Le lapidi della discordia

LE LAPIDI DELLA DISCORDIA

LE LAPIDI DELLA DISCORDIA

 L’atto vandalico per mano di ignoti che ha distrutto la lapide a ricordo dei sette martiri partigiani fucilati nel cortile della fortezza della Madonna degli Angeli non giustifica in alcun modo, sia ben chiaro, l’atto vandalico, anch’esso per mano di ignoti, che ha distrutto la lapide funeraria commemorativa dei militari italiani caduti nella seconda guerra mondiale, tra i quali venivano menzionate anche le camicie nere, scoperta con  cerimonia ufficiale sabato 6 ottobre nel cimitero di Zinola.


Lapide nel cimitero di Zinola

Cerimonia quanto mai improvvida, se dopo tre giorni è stato necessario ricoprire la suddetta lapide in seguito alle proteste dei savonesi antifascisti, e che stava per essere ufficialmente rimossa, dato che la sindaca Ilaria Caprioglio ha pubblicamente dichiarato di essere stata tratta in inganno dai promotori dell’iniziativa, appartenenti all’associazione Caduti Senza Croce, e che mai e poi mai avrebbe avallato e presenziato a quella cerimonia funebre, insieme al prefetto, dott. Antonio Cananà, se avesse saputo che nell’elenco dei corpi combattenti figuravano anche le camicie nere, il corpo speciale antiguerriglia agli ordini del segretario del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini.E per questo ha chiesto pubblicamente scusa, guadagnandosi le ire e gli insulti via social  e l’accusa di tradimento da parte di chi, invece, voleva onorare anche le camicie nere morte per il Terzo Reich. Dunque la distruzione di quella lapide è stata un vero e proprio  regalo fatto ai neofascisti, che non aspettavano altro per poter accusare gli antifascisti di barbarie, senza neanche sapere di preciso chi siano stati i vandali che hanno agito nottetempo nel cimitero di Zinola.  

Lapide nel cimitero vandalizzata

Al di là di queste meschine vicende cimiteriali, sono anni ormai che in Italia si respira una brutta aria; si direbbe che qualcuno abbia nostalgia dei cosiddetti “anni di piombo” e che non perda occasione per riattizzare quel fuoco tragicamente divampato negli Anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Mi chiedo, ad esempio,  a che cosa mirino le commemorazioni e le celebrazioni dei caduti della RSI che si vanno moltiplicando nei cimiteri di guerra sparsi al di là della “linea Gotica”. Prendiamo la cerimonia svoltasi  a Valdobbiadene domenica 13 settembre u. s. per commemorare i caduti della X Mas di Junio Valerio Borghese, nel corso della quale è stata anche scoperta una lapide. “Questo fatto – scrive un lettore del Gazzettino.it  al direttore del giornale veneto online – ha scatenato alcune polemiche anche a causa della presenza alla celebrazione dell’assessore regionale veneta Elena Donazzan. Non ho nessuna nostalgia né simpatia neo-fascista, ma mi chiedo: a settant’anni di distanza i morti non dovrebbero essere tutti uguali e meritare uguale rispetto?”. Ed ecco la risposta, che condivido, del direttore Roberto Papetti: “Caro lettore, so di urtare la suscettibilità di qualcuno, ma i morti non sono tutti uguali. Certo, possono esserlo nella sfera degli affetti familiari e dei propri cari, non lo sono sul piano storico. Nel bilancio della storia italiana e della guerra civile che si è combattuta tra il 1943 e il 1945 non è indifferente che a prevalere siano stati gli uni piuttosto che gli altri. Chi parla di pacificazione declina spesso questa parola pro domo sua  sulla scia del celebre adagio partenopeo “scurdammoce ‘o passato”. Ma un’autentica pacificazione, e questo vale per la Resistenza come per gli anni di piombo, si deve fondare necessariamente sul riconoscimento che la ‘ragione’ storica stava da una parte e non dall’altra…”. Inoltre, il lettore per cui i morti dovrebbero essere tutti uguali anche sul piano storico, non avrà nessuna nostalgia neo-fascista, ma forse ignora certe imprese della X Flottiglia Mas, che vale la pena di ricordargli.


Cerimonia a Valdobbiadene

In un “Appunto per il Duce” il prefetto di Milano, Mario Bassi, scriveva: “Continuano con costante preoccupazione la azioni illegali commesse dagli appartenenti alla X Mas. Furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico, rappresentano quasi la caratteristica speciale di questi militari. Anche il 12 dicembre 1944, tra l’altro, verso le ore 20, quattro di essi si sono presentati in un magazzino di stoffe: dopo aver immobilizzato il custode ne hanno asportato quattro colli per un ingente valore… La cittadinanza, oltre ad essere allarmata per queste continue vessazioni, si domanda come costoro, che dovrebbero essere sottoposti a una rigida disciplina militare, possano agire impunemente… Sarebbe consigliabile pertanto che tutto il reparto, comando compreso, sia fatto allontanare da Milano”. In seguito a questi fatti, lo stesso comandante Junio Valerio Borghese dovette subire trenta giorni di “arresto in fortezza” per non aver saputo tenere la disciplina tra i suoi reparti (Fonte: sito web dell’ ANPI di Lissone).


Alessandro Pavolini

Quanto alle imprese delle Camicie Nere di Pavolini, basti ricordare l’eccidio di Ferrara, avvenuto nella notte del 15 novembre del 43, di cui ha scritto Giorgio Bassani e dal cui racconto è stato tratto il film di Florestano Vancini La lunga notte del 43 del 1960. Questo a proposito dell’uguaglianza dei morti riguardo alla storia: tutti i morti, in quanto tali, sono umanamente degni di rispetto e di pietà, certo, ma non sono uguali le cause per cui sono morti. Rimangono  da capire le motivazioni profonde che spingono rappresentanti delle istituzioni democratiche a presenziare ai riti funebri e alle commemorazioni dei caduti della RSI. Sono evidenti le motivazioni politiche: lisciare il pelo all’estrema destra e a formazioni antisistema come Lealtà e Azione, Casa Pound e Forza Nuova; ma perché esporsi in prima persona in occasione di queste celebrazioni “nostalgiche” e poi indignarsi per le prevedibili reazioni degli italiani che credono nella lettera e nello spirito della nostra Costituzione repubblicana e democratica?

Un caso limite è quello della su ricordata assessora all’istruzione, alla formazione, al lavoro e pari opportunità della Regione Veneto Elena Donazzan, la quale non fa mai mancare la sua presenza alla commemorazione dei caduti della X Flottiglia Mas e ai raduni dei reduci di Salò e ai loro eredi, in base al principio che ognuno ha combattuto ed è morto per il proprio ideale, giusto o sbagliato che fosse. Sì, ma può farlo solo a titolo personale, non certo in rappresentanza della comunità regionale veneta, tantomeno di quella nazionale. Su questo punto non risulta che l’ “italianissima” (così si definisce) assessora all’istruzione “studentessa in Giurisprudenza” Elena Donazzan, salvo smentita, abbia mai fatto chiarezza. 

 FULVIO SGUERSO

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