PORTO DI SAVONA – VADO, PIATTAFORMA, VIO E DINTORNI…

PORTO DI SAVONA – VADO, PIATTAFORMA, VIO E DINTORNI: I COMPLOTTI E LA REALTA! IL DIRITTO DI SAPERE, CONOSCERE, PARTECIPARE E DECIDERE:
E’ LA DEMOCRAZIA BELLEZZA!

  PORTO DI SAVONA – VADO, PIATTAFORMA, VIO E DINTORNI: I COMPLOTTI E LA REALTA! IL DIRITTO DI SAPERE, CONOSCERE, PARTECIPARE E DECIDERE: E’ LA DEMOCRAZIA BELLEZZA!

 Quando si perde la consuetudine al confronto e si deflette dal dovere di rendere conto delle scelte, succedono cose così.

Questo mi è venuto da pensare quando si è lasciato per giorni scrivere sulla delibera del Comitato Portuale sul Vio, senza neanche abbozzare una risposta, una spiegazione.

Ma, devo dire, tutta la vicenda della piattaforma contenitori di Vado è stata trattata più come oggetto di corride tra tifosi, che come opportunità per innescare confronti che ne evidenziassero le caratteristiche, le funzioni, l’idea di sviluppo che ne dovrebbe essere sottesa.

Sia i fautori sia gli avversari hanno usato per sostenere le proprie posizioni nel migliore dei casi stereotipi generici, nel peggiore vere e proprie manipolazioni della realtà.

Si è passati da una acritica e solo quantitativa magnificazione dello sviluppo alla confutazione ignorante di ricadute occupazionali e produttive connesse ad una infrastruttura di questo tipo. Quando si dice e si osserva che Savona è una città senza cultura portuale diffusa, ecco, in questa vicenda se ne trova la più plastica conferma.

A Savona si può raccontare, senza che alcuno obietti,  che un terminal che può muovere fino a 800 mila teu occupi 60 persone (???!!!), o, al converso, che 800 mila teu non avranno un impatto con il porto di Genova.


 

I famosi asini volanti….

Voltri, con i suoi 687 occupati diretti + altre 300 persone d’indotto diretto (art 17) e con Maersk tra i primi 3 clienti dista poche decine di Kilometri, ma la pigrizia è tale che nessuno neanche allunga il collo per sbirciare.

Chi amministra, una volta si diceva GOVERNA, oggi è già tanto dire amministra, questa comunità, dovrebbe avere interesse a favorire la conoscenza su questi argomenti, visto che si continua a ripetere come un mantra che lo sviluppo portuale è il principale (l’unico?) volano economico credibile per ridare una struttura produttiva ad una provincia così duramente segnata dalla crisi e considerato che si compiono operazioni in chiara controtendenza, investendo capitali pubblici in partecipazioni di società operative.

Accade anche per questo che sia facile la strumentalizzazione politica e si possano adombrare fini diversi dal merito puro come presupposti di una operazione complessa, che avrebbe meritato e merita ben altra attenzione e pubblicità.

Proviamo a entrare nel merito per capire di più, con gli elementi che conosciamo.

La piattaforma contenitori avrà un’estensione totale inferiore ai 200 mila mq. Ciò significa che, al netto delle infrastrutture quali uffici, aree parcheggio mezzi.. e delle compatibilità operative e legali (distanze minime, viabilità interna etc etc) la superficie di stoccaggio di contenitori non sarà superiore ai 180 mila MQ circa.

Per consentire una movimentazione che a regime si quantifica fino a 800 mila teu (circa 550 mila cntrs) utilizzando i parametri classici di valutazione (rotazione, modalità di stoccaggio, altezza di stoccaggio, lunghezza della banchina…) si può presumere che i soli spazi interni del terminal non possano essere compatibili con questo livello di traffico.


Perché ciò sia possibile si devono realizzare due condizioni:

  1. fortissime flussi in e out di contenitori da e per la piattaforma, riducendo al massimo i tempi di stoccaggio interni;
  2. disponibilità di una area immediatamente retro portuale per stoccaggi e lavorazioni dei cntrs.

Non stiamo parlando di alcunché di pazzesco, ne’ di novità.

La Spezia Container Terminal (LSCT), che movimenta 1.200.000 teu con una superficie complessiva di 280.000 mq lavora esattamente così: abbattimento del tempo di permanenza dei cntrs in area di stoccaggio interna,  anche grazie a forti connessioni ferroviarie (oggi la movimentazione su ferro arriva al 35% dei volumi totali, 4 volte Genova e 2 volte Livorno) e aree retro portuali facilmente e velocemente accessibili (S.Stefano Magra, che si vede bene dall’autostrada A12).

Quindi l’operazione Vio è corretta( anche se non sufficiente, data l’ampiezza e la caratteristica del Vio) da un punto di vista logistico e industriale.

Però, c’è un però non di poco conto. Un però che rimanda a bomba alla considerazione di partenza: la necessità di spiegare, di coinvolgere le istituzioni nella loro interezza in scelte così rilevanti, che non fa un privato, com’è avvenuto a Spezia, ma che a Vado fa il pubblico.

Anche qui, torniamo ai numeri.

La piattaforma nasce sulla base di una operazione di project financing che coinvolge lo Stato e un operatore privato, Apm Moeller, la struttura terminalistica di proprietà di Maersk. Il rapporto tra investimento pubblico e investimento privato è di 65% pubblico e 35% privato. Il privato si porta a casa una concessione di 50 anni sulla struttura.

Il Vio non fa parte di questo conto, ma ne è connesso, perché è necessario per reggere il progetto su un piano logistico e industriale; quindi, da un punto di vista sostanziale, non formale, altera ulteriormente quel rapporto a favore del privato.

Infatti, quando finalmente si è cominciato a dare qualche ragione dell’operazione dopo la campagna stampa, tra chi risponde c’è il privato, Apm, che dichiara un proprio interesse futuro.

Così come il Presidente di AP Sv spiega, se ben capisco, che il subentro pubblico immediato nella società operativa ha la finalità di “preparare” le condizioni affinchè quelle aree siano in grado di svolgere la funzione che svolge S.Stefano per La Spezia, dove sono intervenuti capitali privati, forniti dal gruppo che gestisce il terminal LSCT insieme ad altri soggetti che svolgono la propria attività nell’ambito della logistica dei cntrs.

Che cosa emerge quindi con chiarezza da tutto ciò: il pubblico, lo Stato nelle sue articolazioni, fa la parte del leone negli investimenti.

Bene, nulla di strano, ma allora devono essere molto chiare, trasparenti e comunicate, le ricadute pubbliche di una tale mole d’investimenti.


E qui torniamo ancora al punto di partenza.

Bisogna rispondere a qualche domanda, finalmente, invece di invocare il complotto e Andrea Doria.


Quali sono le stime reali di ricadute occupazionali che l’investimento creerà?

Quali sono le ricadute fiscali e di dazi che la movimentazione di merci comporterà a beneficio dello Stato?

Due domande semplici, cui però non si può rispondere, se non si dicono subito altre cose; ad esempio:

che tipo di traffici avranno luogo sulla piattaforma?

Ci sarà una compensazione con Genova?

Più precisamente quale sarà la previsione di transhipment (trasbordo) che verrà convogliato a Vado?

Quali sono le scelte di equipment che verranno adottate dall’operatore privato, che già gestisce splendidi terminal con elevato grado di automazione?

Gli investimenti devono avere dei ritorni. Per un privato significa maggiori efficienze produttive e maggiori ricavi, per il pubblico deve significare massimizzazione dell’utilità sociale e pubblica e non solo nella località oggetto dell’investimento, possibilmente.

Con i soldi della Stato non si possono fare operazioni di compensazione occupazionale tra zone confinanti.


Bene, è provocatorio chiedere che questo “business plan” pubblico sia presentato e declinato chiaramente?

Tornerò su questi argomenti, sulla necessità di ancora maggiore trasparenza delle strategie quando diventa essenziale l’interazione tra pubblico e privato e tornerò sul mancato esercizio del proprio ruolo da parte delle istituzioni savonesi in tema di portualità; una carenza di ruolo che dura da molti anni e che ha indebolito il porto di Savona e la sua legittima volontà di autonomia, molto più di quanto non abbiano fatto Andrea Doria e i suoi eredi.

Luca Becce


                                                            foto da IVG


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