Nichilismo bifronte
NICHILISMO BIFRONTE
(Prima parte)
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NICHILISMO BIFRONTE (Prima parte) |
E’ il titolo dell’ultimo libro del filosofo Giorgio Girard. Si tratta di una raccolta di Elzeviri sullo spirito del tempo come viene specificato dal sottotitolo. Ma in che senso il nichilismo girardiano è “bifronte”? E perché, al posto di termini consueti come riflessioni o considerazioni o frammenti o, magari, pensieri, Girard usa il termine “elzeviri”? Riguardo a quest’ultima domanda, leggiamo nella prefazione il motivo, anzi, i motivi che hanno determinato la scelta di questo termine giornalistico (che, come sanno i lettori della “terza pagina” dei quotidiani, deriva dal nome del carattere tipografico utilizzato dalla famiglia di tipografi ed editori olandesi Elzevier) per indicare i paragrafi di un saggio la cui complessa materia richiede lettori non occasionali, non superficiali e non distratti: “Questo libro – spiega Girard in apertura – ripercorre altrimenti le tracce dei due ultimi saggi da me pubblicati nel senso che i suoi temi costituiscono elzeviri che in qualche modo ‘improvvisano’ o prendono per così dire ‘di lato’ i vari temi che compongono la struttura di quei due saggi, la quale li disponeva invece ordinatamente”. Con questa scelta di comporre una specie di mosaico le cui tessere sono appunto i vari elzeviri che troviamo elencati nell’indice del volume, l’autore intende facilitare la lettura del suo testo, in quanto “Ciò consente, potremmo dire, una leggerezza di lettura aperta all’improvvisazione sulla base di una scorsa all’indice, senza quella sorta di impegno, cui talora ci si sente legati, di leggere un libro dalla prima all’ultima pagina, e che sovente fa desistere”. Inoltre, considerata la nota “carenza di lettura in Italia, con le difficoltà intrinseche ad un’epoca sempre più caratterizzata dalla tecnologia, ci si stupisce quasi che il libro cartaceo, possa ancora così tanto ‘tenere’. Allora per me scrivere elzeviri copre il posto di una supplenza di commento a tutta una serie di saggi scritti negli anni, nella consapevolezza di aver comunque portato avanti ben marcatamente, nei decenni, una personale linea di pensiero”. Questi “elzeviri” vanno quindi letti anche come autocommenti circa le tematiche ontologiche, etiche, psicologiche, psicoanalitiche, psicosociali, massmediologiche, politologiche, antropologiche e religiose proprie dell’autore. Per quanto riguarda la risposta alla prima domanda, la troviamo nei paragrafi-elzeviri intitolati “Nulla e Ni-ente”, “Ideologia, aut-aut ed et-et” e, appunto, “Nichilismo bifronte e speranza” . Nel primo di questi “elzeviri” (tutti compresi nel capitolo numero uno, dedicato ai “Paradigmi di pensiero epocale”) Girard, riprendendo la tesi di un suo studio del 2009, intende “togliere al nichilismo quella patina di negatività assoluta con cui viene abitualmente considerato. Come già si potrebbe intuire da come è scritto il titolo di questo elzeviro, cioè con il trattino nel secondo termine che vi compare, il Niente viene pensato appunto come Ni-ente, cioè non come un puro e semplice ‘toglimento assoluto’ di una qualsiasi positività piena, come distruzione totale di un bene che questo sia un oggetto o un valore, rifluendo così il nulla nel male assoluto, almeno nella fenomenologia del percepito. Il trattino di Ni-ente non significa negazione ma differenza (la cosiddetta ‘differenza ontologica’). Il Ni-ente è essere, ed è essere che si differenzia dall’ente mondano”. Qui Girard adombra la distinzione heideggeriana fra la verità ontica e la verità ontologica: la verità ontica riguarda l’ente, o meglio, gli enti concreti, empirici, storici, osservabili e percepibili che possono essere oggetto di indagine scientifica; la verità ontologica riguarda invece l’essere in quanto essere, il quale non può in nessun modo venir specificato o determinato senza perdere la sua essenza di fondamento unico di ogni specificazione e determinazione ontica. Sennonché come può l’essere in generale completamente indeterminato, invisibile e in nessun modo percepibile non confondersi con il nulla? E infatti la tradizione filosofica occidentale da Platone a Nietzsche ha confuso l’ontologico con la semplice presenza dell’ontico. E’ quello che Heidegger chiama “oblio dell’essere” da parte della metafisica occidentale. Ma a trarre l’essere dall’abisso dell’oblio in cui sembrava caduto inesorabilmente è stato proprio lo stesso Heidegger: “Anche per un lascito di cultura religiosa, nella seconda parte del suo pensiero Heidegger concepisce l’essere come produttore ineffabile di significati rintracciabili e oggettivati nell’ente anche come una sorta di razionalizzazione del divino. Il Ni-ente come Essere , dunque, . ‘nega’ l’ente come ni-ente, ma non per distruggerlo, anzi, per farlo vivere”. Come si spiega questa trasformazione del potere distruttivo del nulla in potere creativo? Non si può spiegare secondo il paradigma del “pensiero calcolante”, anzi, non si può spiegare ma solo sentire e vivere come si sente e si vive un’opera d’arte o un’esperienza mistica: “Occorre riflettere sul fatto che diversa è la base concettuale scientifica (classica) secondo cui il reale è tale in se stesso e non deve essere spiegato da alcunché al di fuori di esso, rispetto al presupposto secondo cui si dà un ‘ineffabile produttivo’ che tiene in piedi il mondo”. Come il lettore può vedere, qui Girard va oltre la logica elementare ed utilitaristica in cui siamo immersi e condizionati nella nostra quotidianità, e va oltre perché non si ferma alla descrizione degli enti percepibili, visibili e significabili ma li mette in relazione, come un tardo discepolo di Plotino con “l’ineffabile-indescrivibile ma produttivo” che ne costituisce il fondamento. Per esempio: l’ente è in relazione con l’essere, il determinato con l’indeterminato, il nulla con il ni-ente, l’umano con il divino, l’identità con l’identità debole, l’aut-aut con l’et-et, il dia-noetico con il noetico, il linguaggio descrittore con il linguaggio costruttore…a cui Girard aggiunge altre polarità meno evidenti come democrazia ideale – democrazia mediatica, sostanza semplice – sostanza mediatica, urgenza della decisione – non urge l’azione. “Infine – chiosa l’autore – per quanto riguarda la ristretta sede di un elzeviro, mi preme che da esso si rinforzi il concetto di un nichilismo almeno bifronte , non negativo come un nihil del nulla, ma possibilmente propositivo di nuovo pensiero”. (Continua) |