Lettura di un’immagine: Giuditta I
LETTURA DI UN’IMMAGINE 33
Giuditta I
Olio su tela (1901) di Gustav Klimt Osterreichische Galerie Belvedere – Vienna |
LETTURA DI UN’IMMAGINE 33
Giuditta I
Olio su tela (1901) di Gustav Klimt
Osterreichische Galerie Belvedere – Vienna
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Gustav Klimt (Baumgarten, 1862 – Vienna, 1918) si è dedicato due volte alla figura di Giuditta, la giovane ed eroica vedova ebrea che salvò la sua città assediata tagliando la testa al nemico Oloferne, la prima volta nel 1901, la seconda nel 1909.Giuditta I è l’opera che inaugura il cosiddetto periodo aureo del grande maestro del secessionismo viennese, affascinato dall’oro dei mosaici ravennati e dalle figure stilizzate e simboliche dell’arte bizantina. In questo dipinto Giuditta non è più la personificazione del coraggio, della fedeltà, della castità e dell’obbedienza alla volontà del Signore che l’ha guidata a compiere il sacrificio, come nel Caravaggio e negli altri artisti cinquesecenteschi che hanno trattato lo stesso tema; qui Giuditta è una figura della sensualità, anzi, dell’erotismo della femme fatale che se-duce, ammalia, avvince l’uomo e poi, quando è caduto del tutto in suo potere, gli taglia la testa. Qui Eros e Thanatos sono strettamente congiunti. La figura sensuale della crudele seduttrice occupa quasi per intero lo spazio del quadro, delimitato dalla cornice in rame sbalzato costruitagli dal fratello Georg; l’oro domina così nello sfondo decorato con motivi vegetali tipici dello stile floreale come nel vestito aperto a scoprire il turgido seno e nel largo collare arricchito con pietre preziose. In fondo, sulla destra di chi guarda, appare di scorcio la testa scura e barbuta di Oloferne (mezzo tagliata anche dalla cornice) su cui la maliarda, in segno di possesso, appoggia con delicatezza la sua mano destra. Il volto della protagonista, incorniciato da una folta capigliatura scura, è quello di Adele Bloch-Bauer, nobildonna viennese, amica dell’artista che la ritrasse due volte. La Giuditta di Klimt non ha più niente, come s’è detto, della giovane vedova le cui gesta sono narrate nell’Antico Testamento; lo sguardo che ci rivolge attraverso i suoi occhi semichiusi e il tacito invito che ci offrono le sue labbra socchiuse ci parlano più di dolore che di piacere, più di inferno che di paradiso, più di morte che di vita. Qui la donna non è simbolo di salvezza ma di perdizione. Questo ci dice la Giuditta di Klimt.
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