Il tradimento della classe operaia e della democrazia

IL TRADIMENTO DELLA CLASSE OPERAIA E DELLA DEMOCRAZIA.

         IL TRADIMENTO DELLA CLASSE OPERAIA E DELLA DEMOCRAZIA.

La politica e il complottismo.

Mentre a Savona si contano i vip a favore o contro il candidato Lunardon alla Segreteria Regionale PD, perpetrando una concezione di partito omologata a quella di tanti altri che, solo una decina di anni fa, non si sarebbe neanche tollerato nominare, a Roma si consuma la ratifica di un tradimento.

Le tesi “complottiste” che sino a poco tempo fa erano assimilate ad atteggiamenti fanatici di pochi squilibrati intenti a voler vedere, a tutti i costi, il marcio di una regia occulta, cominciano a diventare tesi sempre più attendibili e pubblicamente palesate.

A sostenerle, l’inutilità delle indicazioni scaturite dal popolo che vota in democratiche elezioni, diventate facilmente trascurabili, tanto da non sentire l’esigenza a ricorrervi.

E’, infatti, sempre più chiaro che le decisioni si prendano altrove. I luoghi non sono quelli della politica, ma quelli dei poteri finanziari ed economici che sui loro obiettivi sanno calcolare quella o quell’altra soluzione di governo.

In Italia, tre Governi sono stati il risultato di accordi non sempre trasparenti, patrocinati dal Presidente della Repubblica, dove si sono consumati grandi tradimenti nei confronti dei lavoratori e dei pensionati, con le leggi Fornero, e quelli nei confronti della democrazia, tanto sbandierata e tanto vituperata.

Le responsabilità del PD.

Non è il caso di fare analisi dietrologiche per capire come nel ventennio berlusconiano molte delle responsabilità siano state proprio del Partito Democratico, la cui  opposizione al centro destra è stata permeata da fraintendimenti di natura politica e sociale, causa di un così lungo potere da parte di Berlusconi e della sua lunga schiera di adepti.

Mentre si consumava un inefficace, quando verbale contrasto tra “berlusconismo” e “anti-berlusconismo”, le forze economiche e finanziarie lavoravano alacremente, saldando i rapporti in un’oligarchia europea sempre più potente.

Tutto questo mentre il più grande partito della sinistra promuoveva continue metamorfosi e continui spostamenti di asse politico, da renderlo oggi irriconoscibile.


Renzi-Berlusconi.

Oggi l’accordo di Renzi con Berlusconi, in nome di una governabilità a tutti i costi sembra sancire il modo definitivo e arrogante il percorso iniziato.

Contrattare, in una sede di partito, la legge elettorale, l’assetto del Senato e le altre riforme costituzionali come il titolo V, legittima nuovamente Berlusconi, condannato e deposto da senatore, e insieme a lui il berlusconismo, ma anche Renzi che, nuovo uomo forte, è delegato e giustificato a fare pastoie fuori dal Parlamento e lontano dalle sedi democratiche istituzionali.

Mentre Renzi vince le primarie proclamandosi il rottamatore della vecchia dirigenza PD, riesuma il Cavaliere rottamato dalla Magistratura, riportandolo al centro della vita politica italiana.

La sintonia tra il Segretario del PD, il più grande partito della cosiddetta sinistra e Berlusconi è ora ufficiale, dichiarata, gradita. Giustificata e tollerata proprio a causa di quella mancata battaglia politica e culturale di cui si sta pagando il prezzo più alto.

Le sottili alleanze già nei Governi Berlusconi; l’appoggio incondizionato al Governo Monti, motivato apparentemente dal bisogno di moralizzazione di una classe politica diventata sempre più corruttibile e insipiente ma finalizzato soprattutto a suggellare il legame con i poteri economico-finanziari che desideravano avere uomini al potere su cui contare, e infine il Governo Letta, hanno visto il PD determinato protagonista politico.

Tutti passaggi orchestrati dal Presidente Napolitano, ben lontano da quel PCI che già allora mal tollerava.

Un Governo delle larghe intese, tanto larghe da non vederne le differenze.

Qual era il fine? Nel bisogno sempre più opportunistico di coinvolgere Forza Italia con tutta la destra in un calcolo realista di governare senza un’ingombrante opposizione, si pronunciavano termini come “bene  comune”, “lealtà”, programmi, riforme, priorità del Paese. Nulla di fatto, se non qualche regalia finanziaria alle banche e una disposizione che ne garantisca un reddito.


Oggi il Parlamento che fine ha fatto?

Troppo ingombrante e rischioso, con le sue guerriglie, con i “grillini” che porterebbero a istituzionalizzare “ghigliottine” e altre nefandezze atte a zittire chi si oppone e con rapporti di forza che, tra l’altro, non garantirebbero i renziani diventa terreno troppo scomodo.

Meglio il Presidente Napolitano, che per realizzare le “grandi coalizioni” e fare quelle riforme che, qualcuno attende con ansia e che Letta non ha fatto, riuscirebbe a dare un incarico, senza necessariamente dare la parola ai cittadini italiani.

Ma sì: votare non serve a niente.

Perché mai rischiare di sapere come la pensa la gente di tutto questo? Meglio starne alla larga.

E intanto la crisi europea che vede Paesi come l’Italia, la Grecia e la Spagna pagarne il prezzo più alto, detta le ricette della ristrutturazione e a pagarne le spese sono proprio i giovani, i disoccupati e i salariati.

Le aziende chiudono e la pressione fiscale è insostenibile, il welfare azzerato e la proposta sociale e culturale del Paese ridicola.

Il dibattito della classe politica italiana però è orientato su altre cose, tanto importanti da chiedere accordi e sintonie come la legge elettorale.

La proposta renziana che mette d’accordo Pd e destra potrebbe prevedere il premio di maggioranza e anche se non la raggiungono fanno in modo che ciò accada, oppure le preferenze che potrebbero essere utili ad alcuni per ripristinare le clientele o meglio la soglia delle percentuali con la quale far fuori le minoranze politiche e annientare il dibattito.

Un dibattito su cui sembra valga la pena impiegare energie e intelligenze, perché lo scoglio dei problemi italiani sembra proprio questo.

Mentre i cittadini si chiedono se ciò sia opportuno, tanto più oggi che ci si prepara al terzo nuovo Governo che non uscirà dalle urne e che si è decido che debba durare quattro anni.

Il tradimento è consumato definitivamente e gli obiettivi raggiunti: la classe operaia, la democrazia e la sinistra sono state annientate.

        ANTONIA BRIUGLIA

   

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.