Inquinamento acustico: tutela…

INQUINAMENTO ACUSTICO: TUTELA AMMINISTRATIVA, CIVILE E PENALE

INQUINAMENTO ACUSTICO:

TUTELA AMMINISTRATIVA, CIVILE E PENALE

 L’UNESCO ha designato il 2020 come l’”Anno Internazionale del Suono” (International Year of Sound – IYS 2020).

Si tratta di un’iniziativa che nasce dal documento “Charter of Sound” UNESCO n. 39C/59 per sottolineare l’importanza dell’acustica in tutti i suoi aspetti e sensibilizzare il mondo sulle tematiche dell’ambiente sonoro e del rumore.

L’obiettivo è quello far comprendere che il suono influenza l’equilibrio degli esseri umani e ha dimensioni economiche, ambientali, sociali, mediche, industriali e culturali.

Infatti, benché spesso sottovalutato, l’inquinamento acustico è un problema molto diffuso che può comportare seri danni alla salute delle persone tra cui problemi psicologici, all’apparato uditivo, l’aumento della pressione arteriosa, della frequenza respiratoria, del ritmo cardiaco, stress.

 

Vari studi hanno dimostrato che il rumore può incidere negativamente anche sulla concentrazione e, quindi, sullo studio e su tutti i lavori di tipo intellettuale, oltre che sulla comunicazione verbale e sul sonno.

Non tutte le emissioni sonore sono idonee, però, a incidere negativamente sulla salute dell’uomo, ma solo quelle che possiedono determinate caratteristiche, in relazione alla loro natura, tipologia, frequenza, intensità e durata ovvero quelle che superano la soglia della normale tollerabilità provocando anche il deterioramento qualitativo dell’ambiente.

Infatti, il diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 Cost., non ha ad oggetto solo l’incolumità fisica ma tutela anche il diritto del singolo a godere di un ambiente salubre.

In passato, la Suprema Corte aveva affermato che il diritto alla salute non fosse suscettibile di compressione ad opera di interessi di ordine collettivo o generale: conseguentemente, non si poteva configurare un potere ablatorio dello Stato che facesse degradare il diritto alla salute da diritto soggettivo primario e assoluto ad interesse legittimo. 

La principale normativa nazionale in materia di “rumore” è costituita dalla Legge-quadro n. 445/1995 che, all’art. art. 2, fornisce la definizione inquinamento acustico, descrivendolo come: “l’introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo e alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno o tale da interferire con le normali funzioni degli ambienti stessi”.

 


 

Il nostro ordinamento giuridico contro l’inquinamento acustico offre due diversi tipi di tutela: una, di natura pubblicistico-amministrativa (Legge n. 447/1995 e relativi decreti attuativi, normativa locale tra cui regolamenti delle attività rumorosa) e, l’altra, di natura privatistica, civile e penale (v. art. 844 c.c. e art. 659 c.p.).

Prima ancora della Legge del 1995, fu il D.P.C.M. del 01.03.1991 a regolamentare la materia del rumore, individuando lo strumento della previsione di impatto acustico sia per concessioni edilizie relative a nuovi impianti industriali che per autorizzazioni all’esercizio di attività produttive.

Tale normativa ha utilizzato lo strumento della “zonizzazione”, imponendo ai Comuni di adottare, ai fini della fissazione dei limiti di esposizione al rumore, una classificazione in zone, in relazione alla destinazione d’uso del territorio. 

Per le zone non esclusivamente industriali, ai limiti massimi venivano affiancati limiti differenziali, distinti per periodo diurno e periodo notturno, tra rumore ambientale e rumore residuo. 

Le misurazioni dovevano essere effettuate all’interno degli ambienti abitativi per verificare il disturbo creato da una determinata fonte, individuata e isolata rispetto ai rumori costanti propri di quella zona.

Inoltre, le imprese dovevano adeguarsi alle prescrizioni del decreto e le Regioni dovevano predisporre, sulla base dei dati raccolti, un “Piano regionale annuale di intervento per la bonifica dell’inquinamento acustico”.

Con la Legge n. 447/1995 l’attenzione si sposta anche su altri ambiti e l’inquinamento acustico viene considerato, per la prima volta, come un fenomeno complesso, idoneo a incidere sia su aspetti sanitari che su aspetti ambientali e culturali, provocando il deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo e dell’ambiente esterno. 

 


 

La Legge-quadro si occupa sia delle sorgenti fisse (impianti, infrastrutture, aree adibite ad attività sportive e ricreative) che di quelle mobili (a carattere residuale) e si fonda sulla definizione di standard ambientali, quali valori-limite di emissione, in riferimento alla sorgente; valori-limite di immissione (distinti in assoluti e differenziali), relativi ai ricettori; valori di attenzione, rilevanti rispetto al rischio potenziale per salute o ambiente; valori di qualità, riguardanti gli obiettivi di tutela.

Gli strumenti individuati dalla Legge del 1995 sono vari: fissazione dei valori-limite, procedure di certificazione acustica dei prodotti; interventi attivi e passivi di riduzione delle emissioni sonore; attività di pianificazione urbanistica o legate alla mobilità urbana ed extra-urbana (Piani dei trasporti urbani, Piani urbani del traffico, Piani dei trasporti provinciali o regionali, Piani del traffico per la mobilità extra-urbana) e al sistema dei trasporti (stradale, ferroviario, aero-portuale e marittimo).

L’attività di pianificazione specifica si estrinseca, invece, nel “Piano di risanamento acustico”, che i Comuni sono tenuti ad adottare, assicurandone il coordinamento con il Piano urbano del traffico e con i piani previsti in materia ambientale. 

I Piani di risanamento acustico hanno come contenuto l’individuazione della tipologia, dell’entità dei rumori presenti, dei soggetti che devono intervenire, nonché le modalità degli interventi e le misure cautelari necessarie a fini di tutela sanitaria ed ambientale. 

La Legge-quadro prevede, inoltre, che i progetti soggetti a VIA (valutazione di impatto ambientale) siano accompagnati da una documentazione di impatto acustico quando riguardino aeroporti, strade, ferrovie, discoteche, impianti sportivi e ricreativi, circoli privati e pubblici esercizi ove siano installati impianti rumorosi. 

La documentazione di previsione di impatto acustico, con l’eventuale indicazione delle misure adottate per la riduzione delle emissioni sonore, deve essere inserita nelle domande per il rilascio di concessioni edilizie relative ad impianti adibiti ad attività produttive, commerciali polifunzionali, sportive e ricreative, nonché nelle domande di autorizzazione per l’esercizio di attività produttive.

 


Inoltre, la Legge del 1995 ammette l’adozione, a diversi livelli, di ordinanze contingibili e urgenti qualora le Amministrazioni ravvisino eccezionali necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente, disponendo il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o abbattimento delle emissioni sonore, compresa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività.

A livello locale, il Comune, mediante l’adozione di un regolamento ad hoc, può preservare la quiete pubblica prevedendo, legittimamente, il divieto di qualsivoglia attività indipendentemente dal fatto che la rumorosità generata rispetti o meno i limiti previsti dalle richiamate norme acustiche.

Ciò è stato confermato anche dalla sentenza n. 2684 del 17.04.2020 del Consiglio di Stato, la cui massima afferma: “La tutela del bene giuridico protetto dalla legge quadro n. 447 del 26 ottobre 1995, la quale mira alla salvaguardia di un complesso di valori (cfr. art. 2, co. 1, lett. a) rispetto al fenomeno dell’inquinamento acustico, coesiste con la tutela del diverso bene giuridico che è costituito dalla pubblica tranquillità, trattandosi di beni presidiati da norme con obiettivi e struttura diversi; al di là di quanto specificamente previsto dall’art. 6, co. 3, l. n. 447/95 per i comuni il cui territorio presenti un rilevante interesse paesaggistico-ambientale e turistico, perciò, la legislazione sull’inquinamento acustico non impedisce agli altri comuni di adottare una più specifica regolamentazione dell’emissione e dell’immissione dei rumori nel loro territorio, la quale, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla L. n. 447 del 1995, prenda in considerazione, non già il dato oggettivo del superamento di una certa soglia di rumorosità – considerato, per presunzione iuris et de iure, come generativo di un fenomeno di inquinamento acustico, a prescindere dall’accertamento dell’effettiva lesione del complesso di valori indicati nell’art. 1, comma 1, lett. a), della Legge – ma i concreti effetti negativi provocati dall’impiego di determinate sorgenti sonore sulle occupazioni o sul riposo delle persone, e quindi sulla tranquillità pubblica o privata (Cass., 9 ottobre 2003, n. 15081; Cass. civ., sez. I, 1° settembre 2006, n. 18953; C.d.S., sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1265). Deve, in altri termini, riconoscersi ai Comuni la competenza ad adottare misure di contenimento dell’inquinamento acustico, anche introducendo fasce orarie, non direttamente collegate con il superamento dei limiti fissati per le immissioni sonore”.

 


 

Detta pronunzia, benché non costituisca una novità assoluta nel panorama dell’inquinamento acustico, risulta interessante in quanto riprende un principio già enunciato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1265/2011 e dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18953/2006.

Pertanto, qualora l’Ente comunale, con apposito regolamento, abbia adottato misure di contenimento dell’inquinamento acustico per salvaguardare la tranquillità pubblica e/o privata del proprio territorio, ne consegue che, al fine dell’accertamento della violazione non è necessario verificare l’osservanza dei limiti massimi stabiliti dalla normativa acustica attraverso l’utilizzo di appositi apparecchi di precisione, ma è sufficiente accertare se il rumore generato sia idoneo a determinare il disturbo della tranquillità tutelato dalla norma del regolamento locale.

Dal punto di vista della tutela privatistica si segnala che, in materia, trova applicazione l’art. 844 c.c. relativo alle immissioni nei rapporti di vicinato tra proprietà fondiarie.

Tale articolo fu introdotto dal legislatore del 1942, nell’ottica dell’industrializzazione del nostro Paese, in allora, prevalentemente agricolo.

Per tale motivo, l’articolo in questione privilegia la proprietà dinamica e produttiva (cioè chi pone in essere l’immissione), rispetto a quella statica (chi subisce l’immissione e vede limitare il godimento del proprio immobile).

Il discrimen tra le immissioni lecite e quelle che non possono essere ritenute tali è costituito da superamento del limite della “normale tollerabilità”: la giurisprudenza più risalente nel contemperare le esigenze della produzione e i diritti del singolo ha sempre affermato il sacrificio di quest’ultimo a favore della prima.

Pertanto, le immissioni benché eccedenti la normale tollerabilità (e, quindi, dannose) erano consentite, in quanto proibirle avrebbe pregiudicato l’attività produttiva, ovvero l’interesse generale della collettività da ritenersi, per i motivi di cui sopra, preminente sull’interesse del singolo.

 


 

Con il passare degli anni si è, però, assistito ad una vera e propria inversione di tendenza, per cui la giurisprudenza sia di legittimità che di merito, nonché buona parte della dottrina, hanno affermato che nella comparazione e contemperamento degli interessi, la salute del singolo, quale bene primario non può essere posta sullo stesso piano (o su un piano inferiore) rispetto alla produzione.

In ambito civilistico è, altresì, possibile ottenere tutela dal rumore che ecceda la normale tollerabilità, in via cautelare, ovvero esperendo l’azione di manutenzione ex art. 1170 c.c. (quando il rumore costituisce “molestia nel possesso di un immobile”), ovvero mediante l’azione di danno temuto ex art. 1172 c.c., quando si tema un grave e prossimo danno al bene posseduto.

Il rumore eccessivo può integrare anche il reato (perseguibile d’ufficio) previsto e punito dall’art. 659 c.p. che ha ad oggetto il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone.

Affinché si configuri tale reato occorre che i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilità ed abbiano, anche in relazione alla loro intensità, l’attitudine a propagarsi e a disturbare un numero indeterminato di persone (il bene tutelato è, infatti, la quiete pubblica); ciò a prescindere dal fatto che, in concreto, alcune persone siano state effettivamente disturbate. 

 

 

E’, altresì, sanzionato chi esercita una professione o un mestiere rumoroso in violazione di leggi o prescrizioni dell’Autorità. 

La giurisprudenza di legittimità penale ha ribadito più volte che l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo e le occupazioni delle persone non debba essere necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica ma che il Giudice possa fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti cosicché risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità.

Nel caso in cui i rumori violino ordinanze contingibili e urgenti emesse dal Sindaco, dal Presidente della Provincia, dal Presidente della Giunta regionale, volte a contenere o abbattere le emissioni sonore, si può configurare anche il reato di cui all’art. 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti amministrativi) e, in ogni caso, il reato ex art. 590 c.p. (lesioni).

Alla luce di quanto sopra risulta, pertanto, evidente che se da una attività derivi una rumorosità idonea ad arrecare disturbo, pur rimanendo nei limiti della normativa ex L. 447/1995 e DPCM 14.11.1997, il danneggiato potrà verificare se, presso il Comune ove sorge l’attività rumorosa, sia stato approvato un Regolamento che detti particolari disposizioni in merito al divieto delle immissioni e/o emissioni rumorose tali da nuocere alla quiete e alla tranquillità pubblica o privata.

Nel caso in cui effettivamente sussista una tutela pubblicistica di tale fatta, il danneggiato potrà richiedere al Comune l’applicazione del Regolamento, reagendo in caso di inerzia.

Nel caso in cui non sussista nessun Regolamento, al singolo rimarrà la possibilità di attuare la tutela offerta dalla normativa civilistica, nonché da quella penalistica.

Avv. Elisa Spingardi

 

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