IL RISPETTO, LA TOLLERANZA, L’ORA DI RELIGIONE

 IL RISPETTO, LA TOLLERANZA, L’ORA DI RELIGIONE.

 IL RISPETTO, LA TOLLERANZA, L’ORA DI RELIGIONE

Il rispetto e la tolleranza, intesi nella loro accezione più ampia, sono stati, a mio avviso, i grandi assenti nei più svariati contesti sociali e culturali durante gli ultimi anni. Il rispetto è quantificabile come un sentimento ed un comportamento conformati alla consapevolezza dei diritti e dei meriti altrui, dell’importanza e del valore morale, culturale di chiunque.

La tolleranza è quantificabile come un porre in essere il rispetto, l’ammettere un comportamento, un fatto deviante rispetto alla personale e sociale concezione di norma. Tra il rispetto e la tolleranza vi è un elemento di fondamentale rilevanza, spesso trascurato ed ancor più spesso delegittimato e deresponsabilizzato: noi stessi. Proprio così: noi stessi, tutti noi. Che giudichiamo, ci conformiamo, ci trasformiamo in carta assorbente degli altrui pensieri, delle altrui motivazioni. Mancando esemplarmente di rispetto, in primis, a noi stessi. Perché succede? Le ragioni sono davvero tante, analizzarle tutte sarebbe pressoché impossibile, possiamo comunque provare a riflettere su ciò che per noi è realmente il rispetto, su quali parametri lo dimensioniamo, e come lo trasformiamo, se lo trasformiamo, in tolleranza. Essenzialmente l’essere umano ha un enorme bisogno di essere accettato all’interno del contesto sociale in cui è inserito, per cui è estremamente probabile che, sin da piccolo, un soggetto tenda ad introiettare lo schema valoriale del nucleo familiare di appartenenza, per poi sviluppare senso critico ed autonomia morale durante la crescita. Questo avviene nel contesto amicale, lavorativo, socio-culturale. Di fondamentale importanza risultano essere le interazioni che si attuano nell’infanzia e si consolidano poi nella giovinezza. Se si ha avuto la fortuna di crescere potendo sviluppare la propria personalità godendo, guarda caso, del rispetto e della tolleranza di chi si ha avuto vicino, sarà stato molto più facile introiettare la stessa modalità relazionale e comportamentale. La scuola riveste un ruolo di primissimo piano in questo processo, e l’insegnamento della religione in particolar modo. Perché? E’ facile intuire quanto sia grande il potere della suggestione (nella sua accezione psicologica) delle religioni su qualunque essere umano, specie se si trova in un momento di crisi esistenziale e/o di particolare fragilità interiore, e ciò è tanto più vero quando si tratta di bimbi ed adolescenti.

Avere un insegnante di religione aperto al dialogo può essere una grande fortuna ma, se così non è e ci si trova a confrontarsi con una persona dogmatica e rigida, il danno è assicurato. Prendiamo ad esempio l’educazione alla sessualità, che nelle scuole in cui viene offerta è in genere affidata al docente di religione. Quale la preparazione, sia medico-scientifica che psicologica?

 

Il ministro Profumo ha messo in discussione l’ora di religione
Si può immaginare. Molto utile sarebbe offrire un’educazione all’affettività che comprenda anche l’educazione sessuale, ma che sia orientata ad insegnare a bimbi e ragazzi a conoscere e riconoscere emozioni e sentimenti. La religione, giocoforza, entra in questo contesto, ma con un’apertura grande verso lo spirito religioso e tutte le sue manifestazioni. Il Ministro Profumo ha messo il dito in una piaga che suppura da decenni, ma che a nessuno interessa veramente sanare. Oggi in Italia non si insegna “religione”, ma cattolicesimo. Tarpando di fatto le ali allo spirito critico che, al contrario, andrebbe stimolato proprio nelle età in cui, a vario livello, si cominciano ad affrontare i primi problemi esistenziali.  Il vero social-problem dei nostri giorni è dato dall’evidenza che lo spirito critico non viene stimolato in alcun modo. Quanti di noi hanno parlato di Nicholas Greene con figli o nipoti, cogliendo l’occasione per riflettere, per esempio, sulla fuggevolezza della vita o sul senso del scegliere consapevolmente una via piuttosto che un’altra? Più probabile aver discusso del regalo fatto dall’amica col braccino corto o del maglione dal colore non tanto trendy. Abbiamo ascoltato ed osservato, o forse, semplicemente, sopportato, di tutto e di più, in questi ultimi anni. Attacchi contro il buonsenso, il buongusto, la sensibilità di grandi e piccoli. Abbiamo osservato vite di perfetti sconosciuti letteralmente trasformate in talk-show, morti trasformate in assurdo pasto per animi assuefatti ad ogni barbarie e in cerca di emozioni sempre più forti. Abbiamo visto due ragazze diventare famose per aver dichiarato in romanesco di aver bevuto una birra in pieno pomeriggio, e passi, ma l’aver visto assurgere a professione emergente quella della escort, è stato davvero triste. Dicasi trash, o cultura-spazzatura. Dicasi Italia oggi. Italia futura? Possibile, probabile. Perché è venuto meno il rispetto, prima di tutto per noi stessi, e di conseguenza per gli altri. Oggi siamo più liberi di trenta o quarant’anni fa? Forse si, forse no. Siamo più liberi di scaricare il nostro disprezzo sugli altri, perché diversi da noi per cultura, razza, religione, orientamento politico, sessuale, sportivo… ma questo equivale ad essere più liberi? Al lettore la risposta. Io mi permetto di offrire uno spunto di riflessione: quando rispettiamo e tolleriamo autenticamente e sinceramente l’Altro? Quando tuoniamo per far udire la nostra voce o quando ci mettiamo in ascolto? E cosa è più difficile? Tra rispetto e tolleranza, ci siamo sempre noi, spesso col cuore che brucia ma con lo sguardo freddo come la cenere spenta.

 

Giovanna Rezzoagli Ganci

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.