INDIGNATA

INDIGNATA VERSO UNA VERA ALTERNATIVA

INDIGNATA VERSO UNA VERA ALTERNATIVA
Gli indignati.        

 

 Gli indignati di tutto il mondo sembrano essersi finalmente accomunati in un’analisi drammatica di come le “cose” sia state mal gestite da poteri che non erano propriamente preposti a fare la politica dei loro Paesi ma che, di fatto, ne hanno condizionato le scelte.

Quei poteri forti come banche, lobby economiche, borse che fino ad oggi tutti i Governi hanno tenuto in forte considerazione, facendoci credere che il mondo, l’Italia, le nostre città non sarebbero potute sopravvivere senza tenerne conto, senza essere sottomessi e soggiogati alle loro leggi. Facendoci persino credere che i loro profitti, i loro guadagni sarebbero stati i nostri.

 La politica del vecchio capitalismo, combattuta, spesso, solo a parole per trovare una sorta di credibile identità ideologica, non è mai stata contrastata con credibili alternative politiche. Nessun gruppo politico ne ha sentito la necessità, nessuno ha creduto di dover lavorare a una vera alternativa che avrebbe dovuto tenere conto che il mondo andava avanti anche oltre le nostre personali vite.

I governi di centro e di destra, anche in Italia, portavano avanti i modelli del liberismo credendo di contrastare una visione massimalista che ci avrebbe ricondotto a chissà quale disastro sociale.

I governi di centro sinistra, balbettando programmi traballanti e poco convinti, di fatto agevolavano le stesse scelte liberiste, camuffandole e giustificandole come  male minore ed inevitabile per lo sviluppo e il progresso sociale del Paese. 

 Neanche la Chiesa cattolica, che pure avrebbe avuto come valore fondamentale il rispetto della qualità della vita e della dignità umana lontana dalle leggi del vile denaro, non ha resistito, nei suoi luoghi di potere, alla gestione d’ingenti capitali con tanto di banche, banchieri e profitti, diventando in molte realtà essa stessa: potere forte.

I mercati finanziari responsabili della crisi economica in cui versano gli Stati, oggi, ritornano a spingere per un ritorno alle vecchie maniere e, visto l’elevato debito pubblico, chiedono il consolidamento dei bilanci degli Stati – il che quasi sempre significa tagliare i servizi essenziali per i lavoratori e le lavoratrici. In un mondo già segnato da alti livelli di disoccupazione, le politiche di austerità pretese dai mercati porteranno a livelli di disoccupazione anche maggiori; e questo, a sua volta, provocherà una pressione verso il basso sui salari. 

 Per questo, oggi, gli indignati di tutto il mondo, le centinaia di migliaia di uomini e donne da tante parti del pianeta, stanno urlando la loro rabbia,  stanno gridando a gran voce che i debiti di altri, degli speculatori finanziari e delle banche, non vogliono pagarli loro, e quando sono i giovani, lo fanno con maggior ragione! 

 In Italia gli indignati sanno anche che la caduta di Berlusconi sarà solo la prima vetta da scalare, perché non si può più accettare un Parlamento che giustifica la presenza al suo interno d’inquisiti e collusi e tanto più un Governo che si regge ancora sulla compravendita di voti dei suoi deputati da parte di chi gestisce il potere ad personam. 

Gli indignati italiani sanno, anche, che sono tanti come loro, con la stessa rabbia, la stessa rivendicazione di diritti cancellati o negati in un’Europa con differenti governi ma uniti da ricette liberiste e da  crisi provocate dal liberismo stesso dove l’ossessione del debito sta assillando governi di destra e progressisti. 

Dovrebbe essere ormai chiaro che opporsi a questo modo di fare politica non significa certo rappresentare l’antipolitica perché vorrebbe dire non aver capito, ancora una volta, nulla . 

 Criminalizzare questo movimento, come d’altronde sta accadendo in Italia in queste ore, con un copione tristemente già visto, è ancora peggio, come sbagliato è, sempre in Italia, da parte di partiti volerlo cavalcare,perché è certo che dietro gli indignati sta nascendo il desiderio di opporsi pacificamente a quella politica solo autoreferenziale, ricca di privilegi, in cerca di delega incondizionata, complice con i poteri forti che hanno la  pretesa di imporre il loro modo di azzerare il debito: una ricetta tesa a salvare solo ricchi, ceti e caste da ingrassare con i diritti, i salari, il lavoro, la dignità strappati alla maggioranza della popolazione.

Una visione alternativa. 

Solo un movimento determinato, portatore di una proposta e di una visione alternativa può trovare la risposta per un vero cambiamento, alternativa a quell’aberrante disegno che cancellando diritti ai lavoratori non  colpisce solo chi ha qualcosa ma cancella speranza e futuro a chi non ha nulla – lavoro, reddito, diritti, cittadinanza.

Ma indignarsi non basta. In tanti ormai lo sanno.

 Parlare oggi di garantiti e non garantiti è un gigantesco imbroglio. Credere che togliendo qualcosa a chi «ha troppo» si aiuti chi non ha, è, in Italia, un’ulteriore ingenuità, proprio per noi italiani che abbiamo imparato che la politica delle due tempi finisce sempre al termine del primo.

Il rischio che stiamo già percorrendo è che i nostri giovani diventino tutta “carne da macello”. I nostri figli. I figli anche di chi non ha vissuto, come qualcuno asserisce insinuando planetari sensi di colpa, sopra le sue possibilità, che ha sempre fatto onestamente sacrifici per mantenerli agli studi pensando di investire sulla loro educazione, sulla loro vita. 

 Una strada potrebbe cominciare a essere quella di riunificare le lotte, nelle fabbriche e negli uffici, nelle scuole e negli ospedali, nei luoghi di cultura e nei laboratori di ricerca, la strada imboccata dagli operai di Pomigliano, diventati un modello di dignità per tutte le persone. 

 Da quest’unità, da quella dei movimenti e dagli indignati potrebbe formarsi  un primo embrione di alternativa sociale, culturale, ambientale, politica. 

Pensare, in Italia, di abbattere oggi Berlusconi e poi pensare al modello di un’alternativa sarà la morte di questo movimento, il suo fallimento.

Sarebbe ancora una volta la perdita della speranza di un futuro.

Se in Italia, a differenza che nel resto d’Europa, gli indignati permetteranno che si mettano cappelli, targhe o bandiere al movimento costruito spontaneamente in Spagna, si permetterà che si snaturi.

In questi ultimi mesi molto è accaduto in Italia, movimenti  spontanei che si muovevano intorno a tematiche vitali come l’acqua e il nucleare , il popolo viola che occupava le piazze , i movimenti cinque stelle che si facevano spazio nelle amministrazioni comunali, i comitati ambientalisti  costituiti da lavoratori, pensionati, giovani e famiglie  si opponevano alla TAV o all’ampliamento di una centrale a carbone, tutti frutti di progetti finalizzati ad ingrassare di capitali lobby finanziarie che nulla hanno a che fare con la qualità della vita della gente comune. 

Molto è accaduto, ma tutto ciò non basta ancora.

L’informazione  di stato confonde la gente che anestetizzata da telegiornalie salotti televisivi, si convince che i nostri giovani non troveranno lavoro, perché troppi sono i laureati e diplomati , mentre spariscono   i lavori “di un tempo” che ancora una volta solo gli extracomunitari sono disposti a fare.

Qualcuno ci deve spiegare com’è possibile tutto ciò in Italia dove il numero dei diplomati è agli ultimi posti della classifica europea come quello dei laureati al 17% della popolazione giovanile e dove i migliori fra questi stanno emigrando altrove.

Forse il problema non è nell’eccessiva scolarizzazione e le responsabilità vanno cercate altrove. 

Qualcuno dichiara “I giovani non si adattano abbastanza in Italia!” Anche a Savona, qualche tempo fa, l’Unione Industriali e la Camera di Commercio dichiaravano che i giovani savonesi avrebbero fatto meglio a operare scelte scolastiche di tipo tecnico che li riavvicinassero alle Imprese e al mondo della fabbrica.

Un paradosso in realtà come quella savonese dove, per ormai troppe imprese, il salvataggio degli attuali posti di lavoro è passato sempre più spesso dalla fase obbligata degli ammortizzatori sociali a quella più tragica della chiusura.  

Qualcuno ci deve spiegare, poi, se non è adattarsi, accettare lavori a progetto per tutta la vita, lavoro a tempo perennemente determinato o lavori interinali che non permettono di mettere su casa o farsi una famiglia come un giovane avrebbe diritto a fare senza pesare sui genitori. 

Qualcuno dichiara “La scuola non dà niente!”

Qualcuno dovrebbe spiegare perché quando, invece, la scuola dà qualcosa , le istituzioni e le famiglie sono latitanti, sempre troppo distratte  e assenti dalle vita dei loro figli.

I modelli che i mass media ci propongono, è ormai chiaro, sono strumentali ad una perdita dei  veri valori della nostra esistenza, funzionali alla società dei consumi che non ha prodotto benessere per tutti ma profitto per quei pochi che hanno potuto speculare impunemente. 

 E’ forse per questo che siamo ancora troppo occupati a rincorrere modelli di vita che contribuiscono a ingrassare solo i poteri forti e continueranno a farlo, come fare mutui per cambiare l’automobile di un nuovo modello, mentre quella che abbiamo ancora funziona.

Oppure a comprarla ai figli diciottenni perché non debbano rinunciare allo status simbol per eccellenza dopo il cellulare o l’i-phone di ultima generazione. 

Siamo occupati a emettere mezze parcelle, fatture o scontrini per unirci alle schiere dei piccoli o grandi  furbi che in Italia possono evadere, certi che altri sosterranno la spesa dei servizi che pretendiamo di avere. 

Siamo troppo occupati a curare il nostro piccolo orto, pensando che il nostro posto di lavoro debba conservare più diritti di quello d’altri.

Siamo troppo occupati a pensare che il nostro posto di lavoro debba costare la salute e  la vita ad altre persone solo per le mancate tutele ambientali. 

E mentre ci lamentiamo di raccolte differenziate che non decollano e di trasporti pubblici che non funzionano, siamo già occupati a pensare come aggirare la raccolta “porta a porta” che il comune sta cercando di attuare e ci stiamo incolonnando per recarci al lavoro, seduti soli sulla nostra automobile insieme ad altre migliaia di persone come noi. 

La soluzione possibile. 

Mentre invece la soluzione è lì a due passi da noi, ma anche lontanissima se dopo l’indignazione non seguirà un cambio di mentalità e di cultura.

La soluzione sarà proprio la decrescita, un modello socioeconomico, secondo il quale la crescita economica – intesa come crescita del PIL  – non porta ad un maggior benessere e nemmeno ad un aumento delle probabilità di sopravvivenza di un Paese che dovrà imparare a vivere in maniera sostenibile , organizzandosi  anche collettivamente.  

Solo così la diminuzione della produzione di merci non costituirà riduzione dei livelli di civiltà ma sarà sostenibile da un punto di vista ecologico, sociale, civile ed economico.

Il miglioramento delle condizioni di vita deve quindi essere ottenuto senza aumentare il consumo ma attraverso altre strade che ci indurranno a cambiare il nostro atteggiamento nei confronti dei bisogni.

La guerra non è quella che ci stanno portando a fare tra poveri o tra la gente comune , tra chi ha il lavoro e deve rinunciare alle tutele e chi non ce l’ha e che rischia di non averne mai uno vero, ma è quella che bisogna cominciare  fare contro il sistema finanziario.

Cambiamo i nostri bisogni, riduciamo gli acquisti che spesso ci  inducono a indebitarci o lavorare di più , togliendo lavoro ad altri e tempo alla famiglia e riscopriamo il vivere collettivo e  combattere insieme per  riunificare le lotte, dalle fabbriche ai laboratori di ricerca.

 Allora sì da quest’ alternativa e da questa unità d’intenti, gli indignati e i movimenti potrebbero formare l’embrione di un cambiamento planetario.

 

    ANTONIA BRIUGLIA

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.