LETTURA DI UN’IMMAGINE

LETTURA DI UN’IMMAGINE
  Ragazza col turbante Ragazza con l’orecchino di perla,  1665 – 1666 (circa), di Jan Vermeer 

 LETTURA DI UN’IMMAGINE

  Ragazza col turbante o Ragazza con l’orecchino di perla,
  1665 – 1666 (circa), di Jan Vermeer 

    E’ considerata oggi, insieme alla Gioconda di Leonardo e a L’urlo di Munch, l’opera d’arte più famosa e riprodotta al  mondo, anche grazie al fortunato romanzo  della scrittrice   milanese  Marta Morazzoni La ragazza col turbante (1986)  e  a quello, ancor più fortunato, dell’americana Tracy Chevalier La ragazza con l’orecchino di perla (1999) , da cui è stato tratto  l’omonimo film  magistralmente diretto dal britannico Peter Webber, con Scarlett Johansson, Colin Firth e Tom Wilkinson (2003). Si tratta di una  tela dipinta a olio di 44, 5 x 39 cm, conservata al museo Mauritshuis dell’Aia (ora esposta a Bologna, nella mostra “Da Vermeer a Rembrandt. Capolavori del Mauritshuis”, a Palazzo Fava, fino al 25 maggio 2014). Quando Vermeer (1632 – 1675) morì, il quadro era forse ancora nel suo atelier; certo è che se ne perdono le tracce fino al 1881, quando viene messa all’asta, all’Aia,  la collezione di tale Braams, nella quale spiccava il ritrattino di quella ragazza vestita alla turca. Ebbene, quel ritrattino fu acquistato per due fiorini e trenta centesimi dal capitano di artiglieria a riposo, nonché archivista e studioso di genealogia Arnoldus des Tombe, su consiglio dell’amico ed esperto d’arte Victor de Stuers. Alla morte del des Tombe, nel 1902,  la proprietà  della Ragazza col turbante passò, per lascito testamentario, al museo Mauritshuis. Si è molto discusso (e fantasticato) sull’identità della giovane modella: per André Malraux è il ritratto di Maria, la figlia maggiore del pittore; più verosimilmente, per Tracy Chevalier è quello di Griet, la giovane domestica di casa Vermeer. Sia come sia, la Ragazza con l’orecchino di perla, sull’onda lunga della riscoperta e rivalutazione di Vermeer, attestata dal successo strepitoso della grande mostra alla National Gallery of Art di Washington del 1995-1996,  “va senz’altro collocata – secondo Flavio Caroli – ai vertici dell’Olimpo della pittura”. Che cos’ha dunque di così speciale questo ritratto?


 

Qui non non si può nemmeno più dire che il fascino di quest’opera consista nel suo essere una  vera  natura morta con figura umana, così nitida che pare  riflessa in uno specchio o come vista da “un fotografo che si sforzi di attenuare i forti contrasti degli oggetti senza offuscarne le forme” per riprendere la celebre definizione di E. H. Gombrich a proposito della Lattaia e di altri dipinti che rappresentano figure umane colte nell’attimo in cui sono intente a semplici occupazioni domestiche all’interno di una tipica abitazione borghese, nella “Golden Age”  della  prospera e mercantile Olanda seicentesca. Non che la  Ragazza con l’orecchino di perla non richiami anch’essa la tecnica di un raffinato fotografo (pare che Vermeer si servisse della camera oscura per studiare meglio le inquadrature più adatte ai suoi soggetti) e non dia anche l’impressione di un’istantanea che ferma per sempre l’immagine di quella umile fantesca  mentre volge lo sguardo verso il pittore (e, attraverso di lui, verso chiunque si soffermerà ad ammirare il suo magnifico volto); ma non è  questo, o meglio, non solo  questo che affascina chi la guarda. In quello sguardo e in quella bocca appena socchiusa si possono leggere sentimenti diversi e persino contrastanti: è come se la ragazze fosse sul punto di dire qualcosa di importante al pittore (e a noi che oggi la contempliamo ammirati), qualcosa che ha tenuto a lungo celato in seno e che ora finalmente ha deciso di rivelare: in quello sguardo umile e dolcissimo (ma che ci segue implacabile da qualunque angolatura noi lo guardiamo) c’è un misto di implorazione, di tenerezza, di apprensione e di stupore. E’ lo sguardo di un’innamorata che a me pare infelice ma che ad altri può invece sembrare felice.


Jan Vermeer

 

Sublime ambiguità di questa opera, di questo piccolo ma immenso spazio,  in cui ciascuno è libero di  proiettare i propri sentimenti o le proprie fantasie.

Ma come è stato possibile un simile gioiello pittorico? E’ stato possibile grazie soprattutto alle variazioni d’intensità della luce che fa delicatamente  emergere le forme e i colori dal buio dello sfondo uniforme, grazie ai chiaroscuri sfumati dell’abito e delle pieghe del turbante, all’ombreggiatura, anch’essa sfumata,  di una parte del volto, a quei puntini  luminosi negli occhi e nella bocca, alla striscia  bianca del colletto che contrasta con l’ombra in cui è immersa una parte del collo e dell’abito e, naturalmente, grazie al punto d’equilibrio di tutto il quadro: la perla che pende dall’orecchio sinistro appena accennato della ragazza che si volge di tre quarti verso il pittore (e verso di noi che la guardiamo). E’ stata notata la grandezza irrealistica della perla – che, tra l’altro è resa con due soli tocchi, ma così ben  pennellati da farci vedere una sfera  che non c’è -; perché Vermeer ha voluto ingrandire la perla? Evidentemente intendeva  significare qualcosa, che cosa? Dal punto di vista formale ha messo  un accento luminoso sul centro geometrico del dipinto, e ha inotre fatto rimare la lucentezza della perla con la lucentezza degli occhi: “Geometria assoluta, con le diagonali che si incrociano esattamente nel punto di luce che fa vivere la pietra preziosa. Luce paradisiaca, nel bagliore attenuato che non ha né sorgente né limite” (Flavio Caroli).


 

Da un punto di vista “contenutistico” è evidente il contrasto tra la preziosità del monile e la povertà dell’abito (il turbante segnalava l’apparteneza a una classe sociale subalterna). Questo contrasto esteriore potrebbe alludere a un qualche conflitto interiore della ragazza: un amore impossibile? Un desiderio di emancipazione sociale? Un contrasto tra umile accettazione e atteggiamento seduttivo? Solo lei potrebbe risolvere questi dubbi.

Ma ne varrebbe la pena? L’incanto di questo ritratto è dovuto anche alla profondità e complessità dei sentimenti che affiorano in superficie ma che, se fossero del tutto rivelati, svanirebbero come sogni nell’aria.

FULVIO SGUERSO

 

 

 

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