Psicologia forte e psicologia debole

PSICOLOGIA FORTE E PSICOLOGIA DEBOLE

Un altro commento al testo di Giorgio Girard

PSICOLOGIA FORTE E PSICOLOGIA DEBOLE

  Ci sono fondamentalmente due modi di considerare la psico-logia, cioè il discorso sull’anima (psyché) umana: uno è quello che possiamo definire scientifico-sperimentale, che studia l’anima (animus, “soffio”, ”principio vitale”) come un oggetto tra gli oggetti, non percepibile direttamente dai nostri sensi ma solo per mezzo della ragione discorsiva;  l’altro è  quello che Giorgio Girard, nel suo saggio Monos, liberare la morte dalla paura (2015) definisce “debole”,  consistente in “uno psichismo debole e tendenzialmente inafferrabile, che si colloca entro un modulo romantico di pensiero, in un’apertura verso ambiti che vanno oltre quanto la ragione discorsiva controlla”.  Come ha spiegato Girard nelle sue precedenti lezioni su questo tema (leggibili online), la ragione discorsiva si basa su un paradigma dualistico, sulla logica  forte che regolava  il pensare e l’agire in “un mondo completamente diverso” da quello attuale.


Anche in ambito teologico la diade fede-ragione trovava “il suo fondamento nel dualismo (dio-satana, vero-falso) attraverso una reciproca negazione. Infatti nella logica dualistica del monoteismo l’inferno è necessario a fondare il paradiso. Naturalmente per capire ciò occorre estendere il significato della parola ‘monoteismo’ oltre il suo ambito strettamente teologico, e giungere a vedere questa parola come il prototipo di una logica che organizza il mondo secondo un modello dualistico rigoroso”. La psicologia debole, invece, vuole andare oltre questo paradigma che “modella ‘quasi a nostra insaputa’ ogni nostra asserzione sulle cose”. Basta infatti riflettere un momento su come noi stessi siamo come ingabbiati nello schematismo duale del soggetto-oggetto, vero-falso, bene-male, bello-brutto, giusto-ingiusto, corretto-scorretto, sano-malato, vivo-morto, degno-indegno, sì-no…tanto che non riusciamo a immaginare un altro modo di pensare che ci liberi da questa prigione concettuale. Eppure nella storia del pensiero antico, medievale, moderno e contemporaneo possiamo trovare esempi di “psicologia debole” ante litteram e di teologia debole o negativa; si pensi a Plotino, a Meister Eckhart, a Nicola Cusano, a Giordano Bruno, a Spinoza e poi ai grandi poeti e pensatori del Romanticismo. In Schelling, ad esempio, troviamo una specie di fusione o identità tra soggetto e oggetto, tra spirito e natura, realtà e idea, per cui la natura diviene spirito visibile e lo spirito natura invisibile. Tra i contemporanei, Girard fa riferimento soprattutto all’ermeneutica esistenziale di Heidegger, di Gadamer e di Gianni Vattimo, e all’archeologia del sapere di Foucault, in ambito propriamente psicologico, a C. G. Jung e a J. Hillman: “In particolare l’inconscio collettivo di Jung tende a sottrarre il perno concettuale su cui ruota il ragionamento scientifico forte che è il principio di sostanza e di non contraddizione, perché toglie l’essere umano dal centro dell’attenzione, in quanto lo considera maggiormente nel suo ‘diviso’ e nel suo ‘molteplice’, nel momento in cui si apre a una dimensione più collettiva e partecipata”.

                                     
Heidegger, Vattimo e Gadamer

Questa concezione ha come suo corollario un ridimensionamento dell’effettiva libertà dei singoli e del principio a noi tanto caro di identità personale; certamente io sono io e non un altro, ma quanti me stesso fanno parte del mio io? Io non sono mai identico al me stesso di ieri, figurarsi al me stesso di un anno o di un decennio fa! “Si ha quindi una marginalità umana tendenziale, se individualisticamente concepita, riflessa però in ampliamenti partecipatori e comunanze strutturali che potenzialmente potrebbero rafforzarne i caratteri conciliativi anche nelle relazioni umane osservabili”. Come dire che la psicologia debole pone l’accento su ciò che abbiamo in comune piuttosto che su ciò che ci differenzia gli uni dagli altri; più sui nostri limiti e sulle nostre fragilità più che sulle nostre presunte certezze. Un altro corollario della psicologia debole riguarda il linguaggio “assunto non più solo come strumento comunicativo a disposizione di un soggetto concepito come ‘soggetto forte e centrale’, ma come orizzonte che ermeneuticamente circoscrive l’operatività dell’essere umano e ne indirizza l’espressività, fino a intendere, come in Gadamer, il momento comunicativo e dialogico quale occasione di sviluppo delle idee e di novità nel pensare”.


Giorgio Girad

Quando veniamo al mondo nasciamo, in un certo senso, anche al linguaggio della comunità  a cui apparteniamo e che impariamo, crescendo,  ad adoperare, e quanto meglio lo adoperiamo tanto meglio ne scopriamo le potenzialità funzionali, conoscitive e artistiche. “In questo senso – osserva  Girard – in ambito giornalistico la comunicazione non si riduce ad essere ‘informazione su fatti avvenuti’, ma possibile promozione di eventi. Ed è in questo passaggio – dall’idea che i fatti si producono indipendentemente dal parlarne a quella dell’ermeneutica dell’invenzione dialogica  – che, in ambito accademico e nell’area docente, ‘la didattica può intendersi come ricerca’. Parlare crea e non solo rispecchia una realtà già data”. Potremmo aggiungere che il parlare non solo può  creare cose che prima non c’erano,  ma può anche distruggere con la calunnia (ne uccide più la lingua della spada). Un conto infatti (come ha spiegato De Saussure) è la langue che troviamo bella e fatta con le sue regole e i suoi vocaboli, un altro la parole che esprime la nostra soggettività, o meglio, il nostro stile di parlanti  e di scriventi. E siccome è nello stile che ognuno si  rivela per quello che è, possiamo affermare con Wittgenstein  che i limiti del nostro  mondo sono i limiti del nostro  linguaggio e viceversa; e anche che su ciò di cui non si può parlare si deve tacere. Tanto più che, come scrive Ernest Renan,  opportunamente citato da Girard: “L’incoerenza è un elemento essenziale di tutte le azioni umane. La logica conduce agli abissi. Chi può sondare l’indiscernibile mistero della propria coscienza e, nel gran caos della vita umana, quale ragione sa esattamente fin dove arrivano le sue capacità di giudicare e il suo diritto di affermare’”. La psicologia debole ci insegna a essere umili. 

FULVIO SGUERSO

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