Quando viene meno la speranza…

 Quando viene meno la speranza…

Quando viene meno la speranza…

L’incremento del numero di coloro che pongono fine alla loro esistenza è, apparentemente, in aumento. Apparentemente perché, come spesso accade, i media tendono ad enfatizzare alcune notizie sfruttando una certa dose di emozionalità dell’opinione pubblica.
 In realtà, il suicidio è un dramma che coinvolge, in media, circa dieci persone al giorno in Italia. Questo dato non è variato in modo consistente negli ultimi anni, mentre ultimamente si ha la percezione che il numero dei sucidi sia aumentato. Si tratta, appunto, di una percezione. Solo tra qualche anno sarà possibile stabilire con certezza se sia esistito o meno un nesso di correlatività tra la grave crisi economica e quello che sarà l’effettivo numero di chi si sarà tolto la vita. Perché questa precisazione? Perché, purtroppo esiste un forte rischio emulazione che non si deve assolutamente sottovalutare. Il suicidio è un gesto estremo, che viene compiuto da soggetti che si possono suddividere in due macro-categorie: psicopatologici o nevrotici. Il soggetto psicopatologico che si suicida ha quasi sempre un distacco dal mondo reale, talvolta così grave da alterare persino la percezione della propria persona. La modalità con la quale questi soggetti attuano il loro suicidio è, in genere, molto cruenta. Tutti coloro che si suicidano in preda ad uno stato emotivo alterato, ma che conservano il contatto con la realtà, sono classificati come soggetti colpiti da patologie nevrotiche: sono, in genere, coloro che lasciano messaggi di spiegazione del loro gesto. Questa è la fredda e asettica distinzione che viene operata in contesto psicopatologico per tentare di spiegare ciò che, in ultima analisi, è pressoché impossibile comprendere sino in fondo. Cosa attraversa la mente di chi “sceglie” questa via di fuga dall’esistenza, chi lo può sapere? Nessuno, con tutta probabilità, nemmeno chi vive questa realtà. Cosa sia la disperazione, credo che chiunque di noi lo sappia per diretta esperienza, ma cosa succede quando non si riesce ad emergere dal buio in cui si sprofonda improvvisamente? Se vogliamo tentare di descrivere la disperazione con un’immagine, ecco, io sceglierei un buio profondo, in cui nessuna luce, per quanto fioca, riesce a penetrare.
E poi la sensazione di cadere, cadere sempre più in basso, sino a che interviene un dolore acuto al centro del petto, una sensazione fisica ma nel contempo indefinita, che ti fa cedere le gambe e chiudere gli occhi. Dalla disperazione a volte si esce, a volte no. Chi arriva a suicidarsi è, di questo sono certa, una persona in fuga: da se stesso, da una situazione, dal mondo.

Non è mai una scelta consapevole poiché quando si è disperati ci si trova in uno “stato emozionale alterato”, quindi patologico. La crisi economica può essere una causa di suicidio?

 No, non in modo così netto e chiaro. Può essere certamente un fattore di slatentizzazione di pregresse condizioni psicopatologiche. Può essere certamente un elemento capace di far sprofondare una persona in una disperazione profonda, talmente profonda da lasciare intravedere come unica via di uscita, la morte. L’impressione che si va delineando nella mia percezione di persona preparata a farsi carico anche del dolore altrui, è quella che oggi moltissime persone siano estremamente più vulnerabili alla disperazione. Quella nera, quella che non lascia penetrare alcuno spiraglio. Anche in questo caso rimarco quanto sia grande il potere dei mezzi di comunicazione sulle persone. Le previsioni e le evidenze quotidiane che ci obbligano al confronto costante con la difficilissima congiuntura economica sono drammatiche. Se mancano le risorse interiori per far fronte alle difficoltà, si sprofonda nella disperazione. Le risorse interiori mancano, purtroppo, a tanti. Non sappiamo più far fronte alla disperazione. Penso allo studente che si toglie la vita dopo una bocciatura, o anche dopo un voto negativo, e mi trovo in profondo disaccordo con una nota psicologa che stigmatizza le colpe della scuola che valuta il rendimento dei ragazzi in modo negativo, anziché puntualizzare sull’importanza di saper far fronte ai “no”. Crisi o non crisi, la vita ci mette davanti a “no” spaventosi. La mia generazione non è preparata ai “no”, e ancora di meno lo è quella che segue. Un benessere sino ad ora diffuso ed ora incerto ha annebbiato la realtà, nuda e cruda, data dall’evidenza che la vita è dura, amara, difficile e dolorosa. Avere le risorse interiori per farvi fronte è, in parte, tratto caratteriale, ma anche la risultanza di speranze, affetti saldi e forti, di solitudini lenite da rapporti umani sinceri. Ciò di cui, forse, si avverte più che mai la mancanza. Nessuno dovrebbe giudicare chi fugge dal dolore: solo chi ha provato davvero cosa vuol dire arrivare ai limiti può comprendere, non dico capire, ma comprendere, questo si. Chi si toglie la vita è colui a cui è stata rubata anche la speranza. La speranza che il buio più intenso sia squarciato da una piccola luce, o che, almeno, in quel buio si incontri il tocco leggero di un’altra anima disperata cui aggrapparsi. No, nessuno dovrebbe giudicare chi non sente più la speranza. E riflettano tutti coloro che la speranza la rubano, anche solo per avere un titolo da sbattere in prima pagina.

Giovanna Rezzoagli Ganci

 

http://www.foglidicounseling.ssep.it

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