Le conseguenze delle modificazioni climatiche

IL VOLTO DELLA MEMORIA (Cento- undicesima parte)
LE CONSEGUENZE DELLE
MODIFICAZIONI CLIMATICHE

IL VOLTO DELLA MEMORIA 
 (Cento-undicesima parte)
 

 In questi primi giorni di giugno, molti nostri amici lettori, sono rimasti impressionati e, addirittura, vivamente preoccupati per la comparsa, sui quotidiani nazionali e locali, delle seguenti notizie relative ai cambiamenti climatici: 

 PRIMAVERA SOFFOCANTE
 TEMPERATURA SEMPRE PIÙ ALTE
 ALLARME CNR: MANCA L’ACQUA IN EMILIA, VENETO E SARDEGNA
 (La Stampa 9 giugno 2017)
 
 ORTAGGI E FRUTTA A RISCHIO
 I RACCONTI TEMONO LA SICCITÀ
 (La Stampa 9 giugno 2017)
 
 MEDITERRANEO TROPICALE
 INVASIONE DI SPECIE ALIENE
 (La Stampa 9 giugno 2017)

Ma le preoccupazioni dei nostri lettori vanno ben oltre queste semplici ed elementari notizie; molti, infatti, hanno, molto opportunamente, osservato che mentre il mondo della scienza è unanime nel ritenere che il riscaldamento globale è colpa dell’attività umana, il mondo politico, a livello internazionale e locale, è, al contrario, profondamente diviso sull’interpretazione delle cause del fenomeno e, quindi, sui rimedi da adottare per sfuggire da questa potenziale catastrofe.

Ci siamo, quindi, rivolti ad ALDO, il quale, da lungo tempo, si interessa di questa complessa materia. Egli ci ha consegnato quest’ articolo, risalente addirittura al 4 gennaio 1996 così intitolato:

LE CONSEGUENZE DELLE MODIFICAZIONI CLIMATICHE

Nel periodo intercorrente tra l’11 ed il 15 Dicembre dello scorso anno, si è svolta, a Roma, l’undicesima sessione dell’IPCC (intergovernmental panel on Climate Change); è bene precisare che l’IPCC è un organismo tecnico-scientifico (e non politico) e che il suo compito è quello di studiare i problemi che si prospettano per l’umanità nel settore dei cambiamenti climatici planetari e di prospettare ai Governi dei diversi Stati le possibili soluzioni per arginare le conseguenze negative che potrebbero derivare all’intera popolazione mondiale, a causa delle modificazioni climatiche del nostro Pianeta.

Si è trattato di un avvenimento scientifico estremamente importante, non solo per l’alto numero di Stati partecipanti (180 delegati, in rappresentanza di 120 Paesi di tutto il Mondo) e nonsoltanto per l’elevato livello della discussione, ma soprattutto per le indicazioni che, da questo incontro, sono state formulate; non dimentichiamo, a tal proposito, che il documento finale, elaborato in sede congressuale, diventerà il punto di riferimento scientifico per la politica ecologica globale delle Nazioni Unite fino al 2000: una politica che, attraverso una serie di strumenti normativi, cercherà di coordinare la spesa di diverse migliaia di miliardi di Lire, in tutti i Paesi del Mondo, al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile per l’intera umanità.

A quali conclusioni è pervenuta la sessione di lavoro?

V’è da premettere, intanto, che gli studiosi della materia sono pervenuti ad alcune certezze:

1) L’ “effetto serra” non è una favola inventata da alcuni ambientalisti arrabbiati, ma è, purtroppo, una triste realtà: la temperatura media della Terra è aumentata, in questo secolo, di 0,9 gradi; perdurando, su scala mondiale, l’attuale sistema di produzione (e di consumo) è molto probabile un aumento di altri 2,5 gradi della temperatura media del Pianeta entro il prossimo secolo;

2) L’ “effetto serra” è frutto delle attività umane; in particolare, due fattori concorrono, in misura determinante, alla sua genesi:

a) l’aumento dei gas-serra nell’atmosfera (e, tra essi, in particolare, l’anidride carbonica), causato, a sua volta, dall’uso eccessivo ed irrazionale dei combustibili fossili (carbone e petrolio);

b) la distruzione degli ecosistemi forestali (è noto che, in molti Paesi del Terzo Mondo, le foreste vengono abbattute a ritmo accelerato, sia per esportare legname pregiato, sia per ottenere combustibile a basso costo); questo secondo fattore viene ad incidere, in misura significativa, sul rapporto ossigeno-anidride carbonica a vantaggio, purtroppo, di quest’ultima;

3) L’aumento della temperatura media planetaria ha già avuto delle conseguenze concrete; in particolare è responsabile del parziale scioglimento dei ghiacciai e del conseguente aumento del livello dei mari, registrato nella seconda metà di quest’ultimo secolo e valutabile tra i 10 ed i 25 centimetri;

4) Per di più l’aumento della temperatura è responsabile (almeno in parte) delle alterazioni registrate sulle condizioni meteorologiche; la frequenza e l’intensità di tempeste o, all’estremo opposto, l’alta incidenza di fenomeni di siccità anomala sono certamente legate alla mutazione di questo fattore fisico, decisivo per la vita del Pianeta.


Ancora più drammatiche e tragiche risultano le prospettive per l’avvenire: non voglio insistere sulle previsioni catastrofiche, riportate, peraltro, dai più accreditati organi di informazione; mi è sufficiente ricordare che si è parlato di innalzamento del livello dei mari (con conseguente erosione o scomparsa di alcune coste), di evaporazione dei laghi e dei fiumi (con secondaria diminuzione della disponibilità di acque potabili), di assottigliamento di nevai e ghiacciai, di possibili desertificazioni di aree del Pianeta, di aumento di malattie legate al calore ed all’inquinamento atmosferico; mi basta citare, a tal proposito, le testuali  dichiarazioni del keniota Richard Odingo (vice presidente del gruppo di lavoro III dell’IPCC): “l’ambiente è sempre più compromesso nei Paesi in via di sviluppo; la salute umana è già molto problematica e lo sarà ancora di più in futuro; i Paesi industrializzati dovranno attendersi, nei prossimi anni, almeno 20 milioni di profughi ambientali”.

Non è certo mia intenzione fare del terrorismo ecologico; per questa ragione mi rifiuto di sposare fino in fondo queste previsioni catastrofiche.

Tuttavia credo sia irresponsabile ed irrazionale chiudere gli occhi di fronte al sapere di tanti scienziati e di fronte all’ evidenza dei fatti già ora accertati; ci rimangono pochi anni (20 – 30 forse) per cambiare strada; ma dobbiamo essere consapevoli che cambiare strada significa interrogarci seriamente sul nostro do di produrre e di consumare e sui concetti stessi di sviluppo, di progresso, di civiltà; dobbiamo, soprattutto, convincerci che gli avvenimenti futuri non verranno ad incidere soltanto sulla vita del nostro Pianeta, ma verranno ad interessare profondamente l’economia ed i rapporti politici tra gli Stati ed, addirittura i rapporti sociali all’interno delle singole Nazioni.

Vogliamo verificare, ad esempio, che cosa verrà chiesto al nostro paese in sede ONU? In estrema sintesi, l’Italia dovrà, nel prossimo futuro:

– Ridurre di 118 milioni di tonnellate/anno le emissioni di anidride carbonica, il che significa abbattere del 26% i consumi di combustibili fossili;

– Ridurre del 25% i consumi di acqua, di 10 volte il consumo di cemento e di alluminio, di 6 volte il consumo di ghisa;

– Aumentare del 190% l’uso delle fonti energetiche rinnovabili;

– Aumentare fino al 10% la superficie delle aree boschive protette

Non voglio apparire irriverente, ma vedo, tranne poche e lodevoli eccezioni, scarsa sensibilità e pochissima preparazione, a livello politico, per affrontare questi temi, né mi pare che le relazioni tra imprenditori e sindacati siano improntate ad una sufficiente responsabilità per esaminare seriamente tali problematiche; eppure la ricerca di uno sviluppo sostenibile ( e cioè di uno sviluppo in grado di soddisfare, contemporaneamente, le necessità dell’attuale e delle future generazioni, senza ledere l’equilibrio ecologico della natura) appare non più procrastinabile.

Un’ultima considerazione va fatta sul contributo che la nostra Città ed il suo hinterland potrebbero dare (almeno sul piano degli intenti) per invertire la tendenza attuale e per contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali sopracitati; nell’arco dei cinque anni che stanno di fronte a noi, Savona ed il Suo Comprensorio dovrebbero almeno proporsi i seguenti obiettivi:

1) Perseguire l’indicazione prevista dal Piano Energetico Nazionale in tema di gas naturale, pervenendo, di conseguenza, alla metanizzazione della Centrale termo-elettrica di Vado Ligure;

2) Dire di NO alla realizzazione dell’impianto Westmoreland in Val Bormida;

3) Costruire (finalmente!) in questa nostra Regione, così ricca di risorse naturali quali il sole ed il vento, qualche centrale eolica o fotovoltaica, utilizzando, a tal fine, i previsti finanziamenti comunitari;

4) Produrre energia elettrica, attraverso la combustione delle biomasse ricavate dai rifiuti solidi urbani;

5) Sul piano edilizio ed urbanistico, riqualificare l’esistente (piuttosto che continuare a costruire);

6) Nell’ambito di una radicale ristrutturazione del depuratore consortile, prevedere il riciclaggio delle acque reflue depurate e programmare la doppia rete idrica (una per i consumi alimentari, l’altra per gli usi domestici e produttivi).

– Ma non mi illudo: tutto questo rimarrà un sogno o un’utopia; la realtà quotidiana ci dice che stiamo marciando in senso diametralmente opposto.

Savona, 4 gennaio 1996

 

 

COMMENTO FINALE

Si è svolto, in questi giorni, a Bologna il G7 dell’Ambiente

I giovani hanno rivolto un appello ai Ministri dell’Ambiente dei governi del G7 per ottenere politiche reali, sia sul fronte della protezione dell’ambiente che su quello dell’educazione.

Il documento (letto da due ragazzi all’apertura del G7) chiede di investire in formazione e ricerca e di contribuire, attraverso la condivisione del sapere e delle esperienze, alla costruzione di un futuro di benessere, di un mondo migliore, più equo e sostenibile.

Ma questa sacrosanta richiesta rischia di diventare un’illusione, perché il G7 dell’ambiente è diventato un flop; infatti il rappresentante degli Stati Uniti ha lasciato in anticipo il vertice (vedi La Stampa pagina 12 del 12 giugno.

In questo particolare momento storico, a noi rimane soltanto la nostalgia di una natura perduta ed ora ridotta in catene.

 (Dichiarazioni di Luca D’Andrea riportato dal quotidiano La Stampa in data 12 giugno 2017).

ALDO PASTORE

 

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