Perchè le associazioni dei commercianti non rappresentano i commercianti

Perchè le associazioni dei commercianti
non rappresentano i commercianti

Perchè le associazioni dei commercianti
non rappresentano i commercianti
 Non son solito usare parole tenere nei confronti della professionalità (piuttosto scarsa) di chi rappresenta i lavoratori dipendenti, in particolare, per quanto attiene una visione dello sviluppo della provincia di Savona assolutamente succube dei poteri forti.
Tuttavia ci sono associazioni di categoria in quanto a rappresentanza dei propri associati riescono nell’improbo risultato di fare ancora peggio. Sembra impossibile, ma è così.

 Partiamo dalla mamma di tutti gli inciuci ovvero la Presidenza della Camera di Commercio. Le organizzazioni dei commercianti sono state decisive, in provincia e in regione, nel far assurgere l’uno e trino dottor Luciano Pasquale alle presidenze medesime. Ovvero i rappresentanti di coloro che col cappello in mano chiedono respiro alle banche in genere e alla Cassa di Risparmio di Savona, in particolare, eleggono a proprio ancor più sommo rappresentante il Presidente della Cassa medesima. Sprovvedutezza ingenua dei rappresentanti? Macchè più di un inciucio per lucrare qualche posticino nell’assemblee camerale. Da questo punto di vista, il torto dei commercianti è quello di non conoscere i giochi, forse perchè la stampa locale di solito poco birichina col potere, quando non completamente accovacciata ai suoi piedi, non ne parla o fa incomprensibili giri di parole. I commercianti non sanno o talora fingono di non sapere che i propri rappresentanti hanno tali e tanti culi di pietra da mantenere che è assolutamente illusorio che da loro ne derivino opzioni chiaramente favorevoli al piccolo commercio.

Il piccolo commercio agonizza, soprattutto quello che era il presidio umano più concreto delle nostra periferie chiude i battenti, strangolati con affitti esorbitanti dai proprietari dei muri (pura rendita parassitaria sindaco economista e rottamatore dei miei stivali?), messi fuori gioco dai tre, diconsi tre, centri commerciali aperti nel raggio di sei kilometri, strangolati dalle tasse, alzano bandiera bianca.
E il comune aveva chiesto loro ogni tipo di sacrificio: aperture festive e magari anche notturne per intrattenere i crocieristi, mercati centrali e rionali che si moltiplicano sempre con la scusa che le bancarelle dei mercati animerebbero la vita cittadina.

Di fronte a questo surplus di richieste, le associazioni dei commercianti non hanno battuto ciglio o se l’hanno fatto è stato magari per schiarirsi la voce prima di andare a cantare su un’altra rametta. Si fa, ma non si dice e se qualcuno obietta si dice che si è fatto.

Lo sviluppo della grande distribuzione, che ha anche i suoi problemi legati alla innegabile crisi economica e le sue casse integrazione e le sue chiusure, è il boia designato del piccolo commercio e le ipotizzate aperture di sempre nuove gallerie commerciali (tra un po’ quella del vecchio San Paolo) configurano il commercio come un interminabili alberi della cuccagna o alberi da frutto da scrollare, sperando che qualcosa scenda giù.

Un tempo, forse con poca fortuna tra i commercianti, c’era un partito della sinistra che aveva un membro della segreteria che si occupava dei ceti medi, ora in tempi di forsennato interclassismo il problema della città trasformata in cimitero di botteghe non interessa né a loro, né ai culi di pietra delle associazioni commercianti. L’importante è che nessuno batta un colpo sull’IMU sostenuta, per colpa di Monti certamente, ma anche di un comune indebitato fino al collo che nel corso di questi anni si è valso di competentissimi assessori che hanno riempito le casse comunali di tanti bei derivati.

Sullo sfondo di questo quadro allucinante si ode il coro a bocca chiusa, non della Butterfly di Puccini, ma dell’opposizione di centro destra che, se per caso, apre bocca in consiglio comunale, riecheggia più toni da assemblea condominiale a cui è evidentemente più avvezza.

 

UGO TOMBESI

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