LETTURA DI UN’IMMAGINE: Ritratto della sorella Olio su tavola (1921) e Mia sorella Olio su tela (1921) Di Achille Funi

Ritratto della sorella Olio su tavola (1921)
Mia sorella Olio su tela (1921)
Di Achille Funi
Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Filippo de Pisis” – Ferrara

Questi due ritratti a mezzobusto della sorella, dipinti da Achille Funi (Ferrara, 1890 – Appiano Gentile, 1972) a poca distanza temporale uno dall’altro (sono entrambi del 1921) non potrebbero essere più diversi, nemmeno fossero di due diversi autori. Siamo nel clima culturale del cosiddetto “ritorno all’ordine”, dopo il periodo delle avanguardie che avevano rivoluzionato il linguaggio stesso dell’arte e dopo l’esperienza tragica della prima guerra mondiale, esperienze entrambe attraversate da Achille Funi che interpreta il suo ritorno alla figurazione come un ritorno a Leonardo Da Vinci, come è evidente nella postura di questi due ritratti che arieggiano manieristicamente alla celeberrima Gioconda leonardesca. Se non che il primo di questi due ritratti emergente da un fondo scuro e uniforme,  è decisamente malriuscito, non certo al confronto con la Monna Lisa –non si pretende l’impossibile –   ma con la seconda versione del ritratto. Ora non occorre essere docenti di storia dell’arte o di disegno anatomico per notare che nel primo ritratto la posizione della bocca è spostata a sinistra rispetto al naso, di modo che quello che voleva essere l’accenno di un sorriso si trasforma in un ghigno, che la capigliatura fa pensare più a una parrucca che a veri capelli, che  gli avambracci conserti alla bella e meglio sembrano quelli di un manichino (e non è pensabile che Achille Funi intendesse rappresentare la sorella Margherita come un manichino di legno o di celluloide) e, in particolare, il dorso della mano sinistra, la sola visiblle, è malformato e le dita sembrano intagliate nel legno.

Tutto cambia nel secondo ritratto: dall’espressione, qui pensosa tendente al triste, là ironica ed enigmatica; all’armonia del volto, là disarmonico e quasi beffardo; allo sfondo, qui aperto sul lato sinistro con scorcio prospettico su una via cittadina (probabilmente di Ferrara) e da una balaustra in pietra scura in primo piano sulla quale poggia un bel vaso chiaro rinascimentale che rima con il collo e l’ovale luminoso del volto pensieroso della sorella incorniciato dai fluidi capelli scuri; là chiuso da uno sfondo nero e uniforme. Due ritratti della stessa persona, ma quanto diversi fra di loro! Miracoli del realismo magico.

Fulvio Sguerso

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