe definirsi controproducente, stupida, anche se chi scrive, non ne è propriamente convinta. Non per pudore o desiderio di non apparire arrogante, né per convinzione che la stupidità, citando Robert Musil, sia sempre un insulto e sempre specchio d’insulsaggine, anzi spesso cela ben altro, ma perché nel non cambiare metodo e sistema si gratifica chi il potere l’ha veramente.

Avanti così allora, tra messaggi rassicuranti e dibattiti sterili per accontentare un uditorio, gustosi convegni opportunamente preparati e talvolta autoreferenziali davanti a qualche decina di persone.

Avanti con falsi battibecchi e improbabili siparietti, avanti con i doppiogiochisti alla ricerca di poltrone e con le solite liste civetta se si è veramente convinti che Savona possa ancora attendere.

   ANTONIA BRIUGLIA

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