Libertà va cercando ch’è sì cara (Seconda parte)
LIBERTA’ VA CERCANDO CH’E’ SI’ CARA (Seconda parte)
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LIBERTA’ VA CERCANDO CH’E’ SI’ CARA
(Seconda parte)
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Ancora più radicale di quello di Hobbes è il determinismo di Spinoza. In una definizione della prima parte della sua Ethica more geometrico demonstrata la libertà viene così definita: “Diciamo libera quella cosa che esiste per la sola necessità della sua natura, e si determina ad agire per sé sola” (E I, d7). Quindi, stando a questa definizione, solo la sostanza, cioè Dio, è libera in quanto solo la sostanza è causa sui, gli esseri umani sono soltanto “modi” della sostanza infinita e non sono causa di se stessi, eppure credono di agire liberamente per propria volontà. Come si spiega?
Per spiegare questa illusione Spinoza si serve di una metafora: immaginiamo una pietra che abbia la facoltà di pensare, ebbene, questa pietra messa in moto da una causa esterna crederebbe di muoversi spontaneamente sentendosi libera nel suo movimento. E’ questa la libertà che tutti si illudono di possedere ma che consiste unicamente nel fatto che gli uomini sono sì consapevoli della loro passioni e dei loro appetiti ma ignorano la causa dalla quale derivano. In altri termini, sappiamo quel che vogliamo ma non perché lo vogliamo, così come la pietra ipotizzata saprebbe dove vuole andare ma non perché ci vuole andare. Quindi è l’ignoranza delle cause a darci l’illusione della libertà intesa come libero arbitrio, così la pietra che non sa perché vuole andare dove di fatto sta andando per necessità pensa il suo movimento come libera possibilità e crede di essere lei a scegliere la meta. Normalmente associamo l’idea di libertà all’idea di possibilità, Spinoza invece l’associa all’idea di necessità. Quando ci renderemo conto che l’idea di possibilità nasce dall’inadeguatezza del nostro conoscere, allora capiremo da dove viene l’illusione del libero arbitrio. Per una conoscenza adeguata delle cose dobbiamo prendere coscienza del fatto che la realtà non ammette la possibilità ma solo la necessità; a questa ardua consapevolezza, però, solo pochi arrivano dopo una lunga ascesi di emendatio intellettuale; per la maggioranza dell’umanità, filosofi compresi, che ancora non ha raggiunto il “terzo livello” della conoscenza, quello dell’amor dei intellectualis in cui si comprende chiaramente la coincidenza della libertà con la necessità, ai fini pratici della vita quotidiana è utile pensare le cose come possibili. Se nell’etica di Spinoza non c’è spazio per il libero arbitrio anche la responsabilità personale viene meno e il peccato svanisce nel non sapere e nell’ignoranza, come già in Socrate e in Platone. Non così in Leibniz, il quale, pur condividendo con Spinoza la concezione della libertà come accettazione della legge della necessità che governa l’universo, vuole però salvare il principio cristiano della libertà individuale e il conseguente principio di responsabilità. A questo fine fonda la libertà dell’uomo metafisicamente sulle “monadi”, cioè su sostanze o principi agenti individuali che, pur essendo come atomi separati, indivisibili, indistruttibili ed eterni, compiono autonomamente degli atti che si connettono come tessere di un mosaico agli atti corrispondenti delle altre monadi ognuna delle quali rispecchia, dal proprio punto di vista, tutte le altre agendo comunque, a loro insaputa, secondo l’”armonia prestabilita” dalla monade suprema, cioè Dio, che ha ordinato il mondo in base al principio del migliore dei mondi logicamente possibili. Tuttavia come possa conciliarsi l’autonomia delle singole monadi con l’armonia prestabilita rimane un mistero. Per risolvere questo problema Kant distingue tra mondo fenomenico empirico, percepibile tramite i nostri sensi e soggetto alle leggi di natura, dove la libertà è assente in quanto tutto è determinato dal principio di causa, e mondo noumenico intelligibile dal nostro intelletto soltanto tramite una pura negazione di ogni determinazione empirica (o come pura intuizione intellettuale); e, se nella Critica della ragion pura il noumeno segna il limite insuperabile del conoscere, nella Critica della ragion pura pratica il concetto di noumeno invece indica il principio universale della moralità su cui si fondano i tre postulati della ragione pratica: l’immortalità dell’anima, la libertà e l’esistenza di Dio. Il concetto kantiano di libertà, tuttavia, rimane su un piano rigorosamente formale: siamo liberi, ma per fare che cosa? “Devi, dunque puoi”, sì, grazie, ma che cosa posso fare? Per Hegel la libertà autentica si identifica con l’essenza razionale della realtà e della storia, non si tratta più di libero arbitrio individuale ma di un processo dialettico universale che partendo dal dispotismo orientale (come seguendo il corso del sole) giunge alle moderne monarchie costituzionali europee. La libertà di cui parla Hegel non è quella dei singoli abitanti di questo pianeta sempre più a rischio di estinzione, ma la libertà dello Spirito che raggiunge la sua pienezza attraverso l’arte, la religione e la filosofia. Soren Kierkegaard Hegel dunque non nega la libertà ma la attribuisce solo allo Spirito Assoluto che ritorna in sé stesso dopo essersi alienato nella natura e nella storia. A questa libertà riservata solo allo Spirito Assoluto, si oppone, tra gli altri, il grande e infelice filosofo danese Soren Kierkegaard, per il quale, riconducendo il problema della libertà nell’alveo del pensiero cristiano, insistette sulla dimensione individuale e personale della libertà: ogni uomo è come Abramo che risponde alla chiamata di Dio ma, nello stesso tempo, le ragioni della sua scelta di obbedire alla voce di Dio gli rimangono oscure, come quelle della chiamata stessa. Per Kierkegaard la verità stessa non è qualcosa di oggettivo a cui credere o non credere ma una libera scelta, una verità per me, un valore per cui val la pena vivere o morire e a cui conformare la mia esistenza, la quale è concepita come progetto e come una serie indefinita di possibilità. Ma quanto più rassicurante è una realtà, una vita, una condotta morale basata sulla necessità! E’ dalla possibilità infatti che nasce l’angoscia. (Continua) |