Perchè non si deve temere la morte (Seconda parte)

PERCHE’ NON SI DEVE TEMERE LA MORTE 

Seconda parte

 

PERCHE’ NON SI DEVE TEMERE LA MORTE 
Seconda parte
 

   LEGGI LA PRIMA PARTE

        La prima sezione della parte prima del Iibro di Giorgio Girard Monos: liberare la morte dalla paura, intitolata “Aspetti di metodo”, ruota intorno al problema dell’identità e a quello del dualismo. Ora, il concetto di identità, malgrado l’opinione corrente, non è immediato: non si può comprendere che cosa significa identità se non si comprende il concetto di differenza; come faccio a sapere, infatti, che io sono io se non avessi a che fare nella mia vita quotidiana con altri io diversi dal mio (e con gli specchi che mi rimandano la mia immagine)? E come potrei imparare a parlare e a farmi capire da chi parla la mia stessa lingua se non distinguessi i nomi che designano gli oggetti, le azioni, i volti, le voci, le relazioni e le funzioni diverse che hanno le persone e le cose nel mondo in cui viviamo? Una tazza è una tazza e nessun’altra cosa, e così un martello è un martello e non un chiodo, e un chiodo è un chiodo e nient’altro che un chiodo, come un coltello non è un cucchiaio,  e guai se chiamassi cucchiaio il coltello e coltello il cucchiaio, o se dicessi che il bianco è nero e il nero bianco;  il rispetto per la convenzione che regola il nesso tra il significante e il significato (o i significati) delle parole e delle frasi è necessario al reciproco comprendersi, senza questo rispetto addio societas, addio historia, addio  logos e, naturalmente, addio anche alla humanitas e a quella che i Greci chiamavano paideia. Il concetto di identità come differenza (gli scolastici parlavano di principium individuationis ) di un ente rispetto a tutti gli altri appartiene alla concezione dualistica della realtà, ed è per questo che Girard nel primo paragrafo di questa sezione intende chiarire “il modo in cui viene impiegato il termine  dualismo, che mira alla garanzia offerta dalla chiarezza del discorso, attraverso quella ragione discorsiva che attesta i significati restituendo certezze: ‘il sì al sì, il no al no’, come l’intendimento comune vede la strada alla verità delle cose”.


Difatti è sul dualismo che si basa la distinzione tra soggetto e oggetto, tra soggetto e soggetto e tra oggetto e oggetto, tra pensiero e azione, tra materia e spirito, tra padre e figlio, tra marito e moglie, tra maestro e scolaro, tra amico e nemico, tra padrone e servitore, ecc.  Tutto questo sembra evidente e fuori discussione; nondimeno, se consideriamo l’esempio del nichilismo, che è ricorrente in questo libro, secondo lo schema dualistico, vediamo che il nichilismo “definisce un  ‘togliere’, fino all’annullamento totale, di un qualcosa di ‘sussistente’, dunque un essere che di conseguenza viene distrutto per effetto di quel toglimento. Essere e nulla, il ‘due antagonistico’ caposaldo del dualismo”.   Ed eccoci di nuovo alle antitesi che Parmenide  giudicava prive di essere e che il “monos” evocato da Girard nel titolo stesso del suo libro intende superare prospettando la possibilità “di comporre  quanto invece il dualismo esclude. E’ ovvio infatti che il dualismo del sì e del no, del vero e del falso, e così via, è un meccanismo ‘escludente’ in quanto ciascun polo del dualismo ‘esclude’ l’altro, anzi possiamo dire che ciascun polo del dualismo ‘si fonda’ sull’esclusione dell’altro, così come il vero si fonda sull’esclusione del falso”. Come è evidente il pensiero dualistico si basa sui principi logici aristotelici di non contraddizione (A non può essere anche non-A), di identità (A=A) e del terzo escluso (A o è B o è non-B); tuttavia oltre, o parallelamente,  a questa logica escludente o del tertium non datur ne esiste una includente  nella quale, invece, tertium datur: diversamente dal pensiero dualistico infatti “Il ‘monos ’è monodimensionale in quanto affaccia invece un’altra realtà possibile rispetto a quella dualistica ed è una via conciliativa, che ‘pone pace tra fra gli opposti’ e si concentra, paradossalmente per la mente strettamente dualistica, su una dialettica validità di entrambi”.  Ora la concezione opposta alla dualistica è quella definita monistica in quanto pone l’esistenza di una sola sostanza che sta all’origine della molteplicità dei fenomeni, i quali vanno quindi ricondotti a un principio unitario sotto o soprastante  alla loro diversità e al loro continuo mutare, apparire e sparire. 

Giorgio Girard

Per Girard il monismo è “una grandiosa strada che il pensiero filosofico ha aperto, ma che scorre in qualche modo sottotraccia, in quanto ostacola e rende confusiva la chiarezza che offre il ragionamento dualistico”. Ragionamento funzionale a una vita sociale ordinata in cui ciascuno ha, o dovrebbe avere, un ruolo specifico e riconosciuto, mentre il monismo “è un modo di porsi del pensiero che sembra ostacolare l’assunzione personale di responsabilità e quindi sembra minare alla base la possibilità di dare ordine al corpo sociale”. E difatti, se consideriamo l’importanza che ha l’identità personale  per quel che riguarda l’assunzione delle proprie responsabilità, ad esempio rispetto alle leggi scritte o anche non scritte della giustizia (o ingiustizia) umana  e della morale, ci rendiamo subito conto che un pensiero che mira al superamento di questa identità in una dimensione in cui viene meno la distinzione tra io e non io mette in crisi le consolidate e apparentemente ovvie distinzioni-separazioni  date per scontate dal pensiero dualistico, che è il più indicato quando si tratta, appunto, di separare e di dividere, ma non lo è altrettanto quando si tratta di unire e ricomporre le antitesi, i contrasti e i conflitti che nascono inevitabilmente tra soggetti diversi per carattere, formazione, status e persino gusti e disgusti. “Ed è essenzialmente questo contrasto tra una conciliazione intravista oltre la coltre del dualismo e la funzione  di ordine apparente che il dualismo tende a tutelare, a dar forma alla contraddizione che è alla base di quell’imperfezione strutturale della vita, cui in questo libro alluderemo soprattutto coll ’espressione’ ludibrio del vivere’”. A questo punto Girard pone la questione decisiva che riguarda il modo di intendere l’identità,  decisiva in quanto dal  significato che diamo  a questo concetto  dipende la possibilità o l’impossibilità di liberarci dal dualismo conflittuale, dall’aut aut su cui si regge il ludibrio del vivere: l’identità è qualcosa che unisce o che separa?  Non si tratta soltanto di una questione di logica formale, ma è un problema che riguarda la responsabilità di tutti e di ciascuno e, in teologia morale, la punibilità o l’assoluzione di un’anima nel caso in cui essa sia personale e individuale, come sosteneva Tommaso d’Acquino,  oppure unica e collettiva come pensava Sigieri di Brabante, sulle orme di Averroé: “In strettissima sintesi, separazione nel caso dell’anima individuale, unione come partecipazione in quello dell’anima collettiva. Parallelamente, direi, a questo primo nocciolo del problema richiamato e in qualche modo sostanziato da questa celebre disputa, c’è la questione del modo d’intendere il concetto di identità. Se l’identità distingua oppure componga le parti”. Un conto, infatti, è distinguere, dividere, separare; un altro ricomporre, riunificare, riconciliare. C’è infatti un’identità escludente e un’identità includente. La escludente, che  segue il paradigma dell’ aut aut , è la prima radice di ogni conflitto e delle guerre che non per caso continuano a insanguinare la terra; la includente  segue invece il paradigma unitivo et et “non individua più una parte ma allude al totale”, scrive Girard  pensando  a Jung. Ed è proprio l’identità intesa come totalità che apre la strada al superamento del dualismo conflittuale e, quindi, nella terminologia girardiana, del ludibrio del vivere. E’ questa la strada aperta, da un lato,  dalla mistica, e dall’altro dalla psicologia che Girard definisce, “debole” , richiamandosi al pensiero cosiddetto “debole” di Gianni Vattimo.

Ma di questi temi parlerò nella prossima puntata

 

(Continua)

 FULVIO SGUERSO

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