LETTERA APERTA AL PREMIO NOBEL DARIO FO’

Lettera aperta al premio Nobel
per la letteratura italiana, Dario Fò
Se non mi ridate la lingua di Dante esco dall’unione europea 

LETTERA APERTA AL PREMIO NOBEL
PER LA LETTERATURA ITALIANA, DARIO FO’
 
SE NON MI RIDATE LA LINGUA DI DANTE ESCO DALL’UNIONE EUROPEA

Caro Dario,

innanzitutto lasciati chiamare “Caro Dario”, in quanto anche se non ho la tua notorietà, ti conosco da una vita, avevamo ed abbiamo amici in comune. Adesso, ti dirò per filo e per segno dove e quando ci siamo conosciuti. Ma, in primo luogo, perché ti importuno.

Lo faccio attraverso un media apparentemente marginale. “Trucioli Savonesi”, e chi diavolo lo conosce? Non è l’Herald Tribune, non è il Times, non è le Figaro, non è l’Economist, e via dicendo. Vedi, caro Dario, che brutte abitudini si prendono frequentando compagnie non brutte ma sbagliate.

Va a farsi benedire la nostra benedetta lingua italiana, della quale te ed io siamo così legittimamente fieri. E poi tutti si lamentano che l’editoria italiana è in crisi. Che persino il “Corrierone” che fu di  Giovanni Spadolini, ed ebbe come firme Indro Montanelli ed Orio Vergani,  non se la passa troppo bene. Per forza, al di là dell’OK, c’è il baratro di Shakspeariano. E così anche “Trucioli” va in crisi.


Eppure: il grande poeta ligure, Camillo Sbarbaro, definì proprio Leopardi “La voce dell’innocenza davanti all’esistenza”. E sai dove lo fece, caro Dario ? Proprio su “TRUCIOLI” DISPERSI (Scheiviller . Milano 1986). Va bene, che patria o non patria, il Savonese, Gabriello Chiabrera, non è poi questo “summit” della letteratura italiana, ma tra lui e l’anglicista letterario c’è una bella differenza.

Veniamo a noi.

Ci siamo conosciuti, caro Dario, ad una serata mondana ad Alassio. Tu, in forma smagliante ed al fianco della cara e compianta Franca Rame, eri scortato da un inviato speciale de “Lo Specchio” di Giorgio Nelson Page, Giorgio Mistretta, grande giornalista siciliano poi passato a “Gente”. Ci presentò. Ci rivedemmo. Io avevo diciassette anni e lavoravo alla redazione savonese de “Il Secolo XIX “. Ci rivedemmo davanti ad un albergo di Borgio Verezzi. Intervista e via. Il fan ero io. Avevo già visto tutti i tuoi films.

C’era stato la caratterizzazione di un gangster da operetta (“Pupo biondo”) in un film di cui non ricordo il nome. Quello che ricordo (magistrale) è lo “Svitato”. Fantastica caratterizzazione di un giornalista di provincia, che – tornato in redazione- scriveva il suo bravo “pezzo” e il suo capocronista glielo firmava. Sempre così. Ma lui andava fiero del suo lavoro. E mostrava ad una superba e biondissima Franca Rame, la targhetta “stampa” per la quale una squadretta di dilettanti aveva contrassegnato il suo posto in tribuna.

E poi, i successi di una carriera strepitosa.

Il Dario Fo’ “giullare televisivo” che prendeva in giro il “boom”: “Facciam cantare gli orfani, le vedove che piangono… Popolo del miracolo, miracolo economico…”.

L’ascesa, direi quasi ascetica del  “giullare” francescano che, però, frequentava Dante, preferendogli forse Boccaccio. Un pò come un altro Nobel, Roberto Benigni.

Fisicamente, ci assomigliavamo un po’. Ma io ero più bassino e magrolino. Avevo però il tuo stesso dentone sporgente e gli amici mi prendevano in giro per questo.

Va bene, rifatte le presentazioni, veniamo al dunque.

Un premio Nobel per la Letteratura italiana ha non solo la facoltà ma persino direi il dovere morale di difendere gli scrittori italiani. Tutti gli scrittori italiani. Da Italo Calvino ad Antonio Rea. E non soltanto i soliti classici: Dante, Boccaccio Manzoni, Leopardi, Carducci, Foscolo, Pascoli, Grazia Deledda, Guido Gozzano, De Amicis… e via dicendo.


Dico bene?

Ci sono, proprio oggi, le elezioni europee.

Ho sentito parlare di Matteo Renzi de’ Medici, ma non una parola della difesa linguistica a Bruxelles. Ho sentito parlare del capo dei barbari, il nostro comune amico Beppe Grillo.

E poi della dinastia berlusconiana.

A proposito, berlusconismo e bonapartismo, caro Dario, sono la stessa cosa…

Angeli Alfanismo e Borbonismo sono la stessa cosa…

Ma lasciamo da parte le tristezze politiche di cui suona l’ora funesta e torniamo ai nostri problemi di difesa linguistico-letteraria.

Sai perché contiamo così poco in Europa. Lascialo dire ad uno che di Europa si interessa da oltre mezzo secolo. A proposito, mi presento: Franco Ivaldo, ex corrispondente da Bruxelles de “Il Messaggero” e de “Il Secolo XIX”, di “Italia Oggi” e – nei ritagli di tempo domenicali – de “La Gazzetta dello sport”, de “Il Corriere dello Sport” di “Tuttosport”.

Amico di grandi europeisti come Aldo Moro, tanto per citarne uno.


Va bene, ma abbiamo detto di lasciare da parte i politici. Allora penso che avrai sentito parlare di Michele Tito e di  Guglielmo e Vittorio Zucconi, di Ugo e di Marco Zatterin e di Mario e Francesco Margiocco, di  Piero Vigorelli . Figlio di un gigante della letteratura italiana (Giancarlo Vigorelli, naturalmente).

Ma veniamo al tuo ultimo successo letterario: “La figlia del Papa”, una Lucrezia Borgia, neppure poi così inedita, credimi. Anche se, comunque, degnissima di un premio Nobel per la letteratura.

Lucrezia era la biricchina che tutti conoscevamo. Pora fijetta, direbbe Gigi Proietti. Co’ quer padre e quer fratello !

La tua prosa è sempre davvero grande.

Da giullare francescano della letteratura italiana.

Essendo anche tu “francescano” come tutti noi, non me ne vorrai se alla tua “Lucrezia”, ho preferito “Santa Chiara d’Assisi” di…Dacia Maraini !

FRANCO IVALDO

giornalista professionista pensionato.

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