LO “SPAZIO VITALE”
Durante le passate ferie estive ho guardato su Youtube vari documentari sui travagliati anni ’20 e ’30 del ‘900, e voglio trarne qui qualche riflessione, che, ovviamente, ha solo valore di mia personale opinione, senza pretesa alcuna di essere la “verità”.
Mi sono concentrato soprattutto sugli avvenimenti relativi alle due potenze di destra del continente europeo: Germania e Italia.
La Germania, in virtù soprattutto di un rinnovato sistema monetario, sganciato da quello dominante anglo-americano, e nonostante le pesanti sanzioni di cui fu oggetto, ebbe una rinascita economica sbalorditiva, col risultato di una disoccupazione quasi nulla, ma con una fame inesausta di materie prime per alimentare la colossale macchina economica. Quando i bisogni crescono in proporzione ai sogni di gloria di un dittatore e finiscono col superare le disponibilità fisiche domestiche, è naturale che si cominci a guardare oltre i propri confini, motivando questo allargamento di orizzonti come l’urgenza di disporre di “spazio vitale”. La rinascita economica tedesca era sproporzionata al territorio entro il quale la pace di Versailles l’aveva confinata; e le ingenti spese di riarmo erano destinate a non rimanere fini a se stesse, ma a venire impiegate in una guerra espansionistica a macchia d’olio, dapprima europea e poi verso l’immensità dei territori sovietici.
L’Italia, dapprima maestra di totalitarismo alla Germania, ne era diventata discepola, cercando in tutti i modi di non essere da meno, con la graduale costruzione di un impero, dall’Albania all’AOI (Africa Orientale Italiana), anch’essa seguendo lo stesso motto dello “spazio vitale”, affermando che la crescita demografica, pur voluta dal regime, eccedeva ormai le capacità di auto-sostentamento del solo territorio italiano. L’AOI veniva inoltre vista, oltre che come suolo fertile per nutrire gli italiani, anche come polmone di sfogo dove incanalare l’eccedenza di manodopera, non essendo l’Italia stata in grado di emulare la Germania sul fronte monetario, soffrendo perciò in maggior misura le analoghe sanzioni di cui anch’essa fu bersaglio.
Le constatazioni di cui sopra mi portano ad una riflessione generale: quando un’economia cresce troppo e/o troppo in fretta, cerca di ampliare il proprio territorio, come verificatosi sino all’ultima guerra, cercando di sottomettere le nazioni contigue con la forza delle armi; dopo il 1945, piegandole con la potenza del denaro, imponendo la propria come divisa di scambio mondiale e piegando le economie dei Paesi satelliti a trasformarsi in produttrici di beni necessari alla nazione dominante e sostitutivi di quelli tradizionali delle nazioni assoggettate, creandone la totale dipendenza. In questo modo, lo spazio vitale per la prosperità della nazione egemone viene ottenuto non più con l’occupazione post-bellica, ma con l’assoggettamento alle sue regole monetarie. Esempi calzanti sono molte ex colonie francesi in Africa, tenute sotto il tallone di Parigi, non più con l’esercito, ma col franco CFA, legato, dapprima al franco francese, e poi all’euro.
Inutile dire che la nazione egemone a livello mondiale siano stati e siano tuttora gli USA, sia pur con rivali di crescente peso economico, come la Cina. Gli USA hanno vissuto a spese del resto del mondo, grazie alla potenza del dollaro, reso forzosamente equivalente all’oro a partire dal 1971, e quindi auto-referenziale.
Da qualche anno, sono in corso sforzi notevoli, da parte delle nazioni in tumultuosa crescita economica, come la Cina, e in subordine la Russia, di creare un blocco monetario contrapposto allo strapotere del dollaro. Questo blocco non è omogeneo, in quanto la Cina vive di esportazioni, essendosi auto-decretata come la “fabbrica del mondo”, con ciò ergendosi a grande creditrice delle nazioni del blocco occidentale; mentre la Russia si basa soprattutto sull’esportazione di materie prime, devolvendone i proventi in gran parte alle spese militari, in rappresaglia per il costante dilatarsi dei Paesi occidentali, in particolari i membri NATO, a spese di quello che anch’essa considera il suo spazio vitale, sino a tornare ai vecchi metodi militareschi per frenarne l’espansione: vedi l’aggressione dell’Ucraina e i propositi bellicosi contro l’ingresso nella NATO di altri Paesi ad essa limitrofi.
Tutti questi discorsi sembrano però dimenticare lo spazio vitale per eccellenza: quello a livello globale, con una Terra che viene sfruttata e inquinata in misura crescente anno dopo anno, con le industrie di mezzo mondo impegnate nell’opera di distruzione crescente delle capacità vitali del pianeta.
Qui non si tratta più dello spazio vitale di X a scapito di Y o Z, ma della guerra di tutti contro se stessi, preferibilmente passando prima sui cadaveri altrui.
Abbiamo visto tutti le atrocità di cui sono stati capaci i nazisti durante l’ultima guerra, con la pianificazione dello sterminio sia di una razza, sia di tutti coloro che secondo cinici parametri erano considerati un peso morto per l’economia nazionale, a cominciare dai disabili fino agli omosessuali. E chissà quante altre genie, a partire da quella mediterranea, italica inclusa, sarebbero state aggiunte alla lista della “soluzione finale”, in un mondo disseminato di lager.
Non oso pensare a quali altre atrocità il genere umano sarà pronto a mettere in atto in proporzione al decrescere dello spazio vitale planetario da esso stesso provocato, in una deflagrazione in cui ogni essere umano sarà equiparato alle streghe che i nostri lontani antenati condannavano al rogo. La rincorsa di tutti al miglioramento delle condizioni di vita a spese dell’ambiente si tradurrà nella trasformazione obiettiva dell’homo sapiens nel più pericoloso infestante, da estirpare con ogni mezzo.
Con la sconfitta del nazismo abbiamo pensato che tutto il male del mondo fosse concentrato lì, per ritenere, a guerra conclusa, di essere ormai esenti dal ripetersi delle iniquità naziste, relegando in subordine quelle dei gulag sovietici. Ritengo invece che queste abnormità siano frutto di situazioni geopolitiche, che si stanno minacciosamente addensando sul nostro capo a causa della crescente crisi ambientale, che qualche nazione, o gruppo di interessi transnazionali, potrebbe cavalcare per attuare soluzioni oggi inimmaginabili.
Le mie sono considerazioni affette da un ecologismo di base, radicato da oltre 60 anni. Le mie lenti sono troppo scure? Purtroppo non credo, constatando come la Terra stia rispondendo, colpo su colpo, ai nostri reiterati attacchi, enfatizzati nei conflitti armati. A quanti giorni di pace corrisponde un solo giorno di guerra, in termini di distruzione dell’habitat comune?
Marco Giacinto Pellifroni 11 settembre 2022