Il presente

 Il presente

Il presente

 Saremmo capaci di vivere la nostra esistenza senza la memoria?
È lo scrigno delle esperienze, delle emozioni, dei ricordi ai quali ci affidiamo continuamente ed in maniera pressoché automatica.
Il nostro secolo ha visto allungarsi la vita delle persone in modo sensibile, esponendo così il nostro patrimonio biologico a quella consunzione che ne svela senza dubbio alcuno il termine, e una delle malattie più invalidanti è proprio quella che riguarda la memoria.

Chi ne è affetto vede prima scomparire il ricordo delle cose più prossime, e la progressività procede sino a che si sfoca anche la memoria più “storica” ed il futuro non è contemplato.

E chi cura l’ammalato di Alzheimer ben sa quanta pena suscita una così grave menomazione che rende inermi, fragili e passivi.

 

Ma c’è anche, per chi la memoria ce l’ha e ne vorrebbe far uso, l’impossibilità a utilizzarla e a trasmetterne i contenuti in modo fecondo.

Sono venuti a mancare infatti i luoghi della trasmissione del pensiero, delle esperienze, della memoria.

La società italiana, così come oggi è strutturata, appare come un esteso e onnipotente hic et nunc, un qui e ora certo utile e importante ma solo se collocato all’interno di un continuum tra il passato ed il futuro.

Invece assistiamo – per un processo storico e non naturale- ad un progressivo confinamento del passato, ora denigrato come “nostalgia” o semplicemente relegato nella soffitta più polverosa, mentre il futuro, dapprima obliterato oggi viene visualizzato solo nelle sue più cupe prospettive: la crisi mondiale -guidata dal grande capitale- ha artatamente oscurato e circoscritto l’orizzonte.

Pecore nell’ovile: non sappiamo più da dove veniamo mentre, se siamo fortunati, percepiamo solo che ci aspettano sfruttamento e macello, e reagiamo scompostamente.

Difatti gli strumenti che ci diamo sembrano coerenti con il sistema dato:

nessuno sembra capace di progettare il futuro, il proprio (e collettivo) futuro mentre fioriscono azioni determinate dall’agire immediato, relegate in comparti asfittici, destinate ad apparire tanto “affascinanti” e “rivoluzionarie” quanto invece sono -per loro natura- humus per la stagnazione.

Ma dove finisce la memoria, utile alla costruzione di un futuro? Che c’è, ancorché negletta e derisa.

Si sfarina, si sfalda, si frantuma in mille rivoli. Non più utilizzata come base di costruzione del nostro vivere futuro diviene -nella migliore delle ipotesi- ampolla, teca, canope.

Ecco un fiorir di libri, di luoghi virtuali, di convegni che celebrandola, fanno a quella memoria però l’ennesimo funerale. Perché -come ad un funerale- ci si vede tra pochi, in ordine sparso e, mormorando tra i presenti, si rammenta quanto fosse importante, coinvolgente e vivo il defunto.

La umana ed insopprimibile necessità di una identificazione, che sia ad un gruppo, ad un ideale, ad un progetto, si concretizza oggi per la maggior parte in luoghi e contesti gruppali di breve vita.

Fanno eccezione, sia perdonato l’accostamento, gli ideali religiosi e quelli sportivi (in particolare calcistici!).

Quei riferimenti concettuali, pensiamo a “mondo del lavoro”, “classe operaia”, “borghesia” “intellettuali”, “artisti”, “padronato” ecc. ecc., tanto efficaci nella designazione (a volte scontando anche una certa rigidità) e nell’identificazione nel secolo passato, si sono dissolti non generando novelle categorie teoriche ed esperenziali.

Ecco dunque migrazioni continue, tra una sponda e l’altra, cercando vanamente nuove identità strutturate e nuovi sogni, nuove tensioni che diano un senso al vivere quotidiano.

In queste transumanze il pensiero diventa opinione, l’analisi politicismo, l’emergenza approdo sicuro ed esaustivo.

Come un malato di Alzheimer vaghiamo nelle stanze di quella casa che un tempo conoscevamo bene, tra quelle persone a cui sapevamo dare un nome, aggrappandoci disperatamente a chi in quel momento ci conduce e ci indica ciò che è bene e ciò che è male, con tutti i rischi del caso.

 

Ma le ragioni di una così grave malattia (rammentiamo che è “patologia” della senilità) possono essere sconfitte solo e se il corpo biologico si rinnova attraverso il corpo generazionale trovando nel passato e nella memoria le ragioni teoriche e materiali di fondamento, assumendo il presente come un tratto tanto breve quanto transitorio: utile cioè a congiungere, connettere il passato col futuro.

Presente dunque come membrana osmotica.

Sarà una guerra senza esclusioni di colpi: è difficile sconfiggere l’imperante, onnipotente e obnubilante presente, ma è una scommessa che le prossime generazioni possono affrontare, rinunciando ad una fittizia e perenne giovinezza e adolescenza, resa -non a caso!- sterile.

 

Patrizia Turchi


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