Le nuove frontiere della disinformazione
Le nuove frontiere della disinformazione
Il tentativo disperato di mobilitare l’opinione pubblica
L’informazione tossica continua a correre sui quotidiani, sul cartaceo e sul binario parallelo on line, che ha il vantaggio di raggiungere i vecchi lettori che ora disertano l’edicola. Il mezzo è il messaggio, diceva McLuhan, e questo è un caso di scuola: si trasmette l’idea del resoconto immediato, di fatti non inquinati dalle opinioni. Chi legge è convinto di accedere a una informazione neutra, oggettiva e di essere messo in condizione di farsela da sé un’opinione. Ovviamente non è così. Le più prestigiose testate non si peritano a pubblicare notizie false di sana pianta, a rovesciare la verità, come quando attribuiscono ai russi bombardamenti ucraini su scuole e ospedali nel Donbass o sulla centrale nucleare nelle mani dei russi.
Tutto senza contraddittorio, sena una voce stonata: sono i canoni applicati nella evoluzione delle vecchie tribune politiche riservate a un pubblico di nicchia ora diventati talk show destinati all’intrattenimento di massa, spettacolo da prima serata e da replicare la mattina per catturare il più grande numero di spettatori. E la convergenza di emittenti pubbliche e private rinvia ad un’unica regia impegnata in una pianificata operazione di brainwashing collettivo. Il pluralismo e la dialettica politica sono spostati su aree irrilevanti – l’identità di genere, il suicidio assistito, il fascismo, la resistenza o i centri in Albania- mentre sulle scelte strategiche di politica economica e sociale, sulla sovranità monetaria, sul rapporto con Ue, sulle sanzioni, sulle relazioni con la Russia e sulla questione ucraina si sorvola o si dà a vedere un perfetto unanimismo, sulla falsariga dei dibattiti interni alla scolastica medioevale, quando si discuteva su tutto fuorché sulle questioni essenziali che potevano incrinare la dottrina della fede e l’autorità della Chiesa. Chi sgarrava era ridotto al silenzio, ieri come oggi.
A essere più che prudenti e benevoli verso il mainstream, almeno la metà dell’opinione pubblica è refrattaria al condizionamento ed è logico inferirne che la stessa percentuale sia rappresentata in tutti i gruppi sociali. Bene, non c’è un politico, un giornalista, un uomo di scienza fra i protagonisti della spettacolarizzazione dell’attualità politica che su quei temi discriminanti sia fuori dell’alveo del regime. E se è pur vero che a mano a mano che si sale sulla scala del potere individualismo, originalità, spirito critico e anticonformismo vengono progressivamente meno è poco probabile che scompaiano del tutto. Che fine ha fatto il dissenso fra gli intellettuali, i politici, i giornalisti? Semplicemente è stato oscurato. Chi non si è allineato è stato messo da parte, scotomizzato, confinato in un angolo buio della rete e se qualcosa di scomodo gode ancora di qualche visibilità viene subito attaccato, deriso, criminalizzato.
Leggo sul Corriere un servizio sulla controinformazione, che sarebbe un veicolo della propaganda russa. Perché, secondo l’autorevole testata, l’informazione che viene da Kiev è oro colato mentre quella che viene dalla Russia è propaganda, fake news fabbricate per influenzare i cittadini europei. E bene fanno l’Ue e i singoli governi a cercare il modo di difenderli sbarrando alla controinformazione la porta della rete. Purtroppo non si può fare e allora si deve ricorrere, come si fa con i pacchetti di sigarette, al monito: questo sito fa male alla verità. Diffidate di commenti fuori dal coro che possono confondere le coscienze e di notizie che non riportino la fonte.

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Con quest’ultima raccomandazione si supera ogni limite di decenza: primo perché censurare i commenti colpisce al cuore la libertà di opinione; secondo perché le notizie dall’Ucraina, comprese quelle apparentemente trasmesse da presunti inviati sul campo, non riportano alcuna fonte per il motivo semplice che la fonte sono i servizi di disinformazione del governo ucraino. Non solo: se ci si prende la briga di andare a vedere il sito incriminato – Controinformazione. Info – si scopre che le fonti sono sempre indicate senza alcuna reticenza.
Che sia veritiera o no, la notizia riportata dal Messaggero sull’uccisione di quaranta soldati russi merita qualche riflessione. Intanto sul compiacimento. Il miserabile redattore gioisce se il missile fornito agli ucraini non ha colpito una struttura militare ma un dormitorio, gioisce e commenta: riprende l’offensiva ucraina nel Kursk, tanto per smentire Trump e soprattutto sperando in una dura risposta russa, così si può dire che Putin non vuole una tregua, tantomeno la pace. Che nel Kursk siano gli ucraini a morire come mosche è meglio non dirlo altrimenti la gente che stiamo indottrinando comincia a farsi qualche domanda.
Regno Unito e Ue sono terrorizzati dalla prospettiva di una pace imminente. D’altra parte si trovano a fare i conti con un’opinione pubblica che non è mai stata coinvolta emotivamente a favore dell’Ucraina, quell’Ucraina che le persone più istruite ricordavano come parte della Russia. Per dirla più crudamente, è rimasta del tutto indifferente alla vicenda del Donbass o della Crimea. E la campagna dei media sulla possibilità di un allargamento della guerra ha sortito l’effetto opposto a quello atteso da chi l’aveva scatenata; basti dire che l’iniziativa anglofrancese del kit di sopravvivenza ha fatto ridere o ha lasciato increduli.
La disinformazione va di pari passo con la necessità di generare il panico e rendere plausibile una risposta militare. Trova un’ottima sponda nel risparmiatore, anche piccolissimo, che ha nel suo portafoglio azioni di Leonardo. Ha tremato quando Trump ha cominciato a smontare l’immagine costruita in Europa di Putin tiranno sanguinario pronto a invaderci e ha restituito al mondo il volto vero del presidente della federazione russa, si è illuso di arricchire grazie al ReArm dell’Ue e ai piani di guerra britannici, ha pregato per il fallimento dei colloqui di pace e si rincuora quando Tajani e la Meloni ribadiscono il loro appoggio incondizionato a Kiev. Un’ottima sponda ma insufficiente per incidere sul commune sentire. Ecco allora che alla disinformazione si aggiunge l’autorità di fantocci che il mainstream ha assurto al rango di superstatisti, super economisti e bocche della verità.
Quel Draghi che parlando al prestigioso Mit nel giugno di due anni fa sosteneva che non si doveva consentire che la Russia vincesse la sua guerra pena la fine dell’Europa, che non ci doveva essere alcun compromesso e che l’unica possibile soluzione era l’eliminazione di Putin e un cambio di regime ora torna alla carica ringalluzzito dalla corsa agli armamenti annunciata dalla signora che ha fatto perdere all’Unione Europea ogni residua credibilità. Non bisogna lasciare sola la Germania a produrre carri armati al posto delle automobili, ma non perché è un pericolo potenziale: perché sarebbe una prova di viltà; venuto meno l’impegno americano è l’Ue, col Regno Unito tornato all’ovile, che si deve preparare alla guerra col nostro comune nemico, la Russia. Al bar sarebbero farneticazioni di un avvinazzato, ex cathedra Mari diventano il viatico dei governi europei, compreso il nostro. E non c’è un opinionista, un politico, un intellettuale fra quelli che hanno accesso ai media o nei salotti televisivi che sollevi un’obiezione banale: ma perché mai la Russia dovrebbe essere il nostro nemico? Che motivi avrebbe per esserlo? Il regime russo non ha niente a che fare con la vecchia Unione sovietica: ha reintrodotto il libero mercato, ha dato la stura (anche troppo) al capitale privato, ha restituito alla Chiesa ortodossa il suo ruolo di guida spirituale, ha restituito ai russi il loro passato e la loro tradizione, nella quale non c’è traccia di imperialismo espansionista. Ma, e questa è una circostanza colpevolmente trascurata, nemmeno la Russia sovietica aveva mire espansionistiche: il pericolo per l’Europa del primo Novecento non era la Russia dei soviet ma il comunismo che a quella Russia si ispirava; noi, dicevano i rossi, vogliamo fare come la Russia ed erano spiazzati dai buoni rapporti che Mosca intratteneva col regime fascista. E, a questo proposito, sulla fine del Duce si staglia l’ombra degli inglesi, non dei russi così come le armi dei partigiani erano inglesi e americane, non russe. .Ricordo agli smemorati – o agli sprovveduti – che nel corso della guerra civile in Grecia Stalin non fece una piega quando i comunisti furono sconfitti; e lo stesso Stalin si guardò bene dall’incoraggiare i compagni nostrani che dopo il crollo dell’ultimo baluardo dell’Italia fascista si rifiutavano di deporre le armi e si illudevano di essere a un passo dalla Repubblica popolare, pronti a fare su larga scala quello che in miniatura avevano fatto a Porzüs con la brigata Osoppo. Lo stesso patto di Varsavia aveva natura difensiva, non offensiva.
Ma le facce di pietra degli editorialisti, degli ospiti dei talk show, dei poco onorevoli onorevoli di tutti i colori sono indifferenti rispetto alla realtà. Ne hanno costruito una di comodo, ci si sono installati e non si muovono di lì. La Russia è un’autocrazia, la Russia ha occupato territori di un Paese sovrano, la Russia è una minaccia per il mondo libero. Le stragi nel Donbass, l’abolizione per legge della lingua russa, il modo grottesco con cui la Crimea è diventata ucraina non interessano come non interessa la presenza in Ucraina non tanto di una diffusa ideologia neonazista ma di formazioni paramilitari naziste che ne condizionamo il governo, come non interessa la violazione degli accordi di Minsk. I russi accolti come liberatori diventano feroci occupanti, nessuna valutazione critica e imparziale su cosa è veramente successo a Bucha, silenzio sugli attentati terroristici e sugli omicidi mirati perpetrati dagli ucraini nel Donbass e nel territorio della federazione russa, silenzio sulla sorte degli oppositori al regime di Kiev, silenzio sui blogger e sui giornalisti scomodi, non solo russi e ucraini, immolati sull’altare della libera informazione e soprattutto silenzio su quello che hanno fatto le milizie ucraine nella regione russa del Kursk. Quel che era trapelato, la distruzione di una chiesa ortodossa, l’assassinio di civili e gli stupri di massa sono diventati parte del repertorio della propaganda russa, vietato parlarne.
La pace è vicina ma per i media europei, e in particolare italiani, è sempre più lontana e pregano perché il comico ucraino riesca a far saltare i nervi a Putin per inverare le loro speranze. La nostra presidente per caso insiste con la tattica di sviare l’attenzione e copre la ritrovata intesa con Macron sul terreno della continuazione a oltranza della guerra in nome di una pace “giusta e duratura” ribadendo l’indisponibilità dell’Italia a mandare truppe sul campo, sapendo bene che si tratta di un’ipotesi non solo remota ma irrealizzabile senza il nulla osta americano. E non a caso sui negoziati russo-americani non ha fiatato. Si vanta di guidare il governo più stabile e longevo d’Europa trascurando il dettaglio che il Paese è nelle mani di una politica che, a destra come a sinistra, ha tradito gli elettori e non ha più nemmeno la parvenza di una democrazia. Un governo puntellato dalle opposizioni e dalle faide interne alla Lega che impediscono a Salvini di farlo cadere e rimane in piedi a patto di non muoversi.
P.s.
Un caro amico, con ottimi argomenti, mi rimprovera di aver rivalutato Sarkozy. Ma ben venga chiunque si oppone alla deriva guerrafondaia, anche se, come Conte, lo fa in modo strumentale. Il pazzo criminale che, come Starmer, Macron o la Kallas, accende un fuoco vicino a una polveriera va fermato a tutti i costi e con tutti i mezzi. La seconda guerra mondiale è anche l’ultima, punto.
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