Precariato scolastico

Considerazioni sul precariato scolastico

Considerazioni sul precariato scolastico.

 Il Movimento insegnanti da abilitare e l’Anief, Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione, insorgono contro la chiusura delle Ssis, voluta dal Ministro Gelmini. Le associazioni per i diritti degli insegnanti precari considerano il progetto “riduttivo nei contenuti” e comunque non risolutivo del problema del precariato. Le trasformazione delle Ssis, le Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario, in tirocini “sul campo” non andrebbe infatti a risolvere il problema della scarsa preparazione dei corsisti, né delle interminabili liste d’attesa per ottenere una cattedra.

   L’anno di tirocinio per gestire la fase transitoria fino al 2011-2012, rappresenta un passo all’indietro anche rispetto ai corsi abilitanti annuali previsti nella legge dell’ex ministro Moratti” – spiega Marcello Pacifico, il Presidente dell’Anief – “il progetto avallato dal Ministro Gelmini non solo è sprovvisto di contenuti multidisciplinari supportati da strutture interfacoltà e da supervisori adeguati, ma non garantisce nulla a chi uscirà dal percorso formativo, poiché le migliaia di nuovi abilitati si andranno ad aggiungere ai 100.000 sissini già presenti e agli altri 200.000 precari storici.”

Questa, in buona sostanza, la posizione dei “precari” della scuola.

Il fenomeno del “precariato” (leggi: “contratto a tempo determinato”) non esisteva sicuramente fino agli inizi degli anni ’70 quando, negli Istituti Professionali i Presidi potevano nominare a tempo indeterminato, tanta era la penuria di insegnanti. Un nostro preconcetto di persone legate ai “titoli” è stato in passato il paradigma “So, quindi so insegnare”. Poi (primi anni ’60) è venuto (per la Fisica) il P.S.S.C., è venuto il ’68, è venuto in risalto il problema della “Didattica nell’Insegnamento scientifico” con l’abbonamento degli Istituti, finanziato dal Ministero, alle Riviste “Il Giornale di Fisica” e “La Fisica nella Scuola”, segno che il vecchio paradigma andava corretto nell’aspetto della motivazione “ad insegnare bene” e della “comunicazione”. Si erano istituiti gli “Indirizzi Didattici” nella Facoltà di Scienze che, per un biennio, offrivano corsi complementari di buon approccio (almeno teorico) alle “Tecnologie Didattiche”. Saturata in breve la scuola pubblica, considerata dequalificante come sbocco professionale. >

Ma,  essendo l’Università  quella struttura intoccabile dove, non potendo liberarsi facilmente di ricercatori e professori nullafacenti, si è ricorsi alla Laurea breve e a quella magistrale per meglio rispondere alle “esigenze”(?) di una scuola soprassatura creando le S.S.I.S. dove la “crema” dei didattici universitari nostrani, che non hanno mai messo piede in una scuola, formava risorse umane destinate a perpetua disoccupazione essendosi la scuola soprassaturata del tutto nel frattempo.

Il più delle volte con passaggi in ruolo per legge ad hoc, assorbendo personale che non trovava posto nell’Industria o nella Ricerca (anche nella Ricerca le “sinistre” degli anni ’70 soprassaturarono l’ambiente con contratti quadriennali, assegni biennale ecc.). Rileggendo i corsivi iniziali mi chiedo: “ma cosa vogliono queste associazioni?”. “Sanno cos’è un contratto a termine?” Rivogliono le mortificanti S.S.I.S. (terzo o quarto introito di professori di scarsa ricerca (anche in Didattica) e pseudo conoscenze didattiche)? Seguendo anni fa tre specializzande S.S.I.S. mi sono sempre ben guardato dal far maneggiare loro del mercurio in laboratorio. Persone imbottite di tanta teoria e tanti buoni propositi, ma in Fisica, incapaci ad effettuare la più semplice esperienza dimostrativa. Non va bene neppure il tirocinio (secondo il modello Inglese) perché di supplenze ne hanno fatte tante? Ma allora rimane lo strumento di un tempo: Concorso per titoli ed esami da svolgersi in sede centrale (Roma) in modo da evitare broglietti e favoritismi italici. E’ bene avvertire che il numero dei posti messi a concorso annualmente (forse un centinaio) è forse circa l’uno per mille dei concorrenti. Il che fa sorgere un ulteriore problema di costi per indire i concorsi stessi. Occorre attendere l’uscita di scena di tutto l’attuale corpo docente prima di pensare al reclutamento.

 

Nel frattempo scarseggiano falegnami, idraulici, elettricisti, artigiani e parrucchieri … (anche questo è un dato OCSE) per cui mi chiedo se l’atteggiamento nordico di chi lavora sei ore con il trattore e par time 3 ore come “Lettore” in una Università, non sia il modello vincente. Ma secondo me, a noi del “sud Europa” manca la cultura.

11 maggio 2011                                               Salvatore Ganci

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