IPOTESI SULL’INFERNO

IPOTESI SULL’INFERNO

IPOTESI SULL’INFERNO

 “Misero me! Per quale varco potrò mai fuggire

l’ira infinita e l’infinita disperazione?

Perché dovunque fugga è sempre l’inferno,

l’inferno sono io…”

 Così il Satana di Milton nel Paradise lost, sa di non poter fuggire dall’inferno perché


lo porta dentro di sé, e la sua pena più dolorosa è la separazione eterna dal Creatore, cioè dalla vita e dalla beatitudine eterna  alla quale tutte le anime, naturalmente,  aspirano ma che, secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, non tutte raggiungono: “1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’ inferno, ‘il fuoco eterno’.

631 La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira”. Dunque, secondo la Dottrina, non basta, per punire chi muore in stato di peccato mortale,  la pena maggiore consistente nella privazione della visione eterna e beatifica di Dio, ma a questa va aggiunta la pena “minore” del fuoco eterno, appena che il peccatore impenitente abbia esalato l’ultimo respiro. Il Catechismo riprende la distinzione cristiano-cattolica tradizionale tra una pena spirituale (poena damni) e una fisica (poena sensus); questa distinzione è comprensibile alla luce del dogma  della resurrezione della carne alla fine dei tempi, difficile invece è comprendere come possa subire la pena del “fuoco eterno” l’anima senza più corpo appena scesa agli inferi. Altra questione è la natura di quel fuoco: è reale o metaforico? Per i Padri della Chiesa Origene ed Ambrogio (ma anche per Calvino) si tratta di fuoco metaforico; per il Magistero cattolico, invece, di fuoco vero e proprio che possiede però il potere di agire così sui corpi come sulle anime (ma se è un fuoco reale che brucia – o brucerà – il corpo dei reprobi risorti, bisogna pensare che i loro corpi siano resi immortali al solo fine di bruciare eternamente?).

Si direbbe che la Dottrina tradizionale attribuisca al buon Dio la volontà di punire i reprobi con pene anche fisiche, onde escludere la possibilità che una pena  soltanto dell’anima non sia poi così dolorosa per chi non è mai stato particolarmente sensibile  allo spirare dello Spirito. Un altro problema è quello dell’evidente sproporzione tra una pena che dura in eterno e peccati commessi nel corso di una vita limitata nello spazio e nel tempo  da esseri umani ottenebrati, deviati, tarati, insensibili, incapaci di discernere il bene dal male, o talmente folli da scegliere convintamente il male e da sfidare la divinità, come Don Giovanni…Questa sproporzione tra peccato commesso nel tempo e pena che dura in eterno è all’origine di quelle eresie che negano l’eternità dell’inferno o, per risolvere la questione in radice, affermano l’annichilimento delle anime dei peccatori non pentiti, come gli gnostici, o la loro  morte, come sostiene Arnobio, o la non esistenza dell’inferno, come i Sociniani, e alcune sette cristiane come gli Avventisti del settimo giorno.

                       

Un’altra eresia che nega l’eternità dell’inferno è quella dell’ apocatàstasi, sostenuta da Origine e da altri Padri: Clemente Alessandrino, Gregorio Nisseno, Gregorio Nazianzeno, Ambrogio, Girolamo, e poi da Scoto Eriugena e, nell’età del Romanticismo, da Friedrich Schleiermacher. “ Apocatàstasi” , in astronomia, significa il ritorno del sole o di altri astri al loro punto di partenza. Nella filosofia stoica, significa il ritorno o “ristabilimento” del cosmo nel suo stato originario (dottrina dell’eterno ritorno): nel momento in cui tutti gli astri si ritroveranno nella stessa posizione  che avevano all’inizio ci sarà una grande conflagrazione (ekpyrosis), e il tempo e il cosmo ricominceranno un nuovo ciclo (palingenesi, cioè nuova nascita). Nel neoplatonismo significa il ricongiungimento dei singoli enti all’unità originaria, all’Uno da cui deriva la pluralità degli enti. La dottrina dell’apokatàstasi di Origene  sostiene che alla fine dei tempi tutte le creature saranno redente, tutte, compreso Satana; questo significa la finitezza delle pene infernali, quindi la trasformazione dell’inferno in un purgatorio in cui anche i peggiori peccatori, espiata la loro giusta pena, saranno alla fine salvati.

Nessuno, quindi, per Origene, che si basa su 1Corinzi 15, 28 (“E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa perché Dio sia tutto in tutti”) è dannato per sempre. Questa tesi è stata condannata solennemente dal Concilio di Costantinopoli del 553, ma, a ben pensare, Origene è più “evangelico” del Catechismo della Chiesa Cattolica, sottoscritto dal papa teologo Joseph Ratzinger. Tuttavia non tutti i teologi cattolici lo sottoscriverebbero, non certo Hans Urs von Balthasar, secondo il quale “il punto è quello di sapere se da ultimo Dio nel suo piano di salvezza dipenda, voglia dipendere dalla scelta dell’uomo, o se invece la sua libertà assoluta che vuole la salvezza, non rimanga prevalente sulla libertà umana, creata e quindi relativa”. In altri termini: è mai possibile che il dono del libero arbitrio, se mal usato, sia causa di una (auto)dannazione eterna?

  Come può un Dio Padre misericordioso permettere che le sue creature malriuscite, blasfeme, sacrileghe, degeneri, ribelli, invidiose, paranoiche, violente, lussuriose, ingrate, arroganti, iraconde, fraudolente, amorali, psicopatiche o semplicemente accidiose o deficienti, brucino per l’eternità di fuoco inestinguibile?    

 

FULVIO SGUERSO

          

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.