MEDITAZIONE SULLA MORTE

MEDITAZIONE SULLA MORTE
 NEL GIORNO DEI MORTI

MEDITAZIONE SULLA MORTE
 NEL GIORNO DEI MORTI

La condizione preliminare e necessaria alla morte è la nascita: chi non è mai nato, anzi, chi non è mai stato concepito,  non potrà neanche morire, è una legge di natura.  Detto altrimenti: solo i vivi muoiono e solo i morti sono stati o furono un tempo vivi. Ma sarà poi vero? Voglio dire: se crediamo nell’immortalità dell’anima e nella resurrezione dei corpi – articoli di fede per un cristiano – la morte è solo apparenza, non è che un passaggio necessario a una nuova, o meglio, alla vera vita, la vita che non morirà mai più, la vita eterna, appunto.

Ma neanche questo è del tutto vero: la vita nuova del cristiano, la sua vera nascita e il suo ingresso nel Regno non può che avvenire prima della sua morte corporale; infatti nessuno, che io sappia, è mai stato battezzato o si è convertito e nutrito simbolicamente del corpo e del sangue di Cristo da morto. E nondimeno, se non moriamo alla vita vecchia non potremo nascere alla vita nuova ed eterna promessa dal Vangelo. In altri termini il cristiano deve morire da vivo per vivere in eterno. Sempre che lo voglia. E perché mai non dovrebbe volerlo? Si è mai visto un caso del genere?

E’ un’ipotesi assurda quant’altre mai: tutti vogliono vivere il più a lungo possibile, quindi tutti vorrebbero vivere, possibilmente, per sempre. Ma la fede non dice questo, per la fede la vita eterna non è una possibilità, è una verità…di fede; come dire che, per il cristianesimo, una volta che si è nati non si sfugge alla vita eterna, neanche se ci si pentisse di essere nati: non si può tornare al nulla dopo essere venuti all’essere in questo mondo. A meno di non essere atei. Un momento: vorresti per caso sostenere che la morte può essere un ritorno al nulla o il passaggio definitivo alla vera vita a seconda dell’opinione che ci si è venuti formando in merito? I vivi avrebbero dunque il potere di vivere oltre la morte se credenti, o di morire con lei se atei o anche semplicemente agnostici? Possiamo noi decidere il nostro destino ultraterreno quando non possiamo nemmeno decidere quali sogni verranno questa notte a visitarci? Potremmo, è vero, decidere di porre fine ai nostri giorni, ma non quello che ci capiterà dopo (Amleto).

In ogni caso tutti i vivi passano dal loro passato al loro futuro attraverso il loro inafferrabile presente. Inafferrabile? Fose che possiamo “affarrare” il nostro passato che è ormai passato o il nostro futuro che ancora non è se non nella nostra fallace immaginazione o nella nostra speranza? Dov’è finito il “presente” di un minuto fa?

E non subirà la stessa sorte il “presente” del minuto prossimo venturo? E se il presente di prima non è già più e il presente futuro non è ancora, noi quando saremo veramente presenti? Nell’eternità dell’istante senza passato né futuro, nel presente eterno dell’eternità senza più mutamento, nell’ora che non si muterà mai in allora, nell’ora di un orologio che segna sempra la stessa ora (come in un quadro di De Chirico). Nell’ora della nostra morte? Sarebbe troppo tardi. Un conto però è parlare della morte in generale, un altro della propria inconfondibile, inalienabile, intrasferibile, ineludibile, inconfutabile e sicura (sine cura) morte. Io, per esempio, ne sto parlando pro tempore; se fossi già morto non potrei più parlare (finalmente!) né della morte, né della vita, né di me stesso vivo o morto. Ma qui sorge una difficoltà insuparabile: come posso parlare della mia morte se sono ancora in vita? Come posso sapere ora quando e come morirò? Persino nel caso in cui – tranquilli, è un ragionamento per assurdo – decidessi di impiccarmi o di tentar il  volo dalla Rupe Tarpea, potrei al massimo parlare della mia disperazione, della perdita di qualunque senso o scopo o motivo per in-sistere e per-sistere in un’esistenza che non mi dice più nulla, ma sarebbe pur sempre un parlare della mia vita nella vita, sia pure erroneamente giudicata invivibile, intollerabile, indegna di essere vissuta, ecc. non della mia morte.

Di questa potrebbero parlare solo gli altri, i “rimasti” che potranno dire: “Ecco, il morto è lui, non siamo noi.” E in quella mia morte non sarò più quello che ero, ma nemmeno un altro, dal momento che sarò io a essere il morto. E dopo? Chi vivrà, vedrà.

FULVIO SGUERSO

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