Fides Bellum iubet. La fede comanda la guerra: Landini alla guida dell’armata di Valmy della sinistra spezzata
- PFides Bellum iubet
La fede comanda la guerra: Landini alla guida dell’armata di Valmy della sinistra spezzata
C’è una frase scolpita come sentenza: Fides Bellum iubet — la fede comanda la guerra. Non è la fede religiosa, ma quella ideologica, quella viscerale convinzione di giustizia sociale, quella ortodossia sindacale che oggi impone a Maurizio Landini di vestire l’elmo del condottiero, suo malgrado, e lanciarsi in una guerra referendaria che ha già il sapore della sconfitta annunciata.
Nel solco del 1792, quando l’armata rivoluzionaria francese trionfava a Valmy contro le forze monarchiche, oggi Landini si trova a guidare una sinistra frantumata, logorata dalle sue stesse bandiere e dai personalismi di capi stanchi, divisi su tutto, uniti solo da un retaggio comune e da una retorica esausta. La sua è una Valmy simbolica, ma senza slancio rivoluzionario. Il fronte interno è già pieno di crepe: Conte tentenna, Schlein gioca su due tavoli, i riformisti del Pd si smarcano, e Renzi e Calenda si tengono alla larga con disprezzo.
Landini ha ricevuto il mandato come un atto di fides — fede e fedeltà a un ideale — eppure questa fede ha smesso da tempo di essere condivisa. I cinque referendum, che dovrebbero rappresentare la riscossa della “primavera rossa”, sono il cavallo di Troia con cui si spera di ricompattare un campo largo che si comporta più come un terreno minato.
Il segretario della CGIL ha accettato, o forse subìto, la chiamata alle armi. Le sue parole all’uscita del Nazareno risuonano come un grido di guerra, un bellum iustum contro il Jobs Act, simbolo di un “nemico interno” annidato proprio in quell’area che fu un tempo la sinistra di governo. Ma il suo pugno di ferro appare più come un guanto d’ordinanza: battagliero nel gesto, tremante nella presa.

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Non a caso, il campo si sfalda ancor prima di formarsi: Conte dice sì al lavoro, ma si sottrae sulla cittadinanza; Schlein offre apparati ma non convince i suoi riformisti; Fratoianni e Bonelli si accodano, ma sanno di non essere determinanti. Italia Viva attacca frontalmente, svelando ciò che si cerca di mascherare con la retorica: che questa non è una sinistra unita, ma un’armata brancaleone.
Landini appare così come un generale forzato, circondato da alleati diffidenti e senza una strategia comune. Fides Bellum iubet, sì, ma nessuno vuole davvero la guerra. Al massimo si desidera una schermaglia, una testimonianza, una bandiera da esporre e poi ritirare in silenzio.
È la tragedia della sinistra contemporanea: chiamata alla lotta per i diritti e la dignità, riesce solo a recitare un copione scritto da altri, su un palcoscenico affollato di comparse. Manca un Jean-Baptiste Jourdan, manca un Danton, manca perfino un Marat. C’è solo Landini, stretto tra l’ideologia e la pragmatica dei sondaggi, obbligato a simulare una guerra sapendo che nessuno la combatterà fino in fondo.
E allora resta solo quella frase, dura come la pietra, a riecheggiare come un epitaffio: Fides Bellum iubet. Ma questa fede, oggi, è solitaria. E questa guerra, forse, è già persa.