La porta della Costituzione

La porta della Costituzione
La più affascinante delle ipotesi sull’origine del nome di Genova vuole che esso derivi dalla parola latina “Ianua” cioè “porta”. Forse proprio così appariva Genova agli occhi dei Romani antichi: una porta raggiunta dal mare e aperta verso la Gallia Cisalpina.

La porta della Costituzione

 La più affascinante delle ipotesi sull’origine del nome di Genova vuole che esso derivi dalla parola latina “Ianua” cioè “porta”. Forse proprio così appariva Genova agli occhi dei Romani antichi: una porta raggiunta dal mare e aperta verso la Gallia Cisalpina.

 

Napoleone entrò in Italia per questa stessa porta, recando con sé idee politiche che avrebbero generato grandi cambiamenti nella società italiana.

Il 2 dicembre 1797 la costituzione della Repubblica Democratica Ligure fu sanzionata dai comizi popolari con centomila voti favorevoli e diciassettemila contrari, il 6 dicembre 1799 fu abrogata. L’8 dicembre 1799 nasceva a Genova la persona a cui è dedicato questo breve scritto: Ludovico Casanova. Nel 1799 finì il triennio giacobino in Italia ed ebbe termine un ciclo di produzione costituzionale che si era aperto nel 1787 con la Costituzione degli Stati Uniti d’America.

Ludovico Casanova trascorse tutta la sua esistenza a Genova, dove si spense nel 1853 al termine di una vita interamente dedicata allo studio del diritto, di quello pubblico in particolare. In quegli anni  gli eventi rivoluzionari, le reazioni controrivoluzionarie, il dibattito, le teorizzazioni, la lotta politica, le cospirazioni e le sollevazioni di popolo avevano scatenato passioni intense e suscitato profonde riflessioni, come quelle che costituiscono gli scritti del nostro Autore.

Al ciclo costituzionale settecentesco seguì dal 1799 al 1815 il ciclo delle costituzioni napoleoniche, quindi dal 1815 al 1830 quello delle Carte della Restaurazione. Dal 1830 al 1848 si elaborarono le costituzioni liberali; infine nel lungo periodo compreso tra il 1848 ed il 1915 fiorì il costituzionalismo democratico. La Francia di allora era una delle maggiori potenze culturali, nazione guida non solo del pensiero giuridico-politico, ma anche dello sviluppo scientifico e tecnologico. Era un “gigante” della filosofia, Paese in cui veniva esaltato il «progresso», inteso in modo del tutto ottimistico e perfino con trionfalismo. La parola usata allora per esprimere tale movimento di crescita, che ai contemporanei appariva grandioso e portentoso, fu «civilisation» in francese, tradotta dai contemporanei italiani con «incivilimento».

 


Alla metà del secolo XIX Ludovico Casanova scrisse: Nelle presenti condizioni della Europa incivilita, non è più possibile l’assolutismo come governo normale; e di chi crede altrimenti può ben dirsi ha occhi e non vede, orecchi e non ode. Dopo la fine del secolo scorso il fiume delle cognizioni corre più profondo e più rapido, i confini della attività umana si sono immensamente dilatati. Un anno basta ora ad operare nella società, e nelle scienze, più assai cambiamenti che prima non si vedessero in mezzo secolo. Oggigiorno l’attività umana trova per isvilupparsi una folla di occasioni, che in addietro non presentavansi. L’uomo combinando le sue forze con quelle della natura, spiega una potenza di cui nessuno si sarebbe formato il concetto. Certo le sue forze sono rimaste sempre le stesse, ma il numero di coloro che concorrono all’opera generale va indefinitivamente crescendo. La rapida creazione di nuove idee, e di nuove ricchezze si accorda colla tendenza che mostrano gli uomini ad uscire dal proprio stato. I beni che furono acquistati si stimano insufficienti; si fanno continui sforzi per andare avanti, e questi sforzi non sono individuali, ed isolati, ma generali e comuni. Una nuova verità brilla ai più eminenti intelletti? Non si arresta più in essi; né si richiede più il corso di secoli perché diventi il patrimonio di tutti: ma fa come il sole che nascendo illumina coi primi raggi le vette dei monti, e nel giro di poche ore splende visibile ad ogni sguardo. Si manifesta un nuovo bisogno, nasce un progetto di miglioramento? Migliaia d’uomini vi si affaticano intorno, né prendon requie finché il problema non sia risoluto. La circolazione dei prodotti industriali, come quella delle idee, si opera con velocità incredibile, ed ha ricevuta una incalcolabile estensione. Il vapore e la stampa ravvicinarono tutte le parti del mondo fisico ed intellettuale…

 

La Genova in cui nacque Casanova era una città uscita da pochi anni da un’immobilità secolare. A partire dalla seconda metà del secolo XVIII aveva preso avvio una lenta e difficoltosa maturazione morale per iniziativa di alcuni pensatori illuminati di estrazione borghese. Questi avevano dato vita ad un dibattito riformatore: chiedevano al patriziato cittadino un radicale cambiamento d’indirizzo, reclamavano capitali per l’agricoltura, per l’industria e per i commerci. La città aveva bisogno di investimenti capaci di rigenerare le energie produttive, ma i mezzi monetari erano nelle mani di antiche famiglie aristocratiche che gestivano attività finanziarie internazionali (sterili per la crescita economica cittadina) e miravano al mantenimento dello status quo.

A cavallo tra i due secoli il periodo napoleonico era stato idealmente fertile ma materialmente disastroso. Erano stati condotti molti studi statistici, misurazioni e progetti, ma le guerre continue assorbivano senza sosta risorse umane e monetarie. L’economia ligure poté ripartire negli anni della Restaurazione, dopo l’annessione al Piemonte sabaudo, per avere un’accelerazione straordinaria negli anni Quaranta del secolo XIX. La città aveva già intrapreso l’espansione oltre il perimetro delle vecchie mura, specialmente in direzione levante: la ferrovia era in arrivo (il collegamento con Torino fu inaugurato nel 1854), si costruivano i nuovi assi viari ideati dall’architetto Carlo Barabino come il teatro dell’opera – il Carlo Felice – che fu ultimato nel 1828 (e vide l’inaugurazione dell’illuminazione a gas nel 1852). Si progettava e si costruiva il cimitero suburbano di Staglieno (1844 -1851) su disegno dello stesso Barabino, con altre opere d’architettura che conferivano razionalità all’impianto urbano. In questa città dell’Europa «incivilita» il progresso, autentico mito dell’epoca, era dunque visibile e tangibile camminando per le sue strade. Nel 1848 con la concessione dello Statuto albertino sembrava a qualcuno di assistere all’inveramento morale della «civilization», dopo aver toccato quello materiale. Tra questi c’era il Giurista di cui ci occupiamo. Egli, di professione avvocato, insegnò Istituzioni Civili nell’Università di Genova dal 1835 al 1843, quindi Diritto Costituzionale dal 1848 al 1853, anno della sua scomparsa nel mese di settembre.

 
L’architetto Barabino

(Per inciso lo sfortunato architetto Barabino morì nel 1835 a sessantasette anni durante un’epidemia di colera che aveva colpito l’Europa e flagellato il capoluogo ligure in particolare. Vi perirono 2160 persone su una popolazione cittadina di 85000 abitanti. Si constata amaramente che a dispetto dell’enfasi posta nel magnificare il progresso, la scienza medica non era in uno stato di avanzamento tale da poter prevenire e fronteggiare il colera). L’opera di Casanova Del Diritto Costituzionale fu pubblicata postuma per volontà dell’amico e collega Cesare Cabella, che ordinò tutte le lezioni tenute dal Professore genovese tra il ’48 ed il ’53.

Negli anni precedenti il Quarantotto Genova era in fermento. Nel 1846 vi fu un avvenimento di grande rilievo per il Risorgimento italiano: la città ospitò l’ottavo Congresso degli scienziati italiani. A partire dal 1840 i Congressi degli scienziati italiani avevano reso più intensi i contatti tra gli intellettuali della Penisola; avevano contribuito a rendere più stretti i rapporti tra i ceti più colti, facendoli convergere verso la richiesta di riforme delle istituzioni politiche e preparando le coscienze all’unità nazionale. Proprio per questa ragione il Congresso di Genova ebbe un carattere spiccatamente politico: vi si parlò più di politica che di scienza, scrisse lo storico Franco Ridella in La vita e i tempi di Cesare Cabella e lo definì con una certa magniloquenza il primo vero Parlamento politico in Italia.

 
François Guizot

Nel 1847, il giorno 10 dicembre, una processione religiosa assunse un’evidente fisionomia patriottica, unitaria ed anti-austriaca. Divenne una grande manifestazione civile che dalla spianata dell’Acquasola si diresse verso il Santuario di Oregina. Vi parteciparono più di trentamila persone di diverse tendenze politiche (liberali e democratici) provenienti anche dagli altri Stati della Penisola. Tra i molti giovani presenti vi era anche Goffredo Mameli, alla guida degli studenti universitari. Egli, nonostante i divieti, sventolò il tricolore della Giovine Italia, simbolo repubblicano ed unitario. Un lungo corteo sfilò ininterrotto attraverso le vie della città e, per la prima volta, fu intonato il Canto degli Italiani, dello stesso Mameli, musicato da Michele Novaro (nato nel 1818 a Genova e morto nella stessa città nel 1885). Come è noto un secolo più tardi il Canto, più conosciuto come Fratelli d’Italia, sarebbe stato scelto come inno nazionale repubblicano. Nello stesso periodo si organizzavano manifestazioni assai partecipate per porre fine all’assolutismo ed ottenere una costituzione. Le dimostrazioni erano accompagnate da frequenti disordini causati dai non pochi provocatori reazionari. Alla fine di febbraio del 1848 i Gesuiti, emblema della società di antico regime, furono cacciati da Genova “a furor di popolo”. Era la fine del monopolio religioso dell’istruzione universitaria (e non soltanto): a partire dall’anno accademico 1848/1849 fu istituita la cattedra di Diritto Costituzionale, assegnata ad un uomo dallo spirito laico e razionalista quale Ludovico Casanova. Era laico perché sostenitore rigoroso e coerente della separazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica romana; era un credente razionalista perché persuaso della possibilità di raggiungere la cognizione della legge universale stabilita dal Creatore. L’incivilimento per il nostro Autore era un processo in progresso verso la comprensione delle regole universali e divine che governano il mondo materiale al pari di quello morale. Sostenne una dottrina costituzionale fondata sul pensiero del contemporaneo François Guizot, calvinista francese, principale teorico politico del liberalismo durante la monarchia di Luigi Filippo d’Orleans (1830 – 1848) e autore tra l’altro della Histoire générale de la civilisation en Europe depuis la chute de l’empire romain jusqu’à la Revolution française. Fin dall’età  della Restaurazione Guizot aveva portato a maturazione il concetto di una forma di stato in cui la fonte della legge non fosse la volontà di una sola parte della società (cioè di un singolo, di pochi o di molti) ma la ragione universale. Uno stato in cui la discussione pubblica svolta in consigli elettivi, prendesse il posto del potere assoluto (sia monarchico, sia aristocratico, sia democratico). Designò tale regime politico con il nome di «Governo rappresentativo» e individuò nella discussione parlamentare il momento centrale della formazione delle decisioni. Il Parlamentarismo rappresentava dunque la realizzazione dell’ideale di un government by discussion, secondo la definizione resa dal grande intellettuale liberale inglese John Stuart Mill. Ma per Guizot il rovesciamento del sistema assolutistico di potere non aveva nulla a che fare con la democrazia: il parlamentarismo di Guizot, principio di legittimazione del governo, escludeva le masse popolari. Per il pensatore francese la discussione riguardava esclusivamente i «capaci», cioè coloro che secondo lui erano in grado di raggiungere la giustizia e la verità attraverso il retto uso della ragione: interessava, in parole più chiare, unicamente le classi egemoni. Gli stessi ceti che a suo parere disponevano dei mezzi materiali e culturali necessari per indagare il vero e realizzare la giustizia in Terra.

Guizot affermava (e Casanova con lui) che la supremazia della ragione (universale) sulla volontà (particolare) sarebbe stata realizza per mezzo del dibattito parlamentare e partiva dall’idea secondo cui la ragione e la verità non appartengono a nessun potere terreno, ma si ricavano attraverso un confronto libero ed aperto di argomentazioni razionali. Tale fiducia nell’istituzione parlamentare, declinata in senso democratico, avrebbe costituito il fondamento dei sistemi politici basati sulla rappresentanza popolare. Nel corso della storia si sarebbe verificato il progressivo allargamento del suffragio: l’Italia sarebbe arrivata al voto universale femminile e maschile molto più avanti, nel 1946 in occasione del referendum sulla forma di Stato e dell’elezione dell’Assemblea Costituente. Guizot temeva le masse popolari e si oppose all’allargamento del suffragio in Francia, ma gli eventi del 1848 lo travolsero. Tale timore aveva origine nei drammatici avvenimenti che riguardarono la sua famiglia durante la Rivoluzione: il 2 giugno 1793 a Parigi gli esponenti girondini, cioè i responsabili del partito moderato, furono proscritti e poi eliminati dai giacobini. Alcune province reagirono contro la capitale in una insurrezione federalista che venne duramente repressa. Il padre di François Guizot, un avvocato di Nimes, fu ghigliottinato nel 1794 per aver partecipato alla rivolta.

 
John Stuart Mill

Nel pensiero di Ludovico Casanova si rinvengono, in effetti, molti temi sviluppati e sostenuti dai girondini alla Convenzione di Parigi: il riferimento al modello costituzionale americano, la superiorità della legge costituzionale rispetto a quella ordinaria, la preferenza per uno Stato federalista e delle autonomie locali, la forma parlamentare bicamerale, la netta separazione dei poteri con il reciproco controllo e la limitazione tra di loro, il diritto di resistenza legale all’autorità responsabile della violazione delle libertà civili e dei diritti naturali individuali. È di notevole interesse la questione della superiorità della legge costituzionale: il Professore genovese sostenne appassionatamente la necessità di stabilire un rapporto cosiffatto tra lo Statuto albertino e la legge del Parlamento subalpino. Concepiva cioè lo Statuto come «rigido» e proponeva risolutamente di stabilire un sindacato «diffuso» di costituzionalità delle leggi, affidato ai giudici, come ancor oggi avviene negli Stati Uniti d’America. Se nel corso di un giudizio, il giudice avesse ravvisato un’incompatibilità tra la legge e lo Statuto la prima avrebbe ceduto e non sarebbe stata applicata a favore del secondo. Oggi, come sappiamo, il sindacato di costituzionalità delle leggi in Italia è «accentrato» e affidato alla Corte Costituzionale, organo appositamente creato dalla Costituzione repubblicana. Per quel che riguarda lo Statuto le cose andarono diversamente da quanto desiderava e prefigurava Ludovico Casanova: pur senza modificarne la lettera le leggi del Parlamento lo derogarono ampiamente, facendone una costituzione «flessibile». Sulla forma repubblicana, come negli Stati Uniti, o monarchica, come nella Francia di Luigi Filippo, il Professore non espresse nessuna preferenza: non era questa una qualità che gli paresse incidere sullo spirito del Governo rappresentativo che, per essere tale, doveva necessariamente fondarsi sull’elezione dei rappresentanti, sulla divisione dei poteri e sulla pubblicità delle sedute parlamentari. Il collegamento ideale tra la Costituzione della Repubblica italiana ed la dottrina di Ludovico Casanova non è semplice né diretto: ne costituisce però una delle basi ideali. Ma se ritorniamo a Ianua, alla porta da cui siamo partiti, osserviamo che il mazzinianesimo origina da ideali entrati in Italia con i francesi.

  

Troviamo dunque un legame diretto tra la Costituente della Repubblica Romana del 1849 e la Costituente italiana del 1946, ed una continuità di spirito tra la processione genovese del 1847, la difesa della Repubblica Romana, nella quale il non ancora ventiduenne Goffredo Mameli perse la vita, e la prima ed unica vera Costituente italiana eletta da popolo nel 1946. Tre circostanze in cui si cantò il nostro attuale inno nazionale (tale dal 12 ottobre 1946) che, seppure oggetto di lecite critiche, esprime lo spirito democratico e repubblicano di quelle giornate. Sul collegamento ideale tra le due Assemblee Costituenti questa è l’autorevole opinione di Meuccio Ruini, presidente della Commissione per la redazione della Costituzione italiana: Formulare oggi una Costituzione è compito assai grave. Dopo le meteore di quelle improvvisate nella scia della rivoluzione francese e delle altre del risorgimento, concesse dai sovrani – tranne una sola luminosa eccezione, la costituzione romana di Mazzini, alla quale noi ci vogliamo idealmente ricongiungere – è la prima volta, nella sua storia, che tutto il popolo italiano, riunito a Stato nazionale, si dà direttamente e democraticamente la propria costituzione (dalla Relazione del Presidente Meuccio Ruini, presentata al Presidente dell’Assemblea Costituente il 5 febbraio 1947). La Repubblica Romana ebbe vita brevissima: La creatura del Triumvirato mazziniano fu dunque un bimbo morto in culla? Si domanda il costituzionalista Salvatore Prisco e risponde: Forse a valutare gli eventi nell’immediato; ma in realtà – figlia di un’Assemblea Costituente, nonché fondata com’era sul principio della sovranità popolare e su diritti e doveri proclamati come collegati in modo stretto, ispirerà all’evidenza […] la nostra Costituzione vigente. Ecco dunque un contributo di Genova, la porta, al suo Paese.

Fabio Tanghetti

 Laureato in Scienze Politiche è un attento e fine osservatore dell’accadere politico globale

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