Qualcosa sulla ventitreesima Operetta: “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere”
Penultima delle Operette morali, è anche la più breve.
Scritta nel ’32, ovviamente non compare tra le 20 della prima edizione, ma solo nell’edizione Piatti del ’34.
Battute brevi o brevissime da deduzione sillogistica.
Venditore – Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere – Almanacchi per l’anno nuovo?
Venditore – Sì signore.
Passeggere – Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Venditore – Oh illustrissimo sì, certo.
Passeggere – Come quest’anno passato?
Venditore – Più più assai.
Passeggere – Come quello di là?
Venditore – Più più, illustrissimo.
Deciso l’incipit. Al passeggere urge confrontarsi con il venditore di almanacchi e lunari.
E’ il dialogo tra le due anime di Leopardi.
Una è quella che, pur sapendo che le illusioni sono appunto illusioni, si lascia nondimeno trasportare dalla loro forza e attrattiva.
L’altra è quella consapevole della fredda e dura realtà nella quale la Natura ci ha posto, costringendoci ad essere sempre alla ricerca di una felicità irraggiungibile.
Ecco, questi due sentimenti in Leopardi coabitano. Di più, convivono.
Leopardi non è dunque solo il passeggere, come alcuni tendono a credere.
Egli è anche il venditore di almanacchi che lascia discorrere la sua anima dall’amalgama di ingenuità e genuinità di cui essa è impastata, perché è consapevole che senza speranza, come accade per le illusioni che tutte le raccorda, vivere non si può.
Il Leopardi dei primi idilli, cioè dell’ “Infinito”, de “La sera del dì di festa”, de “Il sogno”… incarnato nel venditore di almanacchi, e l’altro Leopardi del “Dialogo della Natura e di un islandese”, di certe pagine dello “Zibaldone”, e ancora dei grandi idilli come “A Silvia”, “Il sabato del villaggio”, “La quiete dopo la tempesta”… , al di là dell’apparenza qui si compenetrano molto più di quanto non si confrontino o scontrino.
In queste prime battute, dunque, abbiamo visto il passeggere chiedere al venditore se il prossimo anno sarà un anno felice; e il venditore, un po’ perché come tutti spera che lo sia più di quello che sta finendo e un po’ per mestiere, perché deve vendere gli almanacchi e i lunari, dice di sì, che senz’altro l’anno che verrà sarà migliore di quello che sta volgendo al termine.Il passeggere a questo punto lo incalza chiedendogli se gli piacerebbe che fosse un anno felice come qualche altro tra tutti quelli trascorsi.
Venditore – Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere – Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Dove “quanti anni nuovi” è un passaggio cruciale.
Infatti è in stretta relazione con la battuta precedente: “Oh illustrissimo sì, certo”, che era una risposta alla domanda se credeva che sarebbe stato felice quest’anno nuovo.
Dimostra così, con questa convinzione basata sul nulla eppure inossidabile, che per lui tutti gli anni nuovi sono migliori per il solo fatto di essere nuovi, per cui “nuovo” e “migliore” diventano sinonimi.
Il punto però è che il venditore di almanacchi ammette, come se si trattasse di cose sganciate tra loro e perciò incurante della contraddizione in cui cade, che il prossimo anno non vorrebbe fosse uguale a uno degli anni passati. Lo vorrebbe diverso.
Comunque la risposta relativa agli anni dacché vende almanacchi, è:
Venditore – Saranno vent’anni, illustrissimo.
Dopodiché il dialogo prosegue:
Passeggere – E a quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore – Io? non saprei.
Passeggere – Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore – No in verità, illustrissimo.
E qui s’inserisce, decisa, l’ironia:
Passeggere – E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore – Cotesto si sa.
Cioè il venditore di almanacchi dà per scontato che la vita è una cosa bella, però riesce insieme a dire assurdamente ( ma dovremmo piuttosto dire esistenzialmente ) come non ci sia nessuno degli anni passati che lui vorrebbe rivivere, anche se ogni volta sul loro nascere li ha definiti tutti latori di felicità e uno migliore dell’altro nella successione temporale.
Insomma, riesce a mettere in evidenza candidamente che la vita si può vivere soltanto in quanto se ne metabolizza l’assurdo.
Passeggere – Non tornereste voi a vivere cotesti venti anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore – Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere – Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né ne meno, con tutti i piaceri e dispiaceri che avete passato?
Ecco, ora la risposta che darà il venditore è quella equiparabile ad un coro virtuale che costituisce il senso comune dell’uomo comune.
Messo di fronte all’opportunità di tornare indietro ripercorrendo passo passo, momento per momento, la sua propria vita, tale e quale, né più né meno qual è stata, allora confessa:
Venditore – Cotesto non vorrei.
La sua è una risposta che idealmente si pluralizza in una sorta di mormorio generalizzato, il che significa che tutti hanno fallito la realizzazione delle loro speranze:
Passeggere – Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore – Lo credo cotesto.
Passeggere – Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore – Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere – Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore – Vorrei una vita così, come Dio me lo mandasse, senz’altri patti.
Il venditore di almanacchi dunque rappresenta chi non si fa troppe domande e vive giorno per giorno ogni giorno, e così avanti fino alla fine dei suoi giorni.
E’ vero, senza felicità; ma anche senza essersi gravato l’anima con domande demolenti, e questa volta non per la loro aggrovigliata complessità ma per la loro logica lineare che non lascia scampo.
Quello che ci vuole comunicare Leopardi in questa Operetta è proprio il male della conoscenza.
In fondo l’umanità è sofferente perché Adamo ed Eva hanno voluto conoscere, e nel momento in cui essi mordono il frutto che glielo permette, si ritrovano nudi, cioè privi di protezione ed esposti a ogni male. Si scoprono infimi davanti alla Natura. Insetti davanti alla zampa dell’elefante.
Passeggere – Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore – Appunto
Dove “Appunto” sta a dire una vita che non si sa cosa abbia in serbo. Ed è questa ignoranza a consentire che la speranza non venga meno. Diversamente, sarebbe il naufragio di ogni nostra illusione: della gloria, dell’amore, della realizzazione di sé…
Il passeggere ormai ha detto quello che gli premeva. Ma ad una lettura attenta, si vede che se da una parte egli certe cose le ha volute dire per rendere scaltrito il venditore di almanacchi, dall’altra è anche contento di non esplicitare troppo le conseguenze che derivano da questo suo consequenziale ragionamento. Sarebbe quasi un infierire su chi riesce ad arrabattarsi proprio aiutandosi nella vendita di quei libriccini dove gli astri determinano le stagioni e i destini, oltretutto con la convinzione sincera di annunciarli felici.
Passeggere – Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’ opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere.
Con questa constatazione il passeggere vuol dire che essa, la vita, è più male che bene; e tuttavia all’ultimo non se la sente di far affondare l’illusione, l’ingenuità salvifica e testarda che ha in sé l’uomo comune.
Perciò continua così, con un discorso benignamente ambiguo di cui confida che l’interlocutore comprenda solo la seconda parte, quella che per essere detta alla fine, si fissa di più nella mente.
Infatti non può tacere la verità, ma neanche può sacrificarle la com-passione:
Passeggere – Quella vita che è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore – Speriamo.
Passeggere – Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore – Ecco, Illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere – Ecco trenta soldi.
Venditore – Grazie, illustrissimo: a rivederla.
E poi il venditore ricomincia come se niente fosse stato.
E forse niente è stato. Perché la sua quotidianità, la sua normalità non ne escono scosse e gli permettono di riprendere a gridare quello che gridava prima:
Venditore – Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.