LA DAMA CON L’ERMELLINO

LA DAMA CON L’ERMELLINO

LA DAMA CON L’ERMELLINO

       Una meta obbligata per i viaggiatori (o i pellegrini) che visitano l’antico centro storico di Cracovia è la collina fortificata dove si trova il Castello di Wawel, situato a fianco della Cattedrale che domina dall’alto la città jagellonica, immersa in un  paesaggio fluviale e verdeggiante che  non sarebbe dispiaciuto a Leonardo da Vinci. 

Meta obbligata perché ivi è custodito, in una saletta fiocamente illuminata per proteggerlo dai raggi solari,  il ritratto a olio su tavola della giovanissima nobildonna Cecilia Gallerani,  amante di Ludovico Sforza, detto il Moro, duca di Milano, che Leonardo dipinse, su commissione dello stesso  duca, tra il 1488 e il 1490, e universalmente noto come La dama con l’ermellino. La sua datazione è deducibile con buona approssimazione, grazie alla trasparente allusione al prestigioso titolo onorifico di cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino conferito al Moro da Ferrando d’Aragona, re di Napoli, nel 1488; ma l’animale (che, a ben guardare, date le sue dimensioni e la docilità con cui si lascia accarezzare dalla dama, assomiglia di più  a un furetto addomesticato che a un selvatico ermellino)  allude anche al cognome della fanciulla , poiché “galè” è il nome greco dell’ermellino, e, in quanto simbolo di purezza e di incorruttibilità, anche alle sue virtù. A quanto se ne sa, è oggi l’unico  dipinto di Leonardo  di proprietà privata; appartiene infatti alla collezione iniziata due secoli fa dalla principessa Izabela Fleming Czartoryska, raffinata intellettuale protettrice delle belle arti, nonché fervente patriota polacca, e ora in possesso del  principe Adam Karol, suo discendente. La preziosa tavola ha seguito nei due secoli scorsi le vicissitudini politiche della Polonia,  viaggiando continuamente da una città all’altra per tutta l’Europa alla ricerca di luoghi sicuri. Nel 1940 venne nascosta nei sotterranei del Castello, insieme ad altri quadri della collezione, ma i nazisti la ritrovarono poco prima che i l’Armata Rossa rioccupasse la Polonia, e il governatore tedesco di Cracovia, Hans Frank (poi processato a Norimberga per crimini di guerra e condannato a morte per impiccagione), fece trasferire tutta la collezione in Slesia, dove fu recuperata dagli Alleati, che la riconsegnarono al legittimo proprietario. La tavola, prima dell’attuale collocazione,  era esposta  al  Czartoryski  Muzeum, sempre a Cracovia. La dama con l’ermellino, insieme al Ritratto di musico dell’Ambrosiana e alla cosiddetta Belle Ferronière del Louvre, testimonia il notevole salto qualitativo, stilistico e “scientifico” che caratterizza il primo periodo milanese dell’attività artistica di Leonardo, che culminerà con il Cenacolo del refettorio di  Santa Maria Delle Grazie.


In questi ritratti viene meno del tutto la frontalità quattrocentesca e la staticità monumentale dei personaggi raffigurati (si pensi agli “uomini illustri” di Andrea del Castagno, o ai profili del Doppio ritratto dei duchi di Urbino, di Piero della Francesca,  più simili a sculture che a pitture). La novità leonardesca consiste nel cogliere la persona non solo nelle sue fattezze esterne, ma soprattutto  nel rappresentarla e immortalarla  in movimento come in un fotogramma o in una istantanea, che ne restituisca a un tempo un attimo della sua vita, il suo carattere e persino lo stato d’animo  vissuto in quel momento, in modo tale che la forma esterna corrisponda e risolva in sé la forma interna, rendendo così visibile l’invisibile interiorità del personaggio che “vive” in saecula seculorum nello spazio circoscritto e bidimensionale del quadro. Nel caso del ritratto di Cecilia Gallerani, i personaggi sono addirittura tre: due interni al dipinto, mentre il terzo è presente ma invisibile, in quanto esterno allo spazio del quadro. Quelli interni sono la dama e l’ermellino (o furetto che sia); è infatti evidente che gli occhi della fanciulla “rimano” con gli occhi dell’animale, e che entrambi guardano nella stessa direzione, certamente non per caso, ma per significare la lieta sorpresa della presenza di qualcuno, forse il duca stesso, sopraggiunto in quel momento nella stanza in cui si trova Cecilia, raffigurata nell’atto di voltarsi, con il busto ruotato verso la sua destra  e la bella testa, in piena luce,  verso la sua sinistra, cioè verso il terzo personaggio appena arrivato, che rimane però fuori dal quadro. A un recente esame ai raggi X si è scoperto che Leonardo aveva aperto una finestra sopra la spalla sinistra della dama, più alta rispetto alla destra, finestra poi cancellata non si sa bene da chi, per far meglio risaltare, contro lo sfondo scuro e uniforme,  la luminosità del suo volto, del bel collo e del delicato petto, oltre ai colori  dell’abito, soprattutto delle elaborate maniche a sbuffo. In primo piano l’attenzione è per il dorso e per le sottili,  aristocratiche dita della  splendida mano destra, con cui Cecilia sfiora graziosamente il bianco vello dell’animale, e l’animale stesso tenuto in grembo che poggia le sue artigliate zampette anteriori sulla  manica sinistra. Notevole anche il raffinato  gioco dei contrasti tra il nero delle perle della lunga collana e il pallore del collo e del petto, tra il nero laccio   che tiene fermo il velo scuro  ricoprente i capelli di uguale colore  e la luminosità della fronte,  cinta anche da un sottile nastro marroncino chiaro. Ma la novità più leonardesca è senza dubbio in quel misterioso accenno di sorriso che appare intorno alle labbra e nel lampo che brilla in quegli splendidi occhi di fanciulla gentile e incorruttibile, come l’ermellino che “prima si lascia pigliare dai cacciatori che voler fuggire nell’infangata tana, per non maculare la sua genilezza”. Così affabulava Leonardo. 

FULVIO SGUERSO

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