La trionfale stagione calcistica giovanile…

UN RACCONTO di MASSIMO BIANCO: “IL CALCIATORE MIGLIORE E’ QUELLO ORFANO”

 L’articoletto

LA TRIONFALE STAGIONE CALCISTICA GIOVANILE DELLE SQUADRE SAVONESI

 

Mi ero ripromesso di non scrivere più nulla sul calcio dei ragazzi, però questa stagione calcistica giovanile savonese è stata talmente trionfale che ho proprio dovuto cambiare idea. 

Beh, quasi trionfale: in effetti le squadre giovanili della nostra provincia avrebbero potuto conseguire un clamoroso en plein: quattro titoli regionali su quattro. Purtroppo non è accaduto, ma perlomeno si sono dimostrate ai vertici regionali e non solo, visto come si sta ben comportando la leva 2002 del Savona nelle finali nazionali ancora in corso. Quindi una breve disamina se la meritano. 

Che poi tutto ciò permetta a qualcuno di approdare in futuro al calcio professionistico è tutto un altro paio di maniche, forse in Italia non esistono nemmeno più le condizioni, come spiegai l’anno scorso nell’articolo di riepilogo sulla stagione precedente. Non si sa mai, ovviamente, è tuttavia probabile che, delle otto squadre locali citate, un giorno arriveranno a giocare in eccellenza cinque o sei ragazzi in tutto e un altro magari perfino nel nazionale dilettanti (al massimo nell’ex serie C, ma l’è dura), mentre i restanti o proseguiranno solo nelle categorie inferiori o, per la maggioranza, smetteranno proprio, compreso qualcuno che di strada ne avrebbe potuta fare parecchia. In Liguria quest’anno parrebbe però che le possibilità maggiori siano proprio per i savonesi. A ogni modo ecco a voi un succinto riepilogo delle finali regionali della stagione calcistica giovanile 2018 – 2019.

Al Savona, già campione regionale in carica leva 2002 e vincitore anche della regular season corrente, è andato il titolo regionale per la categoria principe del calcio giovanile, quella degli allievi A o under 17 che dir si voglia, al termine di un’accesa partita disputata, nomen omen (dove altro ospitare una finale ligure?), a Finale Ligure, nel corso della quale ha sconfitto per il secondo anno consecutivo il Sanremo, stavolta col sofferto risultato di 1 a 0, bel gol di Basso sotto porta su perfetto assist di D’Amoia, due nomi da tenere a mente. 

 

 Il Savona 2002 festeggia il successo.

Addirittura, quello stesso giorno, sul medesimo campo, si è verificato una finale del tutto inedita: la prima storica sfida tra Savona e Vado (e a circa vent’anni di distanza dall’unico precedente tra formazioni savonesi, all’epoca Savona e Loanesi), due club abituati a vincere a livello giovanile. Ebbene, al termine di una partita tanto sentita quanto combattuta, è stato il Vado leva 2004 a conquistare il titolo regionale a spese dei coetanei del Savona, capitanati dal tosto centrocampista Damonte, che pagavano però la grave assenza dell’altro forte centrocampista, peraltro genovese, Salciccia. Un gruppo, questo biancoblu, che rispetto allo scorso anno è molto cresciuto qualitativamente ed è stato sconfitto con onore. 

  

Il Savona 2004 secondo classificato

A riprova dell’equilibrio in campo il risultato finale è stato anche in questo caso uno striminzito 1 a 0, conseguito dal Vado, forse più squadra, grazie alla sua maggior prestanza fisica e ad alcuni giocatori in grado di fare la differenza. Citiamo qui gente come il quotato capocannoniere Gibertini, invero un po’ in ombra il giorno della finalissima e tuttavia iniziatore dell’azione decisiva, oppure RosselloAccatiniLeotta, autori invece di un’ottima prestazione, senza dimenticare naturalmente chi la partita l’ha effettivamente risolta, con bravura ma in maniera invero un po’ fortuita (e contestata dal pubblico rivale perché sarebbe stata viziata da un fallo), e cioè l’altro bomber Moro.

 

l capitano Moscino del Vado 2004 solleva la coppa.

Il Vado 2004 festeggia il successo.

È inoltre andato bene anche il Savona leva 2003 che, dopo essere giunto primo nel proprio girone regionale, ha pure vinto tutte e tre le partite del gironcino di finale a quattro, qualificandosi così trionfalmente, e per il secondo anno consecutivo, per la finalissima in campo neutro, da disputare quest’anno a Genova Multedo. Un caso? Certo che no! Il team è forte ed è allenato da due anni dal mister Penna, bravo nel fornire alle proprie squadre la giusta mentalità e a portarle sempre alle fasi finali. Purtroppo però entrambe le volte l’atto conclusivo è andato male, con i biancoblu sconfitti lo scorso anno ai rigori dall’outsider Football Genova Calcio e quest’anno per 2 a 0 dall’altra grande favorita del torneo, il Ligorna, con un po’ di sfortuna, è vero (un palo e una traversa colte dai savonesi), ma pure senza aver saputo sfruttare una superiorità numerica durata più di mezza partita. Un vero peccato, perché questa squadra è ricca di talenti, dai solidissimi difensori centraliRossi(assente nelle finali per infortunio e ciò può aver contribuito alla sconfitta) e Napoli, al jolly Agate e al centrocampista Kacellari, in forza entrambi nella rappresentativa regionale, fino al possente bomber Mehmetaj e alla mobilissima ed efficace seconda punta Costa, forse il più promettente della squadra e giunto, così come Kacellari, la scorsa estate in rinforzo dal Vado. Ma ci riproveranno l’anno prossimo. 

Ben quattro finaliste savonesi su sei nelle tre categorie superiori, dunque! Da notare inoltre come in quest’ultimo campionato, l’allievi under 16, si era qualificata per le finali a otto squadre, come quarta classificata del girone A, anche un’altra formazione savonese, il Ceriale. 

Peccato solo che alla festa non siano riusciti a unirsi anche i ragazzi più piccoli, i leva 2005, che pure presentavano almeno due formazioni molto competitive, meritatamente qualificatesi per la fase finale da protagoniste, il solito Savona (club capace quest’anno di portare alle finali tutte e quattro le proprie formazioni) e soprattutto un fortissimo Legino, unica formazione di tutte e quattro i campionati regionali giovanili leve 2002, 2003, 2004, 2005 (l’unica quindi su ben 99 squadre qualificatesi per le varie fasi regionali!) a concludere la regular season imbattuta. 

In effetti il Savona alla finalissima ci è arrivato vicino, mentre il più quotato Legino, nel proprio gironcino finale a quattro, ha fatto inaspettatamente flop, conquistando appena uno dei nove punti in palio, un pareggio contro la spezzina Arci Pianazze, avvantaggiata dall’aver giocato in casa in uno degli ormai rarissimi campi in terra battuta a cui tutti gli avversari, leginesi compresi, faticano ad adattarsi. Decisivo per l’eliminazione dei verdeblu è stato però il pessimo primo tempo disputato contro un non irresistibile Bogliasco. Emozione? Comunque un peccato. Contro il Molassana è giunta infine una secca sconfitta per 0 a 3, ma ormai mancavano gli stimoli. Eppure il Legino era sicuramente la formazione più forte della categoria, come gli stessi dirigenti del Molassana (squadra che in campionato dal Legino aveva incassato ben dieci reti), ha riconosciuto: “in finale dovevano andarci direttamente Legino e Athletic Club, se lo meritavano” hanno detto. Invece non ‘è arrivata nessuna delle due, così è il calcio. Nel Legino 2005 quest’anno si sono distinti molti ragazzi, dai brillantissimi gemelli identici Carastro, Luigi, che i gol è bravo a farli segnare con in più un buon tiro dalla distanza e Leonardo, capocannoniere del campionato, che i gol li segna a grappoli, agli ottimi centrocampisti Pescio e Arboscello, insieme autentica spina dorsale della formazione, ma quasi tutti meriterebbero di essere citati: grande squadra. Per il Legino si è trattato di un’occasione forse irripetibile, perché per i ragazzi delle società più piccole non è facile sfuggire alle chimere di club locali relativamente più importanti, come sono attualmente Albissola, Savona e Vado. Si vedrà.

 

Il Legino 2005 grande protagonista della stagione

Aggiungiamo, infine, che nel frattempo l’ottimo Vado leva 2006 si è imposto con autorevolezza nel cosiddetto torneo regionale fair play riservato agli esordienti, benché in tale categoria ufficialmente le squadre non dovrebbero fare classifica e quindi per le qualificazioni non si tiene conto solo dei risultati ottenuti sul campo ma anche di altri parametri o almeno così dovrebbe essere. A ogni modo è un risultato, questo, attraverso cui il club rossoblu promette di essere presente ai vertici giovanili anche nel prossimo futuro. 

Stop.

***

Come potete constatare nello scorcio qua sotto, in occasione della finalissima tra Savona e Vado 2004 il pubblico ha assiepato numerosissimo la tribuna, come di rado accade perfino in partite di Promozione o addirittura di Eccellenza. Pubblico per l’occasione festante e corretto, sia ben chiaro, dato che tutte le finali nel complesso sono andate bene anche da questo punto di vista, benché qua e là qualche frase spiacevole pronunciata da taluni maleducati, pochissimi, per fortuna, si è sentita. Peccato che non sempre ciò accada, anzi, gli episodi di intolleranza o di violenza si fanno sempre più frequenti. Qui in Liguria, nel complesso, almeno a parere dell’autore di questo articolo, nel corso dell’ultimo quarto di secolo il comportamento disciplinare dei giovani giocatori è migliorato, in media i ragazzi sono più tranquilli rispetto al passato, semmai a essere peggiorati, se possibile, sono, ahinoi, i genitori sugli spalti, ogni anno che passa sempre più esagitati, un po’ ovunque ma in particolare tra gli appartenenti a molti club dell’imperiese, anche se il tifare in maniera corretta per fortuna resta più o meno ancora gesto prevalente. Miglioreranno pure loro?

In proposito permettetemi perciò qui, a chiusura dello scritto, anzi, molto probabilmente a chiusura definitiva di ogni mio scritto sul calcio giovanile, di stigmatizzare certi spiacevoli comportamenti proponendovi un mio raccontino di narrativa, ambientato, diciamo, non nell’anno corrente ma in un’annata indefinita e che anno dopo anno mi sembra diventare, purtroppo, sempre meno fiction e sempre più realtà.

 

Il raccontino di M.B.

IL CALCIATORE MIGLIORE E’ QUELLO ORFANO

Era una luminosa giornata primaverile, fresca e arieggiata. Il sole batteva invitante sul campo di pallone e, a venti minuti dal fischio d’inizio, il pubblico affluiva già numeroso. 

Le squadre stavano effettuando il riscaldamento. Era il primo turno delle finali regionali giovanissimi fascia B: ragazzini di tredici, quattordici anni, il fior fiore ligure della leva calcistica classe 2—. Si sfidavano la formazione savonese “La Torretta 1965 FC”, in casacca bianca con fascia gialla e grigia e la sanremese “U.S. Fraternità Ligure 1927”, in casacca a strie verdi e viola. 

La Torretta giocava in casa, a Savona, nel suo moderno campo in erba sintetica ricavato dagli ex Orti Folconi, di fronte alla stazione ferroviaria, la cui struttura, progettata dal prestigioso architetto Pier Luigi Nervi, s’intravedeva verso ovest, oltre i parcheggi. Sugli altri lati sorgevano uno sparuto giardino pubblico e vari palazzoni, tra i quali spiccavano le cosiddette Ammiraglie, cioè quattro più quattro moderni parallelepipedi svettanti. Le prime di costoro caratterizzate da cupe e lisce superfici in vetro nero, prive di sfoghi esterni e brutte, le seconde invece un poco più attraenti, con le loro facciate balconate e ricoperte di vetri a specchio.

Sulle gradinate, in cui erano esposti vari striscioni, già la gente cominciava a tifare per i propri beniamini, intonando inni e suonando trombette, mentre alcuni adolescenti facevano perfino partire fumogeni e scoppiettare mortaretti, tra i brontolii irati di chi sostava nei paraggi. Gli spettatori erano per lo più padri, madri, zii, nonni, fratelli e compagni di club o di scuola dei ragazzi. Assiepavano la tribuna per quella che doveva essere una giornata di amicizia e di festa, in puro spirito sportivo. Beh, forse l’avrete già capito: non sarebbe andata così.

Per intanto i ragazzi rientrarono negli spogliatoi in attesa dell’arbitro, ancora chiuso nel suo bugigattolo. L’allenatore della Torretta, Roberto Gallo, basso e tarchiato, un veterano del club, ne approfittò per rivolgere gli ultimi suggerimenti ai giocatori. Costoro sedettero sulle panchette, disponendosi intorno a lui, ritto in piedi al centro della stanza in attesa di arringarli.

“Mi raccomando ragazzi” – cominciò infine – “giocate concentrati ma tranquilli che non sono questi mostri. Ormai lo sapete cosa voglio da voi, quindi è inutile ripetere i soliti discorsi, rendete come sapete. La Fraternità pratica un tradizionale quattro, quattro, due…”

Siccome qualcuno bisbigliava in un angolo, dopo un poco Gallo s’interruppe e, nel subitaneo silenzio seguitone, per qualche momento le giovani ugole si distinsero nitide. Poi i chiacchieroni si resero conto che il mister aveva smesso di parlare e si zittirono a loro volta. 

“Ehi, mi state ad ascoltare, sì o no? Fate attenzione, per favore, che in campo siete voi a doverci scendere, mica io. Allora, riprendiamo. Ascolta, Piombo, la Fraternità Ligure ha soprattutto un centrocampo molto solido e in grado di far ripartire bene il gioco e appoggiare le punte, è quello il suo punto di forza. Bisogna che ti sacrifichi e lavori in copertura più del solito. Soprattutto mi devi annullare il loro numero quattro,  il motorino della squadra. Quindi non esagerare con le iniziative personali, d’accordo Alessio?”

Gallo si fermò in attesa della risposta, che giunse prontamente.

“Va bene mister.” Rispose con un bel sorriso il piccolo e riccioluto Alessio Piombo, centrocampista di ruolo ma per attitudine spesso quasi una vera e propria punta aggiunta.

“Va bene cosa? Va bene non partirò a testa bassa in attacco dimenticandomi dei miei compiti di copertura? Io lo so come sei fatto. In partita scordi tutto, ti spingi sotto rete e non passi la palla a nessuno finché non te la portano via. Mi voglio fidare di te, Alessio, ok? Guardate che questo, e lo dico a tutti, ragazzi, è un gioco di squadra e si vince e si perde insieme, non dimenticatelo.”

“No mister, non lo dimentichiamo.” Risposero cinque o sei in coro, Piombo compreso.

“Speriamo. Andrea, sulla destra invece mi raccomando a te, ok? Non dobbiamo farci schiacciare in difesa. Oggi che Alessio sta in copertura, ti toccherà spingere sulla fascia un po’ più del solito, per rifornire Longo in area, ma senza dimenticare di tornare, quando gli altri attaccano. Ti dovrai sfiatare, ma sono certo che ce la farai, hai gambe, polmoni e testa, tu.”

“Grazie mister.” Disse Andrea, di cognome Briano, arrossendo. Era un dolce e tranquillo ragazzino bruno, già alto per la sua età, ma ancora con la faccia da bambino.

Dieci minuti dopo, terminati i preparativi, i giovani virgulti andarono a stringere la mano agli avversari in segno di amicizia e, alle 11,00 in punto, la partita ebbe inizio.

In tribuna i tifosi locali si concentravano per lo più sul lato destro, verso l’uscita e, in parte minore, al centro. Il più esiguo gruppo di genitori ospiti sedeva nel settore sinistro. In ordine sparso erano presenti pure spettatori neutrali, tra cui, esattamente all’altezza della metà campo, il rappresentante di un giornale locale specializzato e un esperto osservatore del Genoa.

Mescolato al pubblico maschile di casa, lo spilungone Giancarlo Briano, papà di Andrea e guardia forestale di professione, seguiva la competizione con passione, come del resto gli accadeva ogni fine settimana da sei anni, cioè fin da quando il suo bambino aveva iniziato a giocare a calcio. La moglie faceva invece comunella con le altre mamme, una dozzina di metri più in là, stando in apprensione più per la salute del suo Andrea che per un risultato di cui in fondo nulla le importava.

Il primo tempo fu equilibrato, con tre o quattro azioni incisive per parte, culminate, verso metà frazione, con una grande parata del portiere ospite su tiro del centravanti locale Longo. I genitori incitavano i propri figli, applaudivano le giocate riuscite, s’arrabbiavano per ogni presunto errore e insultavano l’arbitro quando questi non fischiava a favore della loro squadra. 

“Forza Andrea, stai largo… ma che aspettate a servirlo… sì ok, così vai, vai… noo, ma cosa combini! Eh, oggi non ci siamo proprio.” Si lasciò andare perfino il solitamente quieto signor Briano, seguendo un’azione del figlio terminata con un cross abbondantemente sbagliato. 

Subito dopo si sforzò, contrito, di placarsi. A suo parere il calcio doveva essere prima di tutto passione e divertimento. Coltivare mal riposte ambizioni avrebbe solo portato a future frustrazioni sue e soprattutto del ragazzo. Dopo tutto, così almeno aveva sentito dire, appena un tesserato ogni diecimila arriva a giocare in serie A, B e forse perfino C. Quindi in genere si sforzava di lasciare in pace il cucciolo di famiglia, che amava solo giocare a calcio e stare insieme agli amici della sua squadra. Ogni tanto tuttavia si lasciava prendere dalla partita e si scaldava. Niente di male, in fin dei conti, a patto di non esagerare. 

Peccato però che non tutti la pensassero alla stessa maniera:

“E muoviti Alessio! Ma che cazzo fai lì fermo, vai avanti no?” – Gridò, infatti, a squarciagola, il massiccio e tanto, tanto raffinato signor Piombo, irritato dal comportamento del figliolo, da lui giudicato troppo arrendevole. –  “Cosa cazzo hai Alessio, svegliati o oggi salti il pranzo, merda.”

E non parlava a vanvera. Se non fosse rimasto convinto della partita, sarebbe stato capacissimo di lasciare il povero Alessio a digiuno. 

Quell’uomo era sempre troppo esigente col sangue del suo sangue, da cui pretendeva rendimenti da campione, del tutto dimentico della sua giovane età e vagheggiando per lui un radioso futuro. Se il fanciullo, un solido e brevilineo torello dotato effettivamente di piedi buoni, tendeva a seguire poco i dettami del mister e cercava con troppa frequenza le iniziative personali, portandosi di continuo alla conclusione, la responsabilità era in gran parte paterna. Poi, certo, con le proprie estemporanee iniziative il giocatore in erba talvolta aveva risolto qualche partita difficile, ma benché il padre rifiutasse di capirlo, i suoi eccessi di egoismo alla lunga non lo avrebbero portato da nessuna parte.

Allo scadere, i giocatori giunti dall’estremo ponente ligure condussero una ficcante azione sulla sinistra: apertura del numero 4, triangolazione volante tra il 10 e l’11, cross al centro, botta di controbalzo del 7 e il portiere locale si distese deviando in angolo. Non ci fu tempo di effettuare il corner, perché il duplice fischio arbitrale annunciò il riposo. 

Ciò accadde tra le urla di rabbia del pubblico ospite, che già da qualche tempo rumoreggiava e, giudicando scorretta le decisione, si esibì ora in un’intera sequela di creative contumelie rivolte al direttore di gara: in effetti non si vedeva sta gran differenza tra le vituperate tifoserie ultras di serie A e questi esacerbati familiari di ragazzini ancora iscritti alle scuole medie inferiori, che giocavano per divertirsi prima ancora che per conquistare un titolo e una coppa.

 

 

Tant’è che all’inizio del secondo tempo la Fraternità Ligure passò in vantaggio, con un perfetto colpo di testa dell’agile 11 su calcio di punizione battuto dal 10, tra il tripudio dei padri e delle madri al seguito. E stavolta furono i genitori della squadra locale a inveire furibondi: d’altronde per costoro gli antagonisti non erano innocenti coetanei dei figli, ma anonimi numeri di maglia, così come anonimo era l’adolescente in giacchetta nera, ecco anche perché si tendeva a considerare impunemente insultabili gli uni e soprattutto l’altro, tradizionale valvola di sfogo delle proprie frustrazioni. 

Nell’occasione, a parer loro il marcatore si era appoggiato su un avversario, perciò la rete sarebbe stata da annullare e la decisione contraria era truffaldina. Naturalmente le proteste si estesero ai calciatori, resi nervosi dalla crescente agitazione del pubblico, costringendo l’arbitro a placare gli animi con l’uso del cartellino giallo. Dopodiché la la partita poté riprendere.

Il vero parapiglia si scatenò un quarto d’ora dopo, al verificarsi di un battibecco sul terreno di gioco tra Alessio Piombo e il diretto avversario, con qualche spinta di troppo e, secondo qualcuno in tribuna, dotato evidentemente di vista di falco, perfino uno sputo. L’arbitro intervenne ammonendo entrambi e suscitando la collera del mister sanremese, che chiedeva, imprecando a tutto spiano, l’espulsione di Piombo. Il direttore di gara fu così costretto ad allontanare l’allenatore e tra i verde-viola in tribuna esplose la rabbia. Improperi all’arbitro, urla, strepiti e un “bastardo” rivolto ad Alessio da un’acuta voce femminile. Da sempre le peggiori aizzatrici delle folle erano talune madri, grandi specialiste nel lanciare il sasso e nascondere la mano, lasciando ai mariti il compito di scannarsi in loro vece. E come volevasi dimostrare, l’insulto scatenò le ire del padre oltraggiato, pronto a rispondere per le rime. 

“Ehi, come cazzo ti permetti d’insultare mio figlio, troia.” Urlò, infatti, paonazzo in volto, il dottor Marco Piombo, nella vita serioso avvocato civilista ma sui campi in cui sgambettava il primogenito teppista da stadio della peggior specie. 

Il coniuge della colpevole, anziché invitare la moglie a fare silenzio, se la prese a sua volta con l’avversario e… insomma, fu un giorno di ordinaria follia calcistica. Mezzo minuto dopo i due genitori erano già giunti alle mani, con grida, pugni e calci così rabbiosi da spingere i calciatori a interrompere per qualche momento il gioco. Per fortuna l’arbitro, un promettente minorenne, e Roberto Gallo si diedero da fare con caparbietà e pazienza affinché i ragazzi riprendessero subito la partita e non combinassero a loro volta dei casini. 

Intanto altri componenti di ambo i fronti si buttavano nella mischia, per lo più nel tentativo di calmare gli animi e separare i contendenti, ma in due casi, si trattava di un padre sanremese e di Longo senior, con l’intenzione di gettare benzina sul fuoco. 

Giancarlo Briano seguiva la scena, a un tempo costernato e risentito, quando udì un duro commento pronunciato dalla solita voce di soprano:

“Ecco come voi savonesi insegnate l’educazione ai vostri figli, razza di cafoni.”  

Senti da che pulpito viene la predica, si seccò Giancarlo. L’uomo, che fino a quel momento aveva evitato d’intervenire per non peggiorare la situazione, si sentì talmente infastidito dall’accusa da accennare, forse per la prima volta nella sua vita adulta, a una reazione violenta. Si alzò, infatti, di scatto e avanzò a pugni chiusi. Tuttavia si bloccò subito, mortificato. Per un unico, circoscritto istante aveva perso il lume della ragione. Irrazionalmente estraniatosi dal proprio naturale modo di essere, avrebbe voluto introdursi nella rissa e vendicare l’insulto rivolto a tutti indiscriminatamente e dunque pure a lui. In quel singolo, sciagurato istante gli istinti primordiali avevano preso il sopravvento. Si risedette e si portò le mani al volto, affranto. 

Tutto questo soltanto per una stupida partita di calcio tra ragazzini, pensò, pieno di vergogna. Infine rivolse di nuovo lo sguardo sul rettangolo verde dove, oramai del tutto inosservati, i giovani calciatori erano finalmente tornati a concentrarsi sulla partita. 

Proprio in quel frattempo il suo Andrea stava scendendo rapido lungo la fascia destra in una delle sue classiche proiezioni. Superò in scioltezza il laterale avversario, giunse sul fondo e crossò preciso verso il secondo palo. Il centravanti Longo irruppe e con un secco tiro al volo indirizzò imparabilmente in rete sotto l’incrocio: 1 a 1. 

I ragazzini gridarono felici correndo ad abbracciarsi e un attimo dopo, come per incanto, l’agitazione in tribuna cessò e anche i familiari della Torretta presero a festeggiare, tra il silenzio avvilito del settore avversario. La componente positiva del calcio era tornata a prevalere. Intanto a distanza si udivano le sirene. Arrivavano polizia e carabinieri, messi sull’avviso rispettivamente da un nonno ospite e da un dirigente della società di casa, quando ormai, forse, la loro presenza non era più necessaria. L’ordine, almeno per il momento, era stato ristabilito. 

Il papà di Andrea si rialzò in piedi col groppo in gola e applaudì con energia i ragazzi. Poi iniziò a dirigersi mesto verso l’uscita. Aveva appena preso una decisione: non sarebbe mai più andato a veder giocare il figlio.

“Ma che fai, vai via ora? Mancano almeno dieci minuti più il recupero, facciamo ancora in tempo a batterli, quegli stronzetti.” S’intromise allora il signor Longo.

“Il calciatore migliore è quello orfano.” Rispose con amarezza Giancarlo, senza fermarsi.

 

Fine.Massimo Bianco (autore anche di tutte le foto, eccetto quella del Legino).

 

E se v’interessa leggere altri suoi racconti ne trovate qui:

http://www.paroleintornoalfalo.it/opereutenti.php?users_id=368

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.