I GIOVANI SAVONESI E LA VIOLENZA

I GIOVANI SAVONESI E LA VIOLENZA.

I GIOVANI SAVONESI E LA VIOLENZA.

Mentre si continua a discutere sulla violenza, quella più diffusa perpetrata a carico delle donne o quella di cui sembra essere permeata la nostra società, non solo fisica, ma anche verbale, psicologica, più o meno manifesta; a Savona , da una recente indagine diffusa in un Convegno Provinciale, emerge che i giovani sembrano avere un rapporto alquanto discutibile con questo problema.
Mentre l’80% considera le forme di violenza verbali o di coercizione come comportamenti frequenti e quasi inevitabili, il 40% se ne sente vittima ma non la considera violenza vera e propria e almeno il 30% di studenti maschi conosce vittime di rapporti sessuali non consenzienti.

 

Questi esempi sono la prova che nel savonese, la percezione della violenza non è così scontata come si potrebbe credere e quella delle molestie, fatta da scritte sui muri, barzellette e telefonate oscene, non è neanche riconosciuta come tale.

Infine, ancor peggio, la gelosia per i giovani savonesi, in linea tra l’altro con molti altri, giustificherebbe maltrattamenti.

 

Insomma “Anche i giovani della provincia di Savona, rispettano in tutto e per tutto lo stereotipo che ci viene offerto giornalmente dalla tv spazzatura e dai comportamenti di troppi adulti” dice la psicologa Brunella Nari. Mentre ciò che serve ai giovani sono proprio modelli di coerenza e forme di educazione relazionale emotiva che soprattutto le famiglie, insieme alla scuola, possono e devono dare.

La violenza fisica e verbale rappresentata giornalmente nei media e soprattutto in TV è un modo colorito per rappresentare la stupidità nei confronti della quale la nostra società sembra non sapersi difendere e distaccare.

Così gli operatori televisivi sono diventati operatori della peggiore stupidità e credono di fare cultura con gli strumenti di un potere becero e ignorante che anche nelle discussioni politiche e nei talk show usa obbligatoriamente un linguaggio violento e offensivo.

 

La scuola non può far finta di niente e non può ignorare questo terribile strumento che domina le case e con la sua ricchezza comunicativa ha occupato quasi il posto del capofamiglia.

La scuola può fare molto per fronteggiare il dilagare dei falsi eroi che l’attuale società ci trasmette. Quelli furbi, quelli duri, che in un giovane gruppo malato d’ignorante solitudine diventano coloro che incendiano un cassonetto o rubano a scuola ai compagni, che imbrattano muri con scritte oscene o con ingiustificate frasi d’amore o peggio con simboli nazisti senza conoscerne il vero significato.

Eroi che vanno allo stadio per scatenare piccole guerre, che distruggono cose solo per il piacere di farlo o eroine che buttano via il loro corpo facendo abuso di alcool o prostituendosi senza saperlo.

La scuola non può e non deve arrendersi e continuare a perseguire un fine sempre più importante. Quello di insegnare che eroe è chi dà un senso alla propria esistenza con i suoi progetti, le sue passioni, il suo impegno e la sua etica.

Chi, nella sua apparente normalità, costruisce la sua identità, con personalità, con coerenza e principi difesi, quelli sì, con eroismo che, soprattutto nell’essere giovane, non ammettono compromessi e ingiustizie.

Ecco perché adulti e soprattutto docenti devono essere un esempio con i loro comportamenti, la loro etica e i loro principi.

In questa difficile società dove tutto sembra dover essere flessibile, dove le idee si cambiano dalla sera alla mattina e i principi sono facilmente soppiantati dagli opportunismi, facendo smarrire l’etica che dovrebbe regolare i comportamenti dell’intera comunità, non sarà inutile  il lavoro di insegnanti che insieme ai saperi comunichino l’educazione al rispetto delle regole e soprattutto della persona, con la coerenza dei propri comportamenti e nel modo di comunicare.

Con l’esempio in prima persona ci si può permettere di non “predicare” ciò che giusto, usando linguaggi lontani dalla violenza verbale e psicologica si può educare, tirando fuori da ogni allievo il meglio e riscattare il sano senso di colpa nel commettere qualsiasi violenza o sopraffazione per mistificare il senso di furbizia che si prova sino al momento in cui non si è stati scoperti.

E’ chiaro che per cambiare questo quadro preoccupante venuto fuori dall’indagine savonese, sia necessario non lasciare sola la scuola, ma ricostruire una comunità dove ognuno si senta responsabile del suo ruolo.

Bisogna venir fuori, tutti insieme, dall’isolamento, un fenomeno che nei nostri territori è molto presente, dove i problemi sono affrontati in modo frammentario da chi ne è colpito e solo nel momento in cui accade, poi nulla più.

Il mondo che non conosciamo non esiste! E’ questa la cruda realtà del territorio savonese.

Così anche per i nostri giovani l’idea di comunità è diventata qualcosa di complicato e mentre collezionano migliaia di amici sui social network, sono soli, privi di una vera responsabilità di gruppo.

La comunità di facebook, in realtà, non ci connette  come dice di fare perché  siamo noi a decidere quando collegarci con gli altri e quando staccarci e decidiamo di avere finito. Quindi la connessione e la disconnessione avviene senza interagire realmente e simultaneamente con l’altro, senza sentirci responsabili gli uni con gli altri.

 

Invece ci vuole ben altro.

 

Come dice un proverbio africano “Ci vuole un villaggio per crescere un bambino!” e i nostri giovani, oggi più che mai hanno bisogno di noi.

 

Chiedono aiuto e non sanno bene come farlo.

 

Qualche sera fa, partecipando a una riunione del “comitato di coordinamento scuole savonesi”, che intende avere tra i suoi obbiettivi, proprio la condivisione dei problemi tra docenti, famiglie e studenti, i rappresentanti di questi ultimi elencavano le tematiche su cui vorranno confrontarsi in occasione della cogestione e mi ha colpito il fatto che insieme a problemi come: la diffusione della droga, l’anoressia e la legalità, una studentessa  chiedesse  proprio un corso per l’autodifesa personale.

Penso, allora, sia giunto il tempo di una seria riflessione per cominciare a cambiare le cose, perché sarebbe proprio una nostra sconfitta se accettassimo tutti quest’ultima spiaggia.

 

ANTONIA BRIUGLIA

 

 

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