LA POLITICA NUOVA

Il federalismo non è solo costituzionalismo

1) SOVRANITÀ AL POPOLO
La crisi della democrazia rappresentativa parlamentare, si profila come il nodo cruciale in cui si gioca futuro e destino dell’occidente. Il fenomeno, ampiamente presente in tutte le nazioni europee, siano esse governate da progressisti che conservatori, dell’assenteismo elettorale, unitamente al crescente attacco alle democrazie liberali da parte delle autarchie russe e cinesi, nonché dalle teocrazie islamiche, sono le cause della perdita di autorevolezza ed efficienza dei governi.

Analizzando le dinamiche politico-sociali che sottostanno alla crisi della democrazia rappresentativa, non la si può non mettere in relazione alla crescente perdita di potere decisionale del politico rispetto alla egemonia di entità sovranazionali di natura economico-finanziaria, non elette da nessuno e che non esprimono la volontà popolare, condizionando, al contempo, pesantemente le decisioni dei parlamenti e degli esecutivi. Tutto questo produce gravi e drammatici squilibri nell’azione di governo, poiché le Costituzioni dei singoli stati, che erano state poste a tutela delle libertà del cittadino, vengono surclassate, a seguito della adesione dei vari paesi ad organismi sovranazionali che impongono le loro regole, espressione di poteri forti meta-politici.
Le vicende della crisi greca e le difficoltà che attraversano quasi tutti i paesi aderenti alla UE, sono un esempio concreto di ciò che stiamo descrivendo. Si sta affermando, anche nella culla della democrazia, un diverso totalitarismo uguale e contrario di quello delle autarchie orientali, e cioè un totalitarismo tecnologico – finanziario , che produce un pensiero unico che cancella libertà e conduce ad un impoverimento e imbastardimento delle comunità con conseguente ristagno economico, progressiva scomparsa di attività produttive indipendenti, soffocate da barbarie fiscali o inglobate dalle multinazionali, disoccupazione dilagante e elemosina assistenziale con il reddito di cittadinanza.
Già dall’esordio della globalizzazione tra la fine dei 90 e il 2000, ci sono state reazioni popolari a sinistra come a destra, da Seattle e Occupy Wall Street, ai gilet gialli in Francia. Soprattutto partiti e movimenti di destra hanno rivendicato, in funzione antiglobalista e anti UE, la sovranità degli Stati.

La critica di destra del globalismo e in genere della dittatura finanziaria ed eurocentrista, tende a recuperare visioni dello Stato anteriori alle due guerre mondiali segnate dal passaggio dall’imperialismo britannico a quello statunitense.
Ma il ritorno alle sovranità dell’altro secolo non garantisce né una vera autonomia, né decisionalità politico ed economica per la permeabilità di qualsiasi paese alle forze sovrastatali ed economiche del multinazionalismo.
Solo una forma di aggregazione degli Stati in forma federalista consente un contrasto alle forze disgregatrici di identità, autonomia e libertà.

2) PER UN FEDERALISMO PARTECIPATIVO
Le nostre democrazie, se vogliono salvarsi e rappresentare ancora una garanzia per il futuro devono subire una trasformazione integrale: passare da rappresentative a partecipative; e masse popolari non sono più quelle di una volta, disinformate, semianalfabete, chiuse in classi sociali, ma, invece, con una forte consapevolezza individuale e interconnesse con il mondo. Necessitano, dunque, nuovi assetti istituzionali in grado di trasformare l’attuale democrazia rappresentativa assai degenerata dal processo storico che l’ha portata dall’originale costrutto della democrazia liberale ottocentesca, a quella plebiscitaria di ordine democratico popolare che, se è vero, ha portato le masse popolari ad essere fautrici di scelte politiche, ha però portato, nello stesso tempo, ad una loro subalternità ai poteri partitici o alle lobbies extra politiche.
L’urgenza di passare ad una vera democrazia partecipativa si fa ogni giorno più evidente: il processo decisionale deve invertire la freccia, non più dal vertice verso la base, ma dalla base al vertice, dove ciascun soggetto possa giocare un ruolo personale e responsabile nelle decisioni collettive.
Solo così si può ottenere la vera sovranità popolare; torniamo un attimo indietro per analizzare le difficoltà strutturali con la riproposizione di vecchi schemi risalenti al sovranismo degli Stati nazionali; questo perché in questo modo si utilizzano sempre i partiti di manichea dialettica, sinistra contro destra, sempre meno partecipati dall’elettorato, e altrettanto inutilizzabili sono i movimenti, come per esempio i 5stelle che, se è vero partivano da un approccio antipartitico, non colgono il vero cambiamento di ordine strutturale , poiché la partecipazione è relegata alla modalità della formazione di un quadro partitico, che, se nasce in maniera spontanea, finisce come di fatto è finito, in una “normalizzazione” partitica vecchia maniera.

Il fatto è che, quale che sia la forza politica che vada al potere elettoralmente, questa forza politica deve adattarsi alla struttura di uno Stato, quasi sempre centralista, così come in Francia, Germania, Spagna e anche Italia, al di là di modeste autonomie di tipo regionale,
Quale, dunque, sarà quella forma costituzionale che permetta di innescare un processo atto a fermare il declino della democrazia? Sicuramente quella del federalismo nella doppia accezione costituzionale e politica.
Del federalismo costituzionale non è qui il caso di parlarne, se non che per ricordarne le forme classiche , quali la Statunitense come federazione di Stati autonomi, oppure quella più utile al nostro discorso per un federalismo interno, anche di valenza politica, rappresentato dalla Confederazione Elvetica, dove, non a caso, si può parlare di federalismo interno, possibile per le ridotte dimensioni territoriali e dove la federazione non è tra formazioni tipicamente statali come nel caso USA, ma tra cantoni, realtà strutturalmente di autonomia partecipata.
Il federalismo svizzero è un capolavoro di libertà, è un cantiere permanente, un processo di adeguamento ai tempi e al passare delle generazioni, il federalismo si dimostra uno strumento potente nel governo della complessità, consentendo quello che viene definito “approccio glocale”, agire locale, pensare globale ‘(Edgar Morin).
I cantoni sono le comunità che costituiscono la propria sovranità e collaborano in competizione, condividendo obiettivi generali, che accettano la molteplicità nell’unità prevedendo uno Stato leggero. L’autonomia locale ha ampi poteri di partecipazione per la emanazione di norme di legge della Confederazione (sovranità condivisa).
L’autonomia cantonale, in particolare si concretizza nell’esistenza di una propria costituzione di organi eletti autonomamente e soprattutto nella disponibilità di risorse finanziarie proprie. I cantoni prevedono una concorrenza fiscale e una perequazione tra cantoni più forti e meno forti.
Sia la forma costituzionale, che la struttura socio-economica in cui si realizza la comunità svizzera, permette una relazione costante tra istituzione cantonale e la popolazione, tale da garantire il potere decisionale del singolo, tramite forme come quella referendaria e assembleare possibili proprio per le dimensioni ottimali del territorio.

Gianfranco Miglio

Come è possibile trasferire, fatte le debite differenze, questa formula in un paese come l’Italia?, la cosa sarebbe possibile con una riforma federalista del nostro territorio; progettazioni, in questo senso, sono state prospettate nei primi anni 90 da studi come quelli della Fondazione Agnelli, o soprattutto da un costituzionalista come Gianfranco Miglio con la sua Italia delle tre macroregioni oppure ispirandosi ad uno studioso del fenomeno come Guy Heraud che proponeva il sistema delle “grandi regioni” a valenza anche europea come Catalogna, Provenza, Baviera, o la Padania.

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È interessante nella realtà italiana la possibilità di far rivivere eccellenze economiche e amministrative del passato come la Lombardia del Ducato di Milano, il Triveneto della Repubblica di Venezia, il Piemonte e Liguria Sabauda, il Reame di Napoli, la Toscana Medicea, il tutto naturalmente in senso attuale, culturale, turistico e operativo, ridisegnando, cosi, una unità che supera sospetti di una sorta di secessionismo dei ricchi.
Resta chiaro che una riforma costituzionale di questo tipo a forte autonomia amministrativa, fiscale, e decisionale, porta in primo piano il ruolo del cittadino nello sforzo di contemperare interessi privati e bene pubblico.
Concludendo, sarà bene esemplificare cosa si intende per valenza politica del federalismo :il patto federale consiste nella cooperazione tra pubblico e privato, sottraendola alla mediazione della rappresentanza partitica tradizionale, certo restano i riferimenti di fondo tra posizioni progressiste e conservatrici, ma la istituzione deve essere partecipata direttamente dalla comunità.
Date queste premesse, quale forza politica, in Italia, potrebbe farsi carico di questa transizione politico-istituzionale?, la risposta, in base agli atti e programmi presentati negli anni, è rappresenta dalla Lega, la Lega Nord, nacque proprio per l’esigenza di superare la pervasività dei partiti tradizionali a trazione centralista sulle realtà locali, sottraendole alla inefficienza della pubblica amministrazione, per sviluppare un programma economico concreto che affonda le radici in un profondo ridisegno delle strutture statali, dove i partiti tradizionali restano, in genere sul piano dell’astrazione. Inoltre, fuori dalla vecchia e superata divisione di classe, sinistra contro destra, la lega, sul territorio di presentò come partito interclassista “dei produttori” (datori di lavoro e dipendenti), contrapposto ai “redditieri” (percettori di rendite politiche e burocratiche). La sua linea autonomistica, perfino nella sua estremizzazione secessionista, ne fa una protagonista obbligatoria di una politica federalista, soprattutto se adottasse la linea doppiamente federale a livello interno come a livello europeo.
Una politica coniugata in tal senso, darebbe alla Lega una forte credibilità politica e una solida consistenza. In questo modo si avrebbe la saldatura tra l’originaria vocazione autonomista della Lega Nord, con la rivendicazione sovranista verso l’EU della Lega Salviniana. Infatti, più che una UE di Stati Sovrani, si perseguirebbe una vera federazione europea, qualitativamente diversa dalla attuale UE, solo monetaria ed economica, una federazione, invece, di popoli, una Europa delle Grandi Regioni diverse da quelle ristrette nei confini nazionali ma interconnesse su rapporti e relazioni geografiche, territoriali, commerciali e culturali.
Ma aldilà delle capacità e possibilità di una qualsiasi forza politica di interpretare la “rivoluzione della Politica Nuova”, tutto dipende dalla riconquistata consapevolezza del diritto del cittadino di essere promotore a livello individuale delle scelte e delle decisioni amministrative e politiche, assumendosi, nel contempo, le responsabilità.

Giorgio Calabria

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